TITOLO: Il mito dell'omogeneità giapponese, storia di Okinawa
AUTORE: Rosa Caroli
CASA EDITRICE: FrancoAngeli
PAGINE: 350
COSTO: 30 €
ANNO: 1999
FORMATO: 23 cm
X 15 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788846418913
Questo
saggio storico di Rosa Caroli è scritto benissimo e contiene un
quantità enorme di dati ed informazioni, mai pesanti, ovviamente per
chi è interessato al tema e alle letture del genere.
Per
lungo tempo si affermò che la cultura Ryukyuana fosse una variante
di quella giapponese, teoria che avallò l'invasione del 1609 fino
all'annessione nipponica del 1879. Intorno al 1970, ma con
anticipazioni (studi inascoltati) fin dal 1920, si fece largo l'idea
che le isole Ryukyu non dovessero ai popoli nipponici la propria
cultura, ma alle popolazioni cinesi.
La prima forma di governo delle Ryukyu risale intorno al X° secolo con la dinastia Tenson, che cedette il potere al primo re del regno delle Ryukyu, re Shunten, nel 1187. Durante il regno di Satto (1350-1395) giunsero gli emissari del primo imperatore cinese della dinastia Ming, Hongw, che chiese ai barbari di sottomettersi all'autorità imperiale celeste. La sottomissione inizio gli scambi commerciali ufficiali tra Cina e Ryukyu, facendo dell'arcipelago una stato tributario della Cina. Nel 1429 il primo regnante, Hashi, della dinastia Sho riunì le Ryukyu sotto un unico regno. Quindi si recò dall'imperatore cinese per farsi riconoscere regnante, negli annali cinesi fu investito con il cognome di Sho e fu registrato come “re delle Liuqiu”.
La prima forma di governo delle Ryukyu risale intorno al X° secolo con la dinastia Tenson, che cedette il potere al primo re del regno delle Ryukyu, re Shunten, nel 1187. Durante il regno di Satto (1350-1395) giunsero gli emissari del primo imperatore cinese della dinastia Ming, Hongw, che chiese ai barbari di sottomettersi all'autorità imperiale celeste. La sottomissione inizio gli scambi commerciali ufficiali tra Cina e Ryukyu, facendo dell'arcipelago una stato tributario della Cina. Nel 1429 il primo regnante, Hashi, della dinastia Sho riunì le Ryukyu sotto un unico regno. Quindi si recò dall'imperatore cinese per farsi riconoscere regnante, negli annali cinesi fu investito con il cognome di Sho e fu registrato come “re delle Liuqiu”.
Nonostante
il buddismo fosse già stato introdotto il culto più praticato era
quello autoctono delle Noro. La sorella del capo tribale (quindi
anche del re) diventava sacerdotessa e si incaricava di mantenere i
rapporti con l'aldilà. Nel 1606, dopo che Tokugawa divenne shogun,
venne richiesto dal feudo di Satsuma una formale sottomissione del
regno delle Ryukyu. L'allora re Sho si rifiutò, e nel 1609 venne
inviata una spedizione militare che occupò le Ryukyu. Il re Sho
venne condotto a Edo e trattenuto lontano dal suo regno fino al 1611,
quando Sho si sottomise allo shogun e pose il suo regno sotto
l'amministrazione del feudo di Satsuma. Durante la sua permanenza a
Edo il re Sho fu trattato come il re di un paese straniero, ed anche
in seguito, nonostante l'accettazione del controllo di Satsuma, il
regno delle isole Ryukyu mantenne lo status di paese straniero. In
quanto il suo sovrano era investito della sua autorità
dall'imperatore cinese. Inizio quindi, per circa 2 secoli e mezzo, la
“duplice subordinazione” del regno delle Ryukyu. Il regno non
faceva parte del Giappone, era riconosciuto dalla Cina e quindi era
una nazione autonoma, ma era una sorta di possedimento privato di
Satsuma. Il feudo di Satsuma permise ed incentivò questa ambiguità
perché necessitava dei beni provenienti dalla Cina, tramite le
Ryukyu (stato tributario), in un periodo di quasi totale chiusura del
Giappone. Infatti le dinastie imperiali cinesi furono mantenute
all'oscuro della sottomissione verso il Giappone, in modo da poter
continuare ad incamerare i beni cinesi.
