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domenica 2 giugno 2013

Hirohito, l'imperatore opaco: mito e verità


TITOLO: Hirohito, l'imperatore opaco: mito e verità
AUTORE: Edward Behr
CASA EDITRICE: Ponte delle Grazie
PAGINE: 382
COSTO: 16,5 €
ANNO: 1989
FORMATO: 24 cm X 16 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: ?

Questa biografia di Hirohito risale al 1989, ed il suo autore non nasconde d'essere contrario alla figura imposta dagli Usa e dal Giappone stesso di un imperatore in balia dei militari. Per smentire questa (re)visione storica di Hirohito porta all'evidenza numerosi documenti e fatti della casa imperiale che dimostrano come l'imperatore ebbe un ruolo non marginale in tutta la guerra. Il libro è incentrato sul periodo antecedente la guerra e su quello della guerra, poco spazio è lasciato all'Hirohito del periodo che va dagli anni 50 fino alla sua morte.
Capitolo 1 Un sovrano irresponsabile?
Durante il primo incontro tra MacArthur e Hirohito questi disse al generale statunitense: “”Il partito della pace non poté imporsi prima che il bombardamento di Hiroshima creasse una situazione suscettibile di essere drammatizzata”.
Al momento della capitolazione la casa imperiale ordinò a tutti i ministri di bruciare tutti i documenti riservati, specialmente quelli sull'imperatore, l'operazione fu così efficace che gli americani non trovarono praticamente nessun documento. La tesi che che Hirohito fu succube dei militari fu l'ideale per permettergli di restare imperatore, cosa che MacArthur riteneva indispensabile per evitare una sollevazione popolare e mantenere il Giappone quale baluardo contro l'URSS. Ci sono stati, però, casi in cui Hirohito dimostrò le sue capacità decisionali, il 26 febbraio 1936 stroncò con la sua autorità una sommossa dell'esercito, e nell'agosto del 1945 impose al governo la capitolazione. Mentre in altri casi, in cui l'esercito prevaricò il governo facendolo trovare davanti al fatto compiuto, come l'incidente di Mukden, Hirohito non si schierò. Inoltre Hirohito accettò senza riserve la guerra totale del 1937 contro la Cina, lamentandosi solo che la promessa dei militari di una vittoria veloce fu ingannevole. Hirohito non solo era a conoscenza dei preparativi per l'attacco a Pearl Harbor, ma domandò ai suoi generali se non fosse necessaria anche l'invasione della Thailandia. Esiste una traccia scritta che Hirohito conoscesse la data dell'attacco a Pearl Harbor. Per tutti i giapponesi Hirohito era un Dio, una sua presa di posizione pubblica (o all'interno del gabinetto governativo) contro la guerra non poteva essere ignorata. Tutti i tribunali di guerra in Europa e Asia condannarono a morte tantissime persone con ruoli meno importanti di Hirohito, Hirohito non fu neppure indagato.


Capitolo 2 L'infanzia
Hirohito nacque nel 1901, in era Meiji, quindi nella biografia si riportano i fatti più importanti della Restaurazione Meiji e dei conflitti con Cina e Russia.
A due mesi e mezzo di vita Hirohito fu separato dalla madre e affidato a dei tutori, il conte Kawamura. Alla morte di questi, nel 1904, fu portato nel palazzo di Akasaka, dove viveva il padre, ma non partecipava alla vita famigliare, perché fu messo a risiedere in una casa indipendente. Fino
ad allora Hirohito era sempre stato attorniato da gente adulta di corte e da militari che lo trattavano come un essere divino. Iniziò a frequentare assiduamente dei coetanei con l'inizio dell'istruzione privata, ma l'insegnane era severo, e l'unico famigliare con cui aveva contatti regolari era il fratello minore Chichibu. Hirohito vedeva la madre una volta alla settimana, il padre ancora meno spesso. Hirohito era un bambino mingherlino, camminava trascinando i piedi, non restava dritto a causa della scoliosi, era miope (nonostante questa miopia rimase dei mesi senza occhiali perché “un imperatore non li porta”), i suoi fratelli erano tutti più prestanti di lui. In questo periodo la persona a lui più vicina fu il suo precettore, il generale Nogi, eroe della guerra contro la Russia. Il generale Nogi divenne per Hirohito una figura paterna sostitutiva, visto che il padre Yoshihito era sempre assente. Quando Hirohito aveva 12 anni l'imperatore Meiji morì, e il generale Nogi fece seppuku per seguirlo, il bambino rimase molto scosso da queste due perdite.