Il re
ryukyuano Sai On (1682-1761) fu il promotore di una politica di
neutralità, leale verso la Cina, ma realistica verso i giapponesi
che stanziavano nel proprio regno. Alla fine del 700 sulle isole
Ryukyu iniziarono ad arrivare i primi occidentali, che chiedevano la
stipula di contratti commerciali e l'apertura dei porti del regno. Il
sovrano delle Ryukyu, su ordine dei Tokugawa, si rifiutò sempre di
instaurare rapporti con gli occidentali. Finché arrivo il commodoro
Perry nel 1853, che, sapendo della “doppia subordinazione” delle
Ryukyu, voleva usare l'arcipelago come ponte per arrivare al
Giappone. Con la restaurazione Meiji iniziò la fine del regno delle
Ryukyu, man mano il Giappone rivendicava con sempre maggiore forza la
sua sovranità sulle isole. Nel 1879 ci fu l'annessione, che venne
portata avanti anche con richieste giuridiche internazionali, ma che
fu conclusa con l'invasione delle Ryukyu, che non possedevano né
armi né un esercito, con la motivazione della omogeneità razziale
tra il Giappone e le Ryukyu. Le Ryukyu cambiarono così nome in
Okinawa, diventando una provincia, il re Sho Tai fu obbligato a
risiedere a Tokyo. Queste misure presero il nome di “Ryukyu
shobun”, e sancirono la fine del regno dopo 7 secoli.
Una
volta annesse le Ryukyu il governo di Tokyo iniziò ad assimilare
culturalmente la popolazione, tramite 3 direttrici: La revisione del
sistema educativo; la coscrizione obbligatoria; la riorganizzazione
dell'ordine pubblico. I burocrati giapponesi inviati a Okinawa, oltre
ad essere gli scarti dell'amministrazione imperiale, consideravano
gli okinawani non giapponesi. In molti documenti dell'epoca gli
okinawani vengono tacciati di scarsa devozione verso il tenno e il
kokutai. Inoltre la popolazione non era considerata affidabile nel
caso in cui si fosse dovuto difendere l'arcipelago da una guerra
contro la Cina. Nella popolazione ryukyuana si svilupparono 2
correnti: quella (maggioritaria) detta “corrente degli ostinati”
o bianchi, che sperava ad un ritorno alla Cina e considerava i
giapponesi degli usurpatori, pur non opponendosi a loro militarmente.
E la “corrente degli innovatori” o neri, che, accettando i
cambiamenti moderni, sostenevano più o neo attivamente la causa
nipponica. Con la sconfitta della Cina nella guerra contro il
Giappone (1894-95) le speranze della “corrente degli ostinati”
tramontarono, lasciando spazio alla rassegnazione. Una delle forme di
protesta dei ryukyuani era quella di mantenere la classica
acconciatura di capelli, la katakashira. La cultura dell'etica
militare era sconosciuta alla popolazione di Okinawa, che fu sempre
disarmata. Inoltre sotto il regno di Sho Shin (1477-1526) fu
addirittura vietato per decreto reale l'atto di sacrificare la
propria vita come atto di fedeltà verso il proprio capo. La
diffidenza dei governanti Meji era così alta che, nonostante la
coscrizione obbligatoria, vennero posti di vincoli fisici
all'arruolamento, vincoli che tenevano fuori gran parte dei giovani
okinawani. Questi vincoli decaddero nel 1907, quando, ormai,
l'assimilazione tramite la scuola dei giovani era stata effettuata.
L'educazione
scolastica riuscì ad indottrinare la popolazione verso principi a
loro sconosciuti, l'unità razziale giapponese (di cui non avevano
mai fatto parte), la devozione verso l'imperatore, il nazionalismo,
il militarismo, la religione di stato shintoista.
Il
dialetto Hogen, la lingua ryukyuana, fu vietato, e l'insegnamento del
cinese fu sostituito col giapponese, che era sconosciuto alla quasi
totalità della popolazione. L'indottrinamento diede i suoi frutti
durante il secondo conflitto mondiale, quando gli okinawani pagarono
un forte tributo di vite umane.
Il
Giappone adottava verso gli abitanti di Okinawa la politica “della
pace ad ogni costo”, con lo scopo di ridurre al minimo le frizioni
con la classe dirigente e nobile ryukyuana. L'arcipelago non fu mai
ricco, e la povertà continuò anche dopo l'annessione nipponica, il
governo di Tokyo si limitava a foraggiare la classe dirigente per non
avere noie. Dei 27 governatori di Okinawa dal 1879 al 1945 nessuno
era dell'arcipelago, ed il numero dei funzionari pubblici era
bassissimo.
Nel
periodo fino alla fine del secondo conflitto mondiale l'inasprimento
dell'ideologia nazionalista nipponica portò a creare il nesso tra
diversità (i costumi di Okinawa) e dissenso, quindi gli okinawani
era accusati di non sostenere il tenno e il kokutai, l'accusa contro
di loro era quella di “hinohonteki” (non giapponesità). Il
diverso trattamento verso Okinawa, rispetto al resto del Giappone,
risaltò nel periodo successivo all'attacco di Pearl Harbour fino
alla battaglia di Okinawa. Fin dal 1943, quando la vittoria della
guerra lampo era fallita, Okinawa fu pesantemente fortificata, in
previsione di uno sbarco americano. Per alcuni questa fu la prova che
il governo di Tokyo aveva deciso di confinare il conflitto su terra
in una zona sacrificabile del paese, sacrificabili anche gli
okinawani. Infatti dal 1944 i familiari dei giapponesi furono
“rimpatriati” in zone meno esposte, mentre gli okinawani venivano
spostati in zone dove non intralciassero i militari giapponesi, zone,
molto spesso, non rifornite o infestate dalla malaria (circa 3600
okinawani morirono per questo). Per ultimo, altro comportamento
difforme rispetto ai giapponesi, gli okinawani, visto l'insufficienza
delle truppe regolari, furono arruolati fuori dalle fasce di età
consentite (meno di 15 ani per i maschi e meno di 17 per le femmine).
Per difendere il sacro suolo nipponico questi soldati bambini (oppure
vecchi ultra sessantenni) erano equipaggiati di bastoni di bambù.
I
libri di testo attuali giapponesi sono superficiali su vari aspetti
della seconda guerra mondiale, in particolare sulla battaglia di
Okinawa. Ci si limita a scrivere che la popolazione oppose una
“accesa resistenza” in una “terribile battaglia che durò circa
3 mesi” dove trovarono la morte “numerose persone” e l'esercito
venne annientato. Nulla sui metodi di arruolamento della popolazione.
Nulla sull'evacuazione della zona, che più che proteggere gli
abitanti, mirava a ridurre le bocche da sfamare e di quanti non
fossero arruolabili. Nulla sulle centinaia di okinawani giustiziati
perché ritenute spie, solo per aver parlato in okinawaese. Nulla sui
“suicidi di gruppo”, spesso forzati dai militari giapponesi.
Nulla sui civili uccisi perché cercavano di arrendersi agli
americani.
I
militari giapponesi erano, per esempio, autorizzati ad uccidere i
bambini di Okinawa, se col loro pianto rischiavano di farli scoprire.
A questo punto i genitori avevano solo 2 possibilità per potersi
salvare, uccidere il nemico oppure i propri figli.