Capitolo 3 L'educazione sentimentale
Ormai Hirohito era il principe ereditario, dei tanti insegnanti quello che lo colpiva più favorevolmente era il dottor Hattori, che gli insegnava scienze naturali e biologia, e da lui acquisì la passione per la biologia marina fin dai 15 anni. Però queste sue passioni poco guerresche impensierivano i generali. Quindi il padre mandò nella stanza di Hirohito una sua concubina per verificare che il ragazzo s'interessasse anche ad altro, la concubina dell'imperatore rassicurò l'imperatore che l'erede al trono aveva anche altre passioni.
Viste le condizioni precarie di salute mentale dell'imperatore Yoshihito era necessario che Hirohito si preparasse a diventare reggente, ma prima doveva sposarsi. Qui si scatenò una dura lotta tra i clan Satsuma e Choshu per decidere di quale clan sarebbe stata la futura imperatrice. In particolare il potente jenro (consigliere anziano dell'imperatore) del clan Chshu, il generale Aritomo Yamagata, fece di tutto perché si scegliesse una donna appartenente al suo clan. Alla fine Hirohito, appoggiato dalla madre, riuscì a scegliere autonomamente la sua fidanzata, la principessa Nagako (allora 14enne), di un clan meno potente, quello di Fushimi. Il jenro Yamagata (l'altro jenro influente era quello del clan Satsuma, Saiongi) iniziò una serie di complotti imperiali per rompere il fidanzamento tra Hirohito e Nagako, per sei anni ci fu incertezza, fino al tentativo ultimo che fallì. L'ultima carta di Yamagata fu il daltonismo della famiglia Fushimi, che avrebbe potuto colpire i figli di Hirohito. L'ultimo complotto fallì anche grazie al consenso che il capo della malavita più temuta, la società del drago nero (della destra nazionalista), Toyama riuscì a creare sulla stampa a favore del matrimonio tra Hirohito e Nagako.

Capitolo 4 L'incontro con l'occidente
Il 3 marzo 1921 Hirohito partì per un lungo viaggio in Europa. Secondo lo stesso Hirohito questo fu il periodo più bello della sua vita. Al suo rientro trovò due situazioni di crisi, oltre al peggioramento della salute mentale del padre. La morte del jenro Yamagata che non venne sostituito da un altro jenro, lasciando l'anziano e filo occidentale (e antimilitarista) Saiongi l'unico consigliere dell'imperatore. E l'omicidio, ad opera di un estremista, di destra, del primo ministro Takashi Hara, reo (per l'assassino) di aver mancato di rispetto alla marina imperiale. In quel periodo alcuni politici cercavano di ridurre le spese militari, cosa a cui i militari si opponevano, spalleggiati da due figure di spicco del periodo, che ebbero un gran rilievo nella deriva militarista giapponese, il dottor Shumei Okawa e Ikki Kita. Per tutti quelli che considerano Hirohito un personaggio politicamente passivo e neutro varrebbe la pena di approfondire la creazione da parte sue della scuola Daigaku, che riuniva l'élite militare e nobile, istigando il nazionalismo e l'espansionismo militare.
Il 25 novembre 1921 Hirohito divenne reggente. Il 27 dicembre 1923 Hirohito fu vittima di un attentato, Daisaku Namba, un membro scontento del clan Choshu, gli sparò. Nonostante fosse il figlio di un noto politico non di sinistra venne qualificato come un attentato rivoluzionario filocomunista.
Il 26 gennaio 1924 Hirohito si sposò con Nagako, dopo 5 ani di fidanzamento.

Capitolo 5 Gli anni della reggenza
Alla cerimonia del matrimonio di Hirohito con Nagako parteciparono solo 700 persone, tra questi c'era il padrino malavitoso Toyama, che si era speso a favore dell'unione.
Da reggente prima e imperatore poi Hirohito si rese conto che per evitare di commettere errori nel condurre il paese doveva sempre avallare le scelte dei politici e dei militari, ma non era un loro burattino. L'imperatore aveva il diritto di veto illimitato, oltre ad essere considerato un Dio. Inoltre Hirohito, dovendo apportare apporre il suo sigillo su tutti i provvedimenti importanti, pretendeva di leggere tutti i documenti inerenti. Quindi aveva potenzialmente un immenso potere di veto su tutto, anche di carattere informale, cioè prima che gli fosse presentata una legge gli bastava far capire che era contrario per far sì che questa venisse cassata. Difficile continuare ad affermare che Hirohito fosse all'oscuro di tutto. C'è da aggiungere che l'enorme patrimonio personale di Hirohito fu usato spesso per finanziare progetti segreti, che il governo non poteva pagare per mancanza di fondi. In questo capitolo son ben spiegati i rapporti di forza tra il Giappone (guidato dal primo ministro Giichi Tanaka) e i leader cinesi alleati del Giappone, seppur tra loro nemici, Chiang Kaishek e il generale Zhang Zuolin. I due leader cinesi vennero mesi da parte, tentando anche di eliminarli, quando il Giappone decise di prendersi tutta la Manciuria e la Cina.

Capitolo 6 “Tenno Heika, Banzai!”
Questo capitolo riporta la cerimonia d'incoronazione di Hirohito e gli impegni a cui il neo imperatore era sottoposto. Inoltre descrive l'organizzazione imperiale che gestiva i suoi impegni ufficiali, militari, privati e pubblici. In particolare la figura del Gran Ciambellano di corte, che si occupava di gestire anche il patrimonio di Hirohito, mantenendo i contatti con gli zaibatsu, in cui quasi tutto era investito. Questi zaibatsu fecero enormi profitti dall'invasione della Manciuria e del resto della Cina, ed in seguito di tutta l'Asia.
Il periodo 1928-1930 fu quello della “grande crisi”, che vide i contadini precipitare in una povertà estrema, in parallelo un costante nazionalismo e militarismo si facevano strada tra gli intellettuali (quelli contrari erano messi a tacere o arrestati), i politici e i militari. Ma la povertà dei contadini non era l'argomento principale del paese, lo era il trattato di Washington che poneva un limite (considerato ingiusto dai giapponesi) alla dimensione della marina nipponica. Vengono spiegati tutti i retroscena di questo fatto, compreso l'attentato al primo ministro Hamaguchi, reo di aver accettato il trattato di Washington, avversato dai nazionalisti. Le trame ordite dalle sette estremistiche come il Drago Nero e il Fiore di Ciliegio (conosciute dai membri del governo), che portarono all'attentato. Sono riportate le pressioni di Hirohito per far avere alla marina un finanziamento statale molto alto. L'assassino di Hamaguchi non fu giustiziato, né finì in carcere, fu amnistiato e ricevette una cospicua pensione. Ancora nel 1956 era politicamente attivo con lo stesso fervore nazionalistico. Hirohito avrebbe potuto “sconsigliare” l'amnistia a Sagoya, l'impunità per l'assassino fu la fine del periodo liberale di Hirohito e della giovane democrazia giapponese.

Capitolo 7 L'incidente di Mukden
Tutte le fasi che portarono all'incidente di Mukden sono riportate in questo capitolo. Dal finto tentativo di colpo di stato in cui fu coinvolto il generale Ugaki (nel marzo del 1931), e di cui taluni considerano impossibile che Hirohito ne fosse all'oscuro,a tutti i piani per creare l'incidente di Mukden. I tre artefici materiali dell'incidente di Mukden, che diede ai giapponesi la scusa per invadere la Manciuria, furono i colonnelli Doihara, Itagaki e Ishiwara. Hirohito prese le distanze dagli esecutori dell'attentato, che ufficialmente fu commesso dai cinesi, ma non mise in opera nessun provvedimento per impedirlo, benché fosse improbabile che fosse all'oscuro di tutto, visto che erano coinvolti tutti i vertici militari. Come sempre Hirohito riusciva a passare come una figura di secondo piano in tutti questi eventi del settembre 1931. Una volta conquistata la Manciuria, il tutto senza un ordine del governo (che comunque aveva avuto informazioni sui piani dei militari), nessuno dei militari coinvolti subirono punizioni, anzi, furono tutti promossi. Difficile affermare che Hirohito fosse ostile all'invasione della Manciuria.