Secondo
dati giapponesi le vittime della battaglia di Okinawa furono 200 mila
e 12 mila gli americani. Altri dati indicano solo trai civili di
Okinawa tra i 150 mila e i 200 mila morti. Okinawa era stata
sacrificata per rallentare per 3 mesi l'avanzata Usa.
Alla
fine della battaglia di Okinawa l'arcipelago fu posto sotto
amministrazione Usa. Il territorio era devastato, l'agricoltura
azzerata, senza contare i feriti e le malattie. Sorse anche il
problema dei rimpatriati okinawani dai territori invasi ed ora persi
dai giapponesi. Gli Usa iniziarono la distribuzione di cibo e la
ricostruzione dell'isola, nel contempo i militari americano
requisirono 30000 acri fertili (un terzo delle terre coltivabili) per
destinarle ad uso militare, ciò compromise la già precaria
autosufficienza alimentare okinawana.
Quando
il Giappone si arrese iniziò la smilitarizzazione della nazione
nipponica, ma non per Okinawa, che vide l'occupazione Usa fino al
1972. Nel 1946 gli usa rinominarono l'arcipelago col nome originale,
Ryukyu, e lo separarono dall'amministrazione giapponese. Verso il
1949, la mutata situazione geopolitica della regione, portò alla
trasformazione di Okinawa in una base militare permanente contro
l'espansione comunista. Gli Usa requisirono terreni sempre più vasti
(furono 150 mila i contadini espropriati) e trasformarono Okinawa in
una retrovia della guerra in Corea e poi in Vietnam. La popolazione
iniziò a protestare contro la presenza americana, nacquero i primi
movimenti popolari per il ritorno al Giappone (fukkikyo). Ma anche
Tokyo ebbe dei vantaggi dalla militarizzazione di Okinawa, riuscì
così a scaricare sull'arcipelago il grosso delle truppe Usa, con
annessi proteste della popolazione. Evitò di avere sul suolo
giapponese le basi nucleari americane, che vennero, invece, costruite
ad Okinawa.
La
legittimità internazionale della separazione dal Giappone di Okinawa
poggiava su basi labili. L'articolo 3 del trattato di San Francisco
sanciva la separazione di Okinawa. Nel 1962 Kennedy dichiarò che
Okinawa sarebbe stata restituita al Giappone quando le garanzie per
il mondo libero lo avrebbero permesso. Il governo di Tokyo non si
oppose mai allo status quo, che manteneva su Okinawa e su i suoi
abitanti solo una “sovranità residua”, che era sconosciuta nel
diritto internazionale. I ryukyuani rimanevano cittadini giapponesi,
ma l'unico diritto del Giappone, in base alla “sovranità residua”
era che gli usa non avrebbero trasferito l'arcipelago ad un paese
terzo. In base all'articolo 3 gli usa avrebbero dovuto presentare una
richiesta di amministrazione per le Ryukyu all'Onu, col parere del
Giappone, ma gli usa, in più di 2 decenni, non fecero mai tale
richiesta. Mantenendo, così, l'amministrazione totale delle Ryukyu.
Comunque, anche in questo caso, il Giappone non protestò mai
ufficialmente con gli usa o con l'Onu. Sempre l'articolo 3
trasformava le Ryukyu e i suoi abitanti in una non-nazione, non
veniva applicata né la costituzione giapponese né quella
statunitense. Un tribunale ryukyuano poteva essere sostituito da uno
Usa a discrezione degli americani. Questo capitava nei numerosi casi
di crimini, anche gravi, commessi dai militari americani contro
ryukyuani, fatto che generava un forte malcontento tra la popolazione
contro gli americani. Il vertice di comando Usa nelle Ryukyu aveva il
diritto di veto sull'attività dell'assemblea legislativa, emanare
ordinanze, introdurre emendamenti, inoltre nominava il capo
dell'esecutivo, i giudici, e poteva rimuovere i funzionari pubblici.