Capitolo 8 Il crollo del sistema dei partiti
Questo capitolo descrive tutte le fasi che portarono al crollo del sistema democratico basato sui partiti. Il biennio 1931-32 fu un periodo negativo per Hirohito, i suoi propositi (enunciati durate l'incoronazione) di essere l'imperatore dello sviluppo e della pace contrastavano ormai con i fatti quotidiani. In uno dei numerosi complotti militari di questo periodo fu coinvolto anche il principe Chichibu (quello del 17 ottobre 1931). Parte di questa instabilità era dovuta al fatto che dopo dieci anni di matrimonio l'imperatrice non aveva ancora dato alla luce un erede maschio. Hirohito affidò il governo al primo ministro Tsuyoshi Inukai, amico di Chiang Kaishek, con l'incarico di pacificare i rapporti con la Cina. Inukai portò avanti i negoziati di pace finché con l'incidente di Shangai, identico a quello di Mukden, del marzo 1932, tutte le speranze di pace tramontarono. A quel punto iniziarono una serie di omicidi politici di esponenti di governo moderati, ad opera di varie sette di estremisti di destra, fino all'uccisione dello stesso Inukai. Da notare che il govenro Inukai aveva come capo di stato maggiore il principe Kanin, zio dell'imperatrice Nagako, designato da Hirohito. Il principe Kanin avrebbe avuto l'autorità, sia quella propria di capo di stato maggiore che quella dovuta al suo rapporto con Hirohito, per stroncare tutte le sette estremiste che imperversavano tra i militari. I processi ai cospiratori dell'omicidio di Inukai furono una farsa, e gli accusati rimasero alla fine impuntiti. Da quel momento i successivi primi ministri furono scelti al di fuori dei partiti, figure scelte tra i ranghi dell'esercito o della marina. I militari acquisirono sempre più potere, in questo mai ostacolati da Hirohito. Nel marzo 1933 la Società delle Nazioni condannò il Giappone per l'invasione della Manciuria, quindi il Giappone si ritirò dal consesso internazionale.

Capitolo 9 L'imperatore-organo
In questo capitolo si ripercorrono le polemiche e le violenze politiche che si scatenarono nel 1935 a proposito delle teorie costituzionali del professor Tatsukichi Minobe, che asseriva (da 30 anni) che l'imperatore fosse un organo dello Stato. Gli estremisti di destra non potevano accettare queste sue teorie, visto che consideravano l'imperatore superiore allo Stato, un dio. Le polemiche, e la successiva cacciata degli accusati, erano solo un pretesto per scalzare gli ultimi oppositori ai piani espansionistici dei militari. Ad Hirohito sarebbe bastato convocare il professor Minobe, stimato da tutti e lontano da qualsiasi estremismo, e fare una pur minima dichiarazione a suo favore, per placare la polemica ed indebolire le mire dei militari. Il governo Okada decise di eliminare la teoria “dell'organo”, e il professor Minobe si dimise prima dal seggio alla camera dei pari e poi si ritirò a vita privata, dopo, però, aver subito due attentati alla sua vita.

Capitolo 10 2/26: la sommossa
Questo capitolo ripercorre cronologicamente i fatti politici e militari che precedettero e seguirono la sommossa del 26 febbraio 1936, ad opera di alcuni ufficiali dell'esercito. L'antecedente del tentato colpo di mano fu l'allontanamento, su pressione anche di Hirohito (che quindi quando voleva esercitava “pressioni”), del generale ultra nazionalista di destra Mazaki. Un fedele ufficiali di Mazaki, il tenete colonnello Aizawa, si recò dal generale Nagata (legato strettamente ad Hirohito) per richiedere il suo reintegro. Al rifiuto opposto dal generale Nagata il tenente colonnello Aizawa lo uccise. Il processo che ne scaturì fu l'apoteosi del nazionalismo, da tutti era attesa la testimonianza dello stesso Mazaki prevista per il 25 febbraio. Nel frattempo il capitano Yamaguchi (non in solitudine) aveva organizzato un tentativo di colpo di Stato militare, per instaurare una dittatura direttamente guidata da Hirohito (la Restaurazione Showa), che avrebbe dovuto far piazza pulita delle sinistre e delle ultime flebili libertà di stampa, delle zaibatsu capitalistiche e continuare l'espansionismo militare. Il 26 febbraio gli insorti presero il controllo di numerosi uffici chiave, oltre ad irrompere nelle case di numerosi uomini di governo. L'ammiraglio Suzuki, gran ciambellano di Hirohito, fu quasi ucciso, il primo ministro scampò per poco, al suo posto fu ucciso il cognato. L'ammiraglio Saito, Guardia del sigillo imperiale, fu ucciso in casa. Ci furono numerosi altri omicidi, a cui scampò l'anziano jenro Saiongi, preavvertito telefonicamente. La mattina del 26 febbraio Hirohito fu informato dell'accaduto dal generale Honjo, parente del capitano Yamaguchi. Honjo, nei suoi diari, scrisse che Hirohito era furibondo, e fermamente intenzionato a stroncare la sommosa. L'autore da conto di tutti gli avvenimenti di quei 4 giorni di insurrezione, che vide un Hirohito sempre risoluto a stroncare gli insorti. Le truppe, dopo un ordine di Hirohito, si ritirano nelle caserme, gli ufficiali furono arrestati, ma le alte sfere non furono toccate, i 19 ufficiali riconosciuti colpevoli furono condannati a morte

Capitolo 11 Il declino del vecchio jenro
Questo capitolo affronta il periodo successivo all'insurrezione del 2/26 e il declino del jenro Saiongi. Dopo l'insurrezione fallita Hirohito aveva acquisito un rispetto maggiore da parte dei componenti della famiglia imperiale, avrebbe potuto esautorare tutti gli alti gradi militari che la organizzarono, invece decise di evitare ulteriori ribellioni venendo incontro alle richieste dei militari. Mettendo così nelle loro mani la formazione dei successivi governi, Hirohito non si oppose alle pretese dei militari che non nominando un ministro della guerra (o facendolo dimettere) potevano impedire la formazione di un governo sgradito. Nel 1937 i militari accettarono come primo il principe Konoye, ma ormai avevano preso il potere. Un mese dopo l'insediamento di Konoye crearono un altro “incidente” con la Cina, quello chiamato “incidente del ponte Marco Polo”, che permise ai militari di invadere il nord della Cina, sempre col consenso di Hirohito.
In questo contesto di rafforzamento dei militari l'anziano jenro Saiongi si sentiva sempre più emarginato ed amareggiato nel vedere l'imperatore avallare tutte le scelte dei militari. Hirohito si lamentava coi militari per la guerra in Cina, ma non per averla scatenata, ma perché, nonostante gli avessero promesso una vittoria veloce, questa non arrivava ancora. In questo periodo Hirohito si comportava in maniera molto ambigua con gli ambasciatori di Usa e Gran Bretagna, manteneva rapporti molto cordiali mentre avallava documenti che consideravano questi due paesi i futuri nemici da colpire. Hirohito apprezzava Hitler e consigliava di non entrare in guerra con l'URSS, ma spingeva per la conquista della Cina, il vecchio jenro Saiongi immaginava già a cosa andava incontro l'imperatore ed il paese, morì nel 1940, avendo la fortuna di non vedere avverati i suoi timori.

Capitolo 12 La violazione di Nanchino. L'unità 731
Il dodicesimo capitolo narra tutte le vicende che portarono all'occupazione di Nanchino, con tutte le atrocità ivi commesse e storicamente documentate. Inoltre evidenzia il piano di “guerra punitiva” verso la Cina che di quelle atrocità fu la causa premeditata, infine si occupa della famigerata Unità 731. Per tutte queste questioni storiche l'autore cerca di valutare quali informazioni avesse in merito Hirohito, ufficialmente lo apprese solo dopo la guerra(!). Per fare queste valutazioni è stata usata anche la biografia di Hirota Koki, scritta da Saburu Shiroyama, e da questa si evince chiaramente che Hirohito seppe fin da subito, informato tramite il diplomatico a Nanchino Shunrokuro Hidaka, dei massacri ad opera dei militari nipponici. Ordinò di fermarli immediatamente, nonostante uno dei generali più spietati a Nanchino fosse il principe Asaka, zio di Hirohito, ma il massacro continuò.
La creazione dell'Unità 731, comandata e creata dal generale Shiro Ishii, fu autorizzata dallo stesso Hirohito nel 1936, con dei fondi economici molto cospicui. Scopo dell'Unità 731 era la guerra batteriologica e chimica, i test erano compiuti direttamente su cavie umane, quasi sempre cinesi, ma anche di altre nazionalità, compresi occidentali fatti prigionieri. I soggetti di questi esperimenti erano anche le popolazioni civili, vennero uccisi decine di migliaia di cinesi inermi con armi batteriologiche disperse con varie metodologie. Inoltre l'Unità 731 compiva esperimenti “scientifici” aberranti sui prigionieri. In questo capitolo l'autore, a mio parere, commette un errore grossolano, forse dovuto ad una errata traduzione di un termine, “maruta”. I prigionieri cinesi usati per gli esperimenti furono soprannominati “maruta” (nel libro “marutas”!) dai loro carnefici, che secondo l'autore significa “cretini”. In realtà “maruta” significava “pezzo di legno”, perché una delle prime basi dell'Unità 731 era ufficialmente una segheria, quindi le cavie divennero dei “pezzi di legno” da segare, appunto “maruta”. Considerando che Hirohito leggeva tutte la documentazione prima di approvarla, e che era esso stesso uno scienziato, è difficile credere che non comprendesse lo scopo dell'Unità 731. Inoltre due suoi fratelli furono testimoni diretti dell'attività dell'Unità 731 visionando dei filmati, e il principe Takeda (cugino di Hirohito) era il responsabile delle finanze dell'Unità 731, ed ispezionò i campi più volte.