Nel
1951 fu costituita l'associazione per la promozione del ritorno al
Giappone, che si batté per 20 anni. All'interno dell'associazione
spiccava l'opera dell'associazione degli insegnanti di Okinawa. Man
mano il movimento si spostava su posizioni antiamericano, a causa
della frustrazione per non riuscire ad ottenere nessun riconoscimento
alle proprie richieste.
E'
curioso notare che durante l'annessione giapponese del 1879 i
ryukyuani non usavano il nuovo nome Okinawa, per mantenere le proprie
tradizioni. Così, durante l'occupazione Usa, che avevano rinominato
Okinawa in Ryukyu, si continuava ad usare il nome Okinawa imposto dai
giapponesi, per rimarcare la non annessione americana, perdendo così
lo spirito d'indipendenza ryukyuano.
L'amministrazione
americana considerava l'associazione per il ritorno al Giappone,
specialmente quella degli insegnanti, uno strumento del comunismo
internazionale, in particolare di Pechino.
Il
dibattito sulla riunificazione di Okinawa verteva principalmente
sulle basi militari Usa. Gli americani erano disposti a restituire
l'amministrazione al Giappone mantenendo le basi, che erano la fonte
primaria di reddito per i ryukyuani, ma il problema più grosso erano
le basi militari nucleari e chimiche, vietate dalla costituzione
giapponese. Ben presto si delineò uno scambio, la restituzione delle
Ryukyu al Giappone in cambio del mantenimento delle basi usa, anche
quelle nucleari. La firma nel 1971 a Washington che sanciva il
ritorno di Okinawa al Giappone non fermò le proteste della
popolazione, dato che fu confermato il carattere militare
dell'arcipelago, la presenza di tutte le basi Usa, e la sostituzione
con militari giapponesi di quelle poche unità americane rimpatriate.
Nel 1970 a Koza ci furono gravi scontri tra la popolazione e le
truppe Usa.
Il 15
maggio 1972 le Ryukyu tornarono ad essere territorio giapponese,
ricambiando nome in Okinawa. L'insoddisfazione degli okinawani per
gli accordi tra Usa e Giappone lasciò spazio alla felicità per la
riunificazione e la fine dell'amministrazione americana, ma questa
euforia durò poco. I problemi dovuti al sottosviluppo
economico/industriale dell'arcipelago non tardarono a farsi sentire.
Tokyo iniziò un piano decennale per lo sviluppo di Okinawa, che non
era ai livelli economici del resto del Giappone. Già nel 1975 la
situazione economica di Okinawa era peggiorata, più inflazione, più
disoccupazione, aumento dei costi dei terreni, si era in pratica
passati da un dominio economico Usa ad uno dei capitali giapponesi.
Non erano state incentivate le poche industrie di Okinawa, che
fallirono ben presto a causa della concorrenza di quelle della
madrepatria, ed in più iniziò lo sfruttamento selvaggio dei siti
ambientali, rimasti fino ad allora abbastanza integri. Inoltre le
problematiche legate alle basi Usa continuavano come prima del 1972,
i soprusi e le violenze dei militari americani non diminuirono. In
più la riunificazione riportò i militari giapponesi sul suolo di
Okinawa, riesumando i ricordi ancora freschi dei loro soprusi durante
la battaglia di Okinawa. Il governo di Tokyo cercò di far rientrare
gli okinawani all'interno dello spirito di rispetto verso
l'imperatore, cosa che, invece, scatenò un forte dibattito (solo a
Okinawa) sulle responsabilità di Hirohito sia sulla guerra che sulla
battaglia di Okinawa. Durante la prima visita di un esponente della
casa imperiale nel 1975, il principe ereditario Akihito dovette
essere protetto da più di 300 saldati e subire numerose proteste da
parte degli okinawani. Contro Akihito e la consorte Michiko fu
addirittura lanciata una bomba molotov. Questo fatto avvenne durante
la visita al monumento commemorativo di Himeyuri, eretto per le 200
studentesse, facenti parte del corpo di giovani volontarie, morte
durante la battaglia di Okinawa. Di quel corpo di volontarie ben 40
erano ancora vive, di queste 40 solo 3 accettarono di incontrare la
coppia imperiale, le altre si rifiutarono adducendo i legami tra
Akihito ed Hirohito, il responsabile ultimo di quelle morti.