Capitolo 13 I falchi e le colombe
L'11 dicembre 1937, in pieno massacro di Nanchino, aerei della marina nipponica bombardarono e affondarono una nave da guerra Usa e una inglese. L'unico ufficiale che si espose per scusarsi ufficialmente e punire l'artefice dell'attacco fu l'ammiraglio Isoroku Yamamoto, che in seguito ideò l'attacco a Pearl Harbur. Nonostante il suo contributo nell'attacco a Pearl Harbor l'ammiraglio Yamamoto era uno dei pochi alti ufficiali avverso alla cricca militarista, non fece mistero in più occasioni di essere contrario alla deriva nazionalistica nella nazione, ed era contrario ad una guerra contro gli Usa, infine era convinto che Hirohito stesse dando ascolto a cattivi consiglieri, ma la devozione verso l'imperatore non gli permise di rifiutare gli incarichi affidatigli. L'ammiraglio Yamamoto era un buon esempio dello “sdoppiamento del pensiero” dimostrata da molti uomini di Stato di quel Giappone, compreso Hirohito. Pur rendendosi conto che la strada intrapresa li avrebbe portati inevitabilmente alla guerra con gli Usa, avendo ormai scelto una strada da seguire, non ebbero il coraggio di opporsi. In questo contesto è riportata la posizione e la storia di uno dei più stretti collaboratori di Hirohito, il marchese Kido. Questi, durante gli interrogatori americani, conscio che né l'imperatore né la famigliari imperiale sarebbero stati inquisiti, ammise come in 12 occasioni consigliò a Hirohito una linea contraria ai militari, ma solo tre volte i suoi suggerimenti vennero seguiti. Quindi Hirohito prese la decisione di favori una deriva militarista del paese. Queste considerazioni sono basate sui diari ufficiali di Kido. Un altro personaggio simile fu il primo ministro Konoye, nonostante non si fidasse dei militari non volle mai opporvisi platealmente.

Capitolo 14 Verso la catastrofe
Il 27 settembre 1940 fu firmata l'alleanza tripartita tra Italia, Germania e Giappone. Ormai erano in pochi ad opporsi, anche flebilmente, alla strada che il Giappone aveva imboccato. Questo capitolo cerca di rispondere ad alcuni quesiti riguardanti Hirohito: Come reagì Hirohito a questi avvenimenti? Era veramente costernato dall'ascesa del fascismo in Giappone e dal suo espansionismo militare, come vuole la versione ufficiale odierna? Aveva qualche margine d'azione? Era veramente nelle mani dei nazionalisti? Oppure Hirohito incarnò volontariamente la missione divina del Giappone di conquistare l'Asia?
Konoye in seguito ammise i suoi errori, se Hirohito avesse seguito la stessa via il giudizio sulla sua figura storica sarebbe diverso. Hirohito disse sempre che lui si oppose al partito della guerra, lo disse fino alla morte, tanto che divenne la verità per tutto il Giappone. Sfortunatamente i fatti raccontano un Hirohito diverso. Usando sempre i diari di Kido (e le memorie di Harada) sono riportate le conversazioni di Hirohito con alcuni membri di governo, nel periodo in cui i militari volevano conciliarsi con la Cina per attaccare l'URSS. Ma Hirohito si oppose, in quanto una volta iniziata la guerra con la Cina bisognava portarla a termine vittoriosamente. Non punì mai gli artefici degli attacchi a sorpresa contro i cinesi, anzi li appoggiò. Dopo una iniziale riserva verso l'alleanza con Italia e Germania ne divenne sostenitore, tanto da imporre delle cerimonie shintoiste per commemorare l'alleanza, cerimonie che non furono celebrate per il trattato anglo giapponese del 1904. Riguardo all'occupazione dell'Indocina Francese (in previsione di un'invasione di Malaysia, Filippine e Indie Olandesi) si ripropongono brani del “memorandum Sugiyama”, dove sono riportati i dialoghi di Hirohito coi suoi generali. Nei quali si comprende che l'imperatore era informato e partecipe delle decisioni prese in merito.