Nel
1979 vennero pubblicate, da fonte Usa, alcune lettere (documenti
Sebald) intercorse tra MacArthur e la casa imperiale, cioè Hirohito,
il cui contenuto ebbe l'effetto di approfondire il solco tra
okinawani e yamatonchu (come gli okinawani chiamano i giapponesi).
Nelle lettere si evinceva che Hirohito aveva caldeggiato la cessione
di Okinawa agli usa (anche per 50 anni!) pur di salvare la sua figura
e il sistema imperiale.
Nel
1987 venne annunciata la prima visita di Hirohito ad Okinawa (in
assoluto la prima visita di un imperatore giapponese
nell'arcipelago), nonostante l'appoggio delle autorità di Okinawa
alla visita iniziarono le polemiche sulle responsabilità di Hirohito
e le manifestazioni contro la sua venuta. Ad un mese dall'arrivo di
Hirohito la casa imperiale annunciò che, a causa di un piccolo
intervento chirurgico, l'imperatore sarebbe stato sostituito da
Akihito. In fondo, togliendo i 27 anni di occupazione Usa, Okinawa
era stata giapponese per neppure un secolo, forse troppo poco per
infondere nella popolazione quel senso di fedeltà, almeno nelle
manifestazioni pubbliche, che animava il resto dei giapponesi.
Il
1989 vide 2 eventi importanti per Okinawa e il Giappone. La morte di
Hirohito e l'ascesa al trono di Akihito, non coinvolto nei fatti
della seconda guerra mondiale. E la caduta del muro di Berlino, con
la fine della guerra fredda, ciò fece sperare agli okinawani un
forte ridimensionamento dello schieramento militare americano. Ma
fino al 1996 nulla cambiò, Okinawa, col suo 0,6% del territorio
nazionale, continuò ad ospitare il 75% della basi Usa in Giappone.
Il 4
settembre 1995 una studentessa dodicenne fu violentata da 3 militari
americani. La violenza fu la classica goccia che fa traboccare il
vaso. A seguito delle proteste della popolazione e della
preoccupazione della autorità di Tokyo e Washington che l'ostilità
degli okinawani raggiungesse il punto del non ritorno, nel 1996 fu
firmato l'accordo per la prima riduzione di basi e militari Usa ad
Okinawa.
Sempre
nel 1995 il governatore di Okinawa Ota Masahide sollevò un
contenzioso legale cn Tokyo sugli affitti ai proprietari dei terreni
espropriati dagli americani. Il conflitto legale, cosa mai accaduta
prima, fu portato fino all'Alta Corte giapponese, che diede torta a
Ota e agli okinawani, ma fu la prima volta che Okinawa si Ribellava
apertamente a Tokyo. Per una volta un politico di Okinawa non era
accusabile di Jidaishugi, “servilismo ed adulazione dei potenti”.
Caratteristica della classe dirigente okinawana (e ryukyuana prima)
che nei secoli, e anche alla fine degli anni 90, li aveva
contraddistinti.
Fino
alla fine degli anni 90 Okinawa, nonostante i passi in avanti in
economia, è rimasta la provincia giapponese meno ricca e col tasso
di disoccupazione più alto.
Il
mito della omogeneità giapponese, che pervade gli abitanti della
madrepatria, genera discriminazione verso le minoranze, e gli
okinawani, con la loro scarsa fedeltà alla casa imperiale,
continuano a dimostrare la loro unicità ai giapponesi.
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