Capitolo 15 La via dei sudditi
Durante la parata principale per i festeggiamenti celebrati nel 1941 per il 2601esimo anniversario della fondazione dell'impero giapponese, il ministro degli interni barone Hiranuma disse, alla presenza di Hirohito, che il popolo giapponese era superiore agli altri popoli perché i loro regnanti e presidenti erano designati da altri uomini, mentre l'imperatore del Giappone discende dal cielo. Ed è in un contesto come questo di nazionalismo e militarismo ormai senza vincoli che venne resa obbligatoria la lettura della “via dei sudditi”. Un testo che attingeva principalmente ai proclami imperiali di Hirohito. Nella “via dei sudditi” erano giustificate tutte le aggressioni militari contro la Cina (Corea e Taiwan) e di tutte quelle che sarebbero seguite. E' riportata dettagliatamente la conferenza imperiale o gozen kaigi del 2 luglio 1941, dove si stilano i piani della guerra totale. Inoltre è riportato un interrogatorio degli americani a Kido. Da tutto ciò si evince che Hirohito sapeva tutto e partecipava attivamente.

Capitolo 16 Venti di guerra
In conseguenza dell'occupazione giapponese dell'Indocina Francese la Gran Bretagna e gli Usa cominciarono un embargo petrolifero. Nonostante ciò i negoziati diplomatici fra Usa e Giappone a Washignton continuarono. Sovente gli usa sono stati accusati di aver portato avanti questi negoziati in maniera intransigente per colpa della lobby cinese. In realtà gli usa, grazie all'operazione “Magic”, cioè la decrittazione del codice segreto giapponese, conoscevano le vere intenzioni nipponiche. Sapevano che per ogni comunicato verso gli Usa c'era un comunicato vero che tradiva le reali intenzioni giapponesi. Per esempio gli americani conoscevano, grazie all'operazione Magic, i contenuti della gozen kaigi del 2 luglio 1941.

Capitolo 17 I preparativi
Le trattative erano in stallo, così il 6 settembre ci fu una nuova gozen kaigi, in cui Hirohito chiese per l'ennesima volta ai militari se erano certi di poter sconfiggere gli Usa, alla risposta affermativa dei generali Hirohito fece partire i preparativi per la guerra, anche se la trattativa con gli usa continuava. I tentativi in buona fede del primo ministro Konoye di incontrare Roosvelt per impedire la guerra si scontrarono con la rigidità Usa, dovuta alla loro conoscenza dei cablogrammi criptati giapponesi, e alla contrarietà alla trattativa di Tojo. Il 16 ottobre Konoye presentò le sue dimissioni, e in una lettera ufficiale chiedeva di ricevere di nuovo l'incarico di primo ministro se l'imperatore riteneva la trattativa più importante della guerra, ma Hirohito scelse Tojo. Tutto ciò nonostante Hirohito avesse saputo delle perplessità non ufficiali della marina imperiale sulla possibilità di sconfiggere gli Usa. Ormai Hirohito aveva fatto partire il conto alla rovescia. Il 2 novembre Hirohito chiese ai due capi di stato maggiore, Nagano e Sugiyama, quali perdite il Giappone avrebbe subito nel primo attacco, la loro risposta fu pessimistica rispetto alle perdite che in realtà ebbero. Inoltre Hirohito si preoccupò di sapere con che scadenza ci sarebbe stata l'invasione di Hong-Kong e della Malaysia, infine chiese quale giorno la marina aveva scelto per attaccare Pearl Harbor, l'8 dicembre. Hirohito protestò che l'8 dicembre era un lunedì, ma gli fu spiegato che alle Hawai era ancora domenica 7 dicembre. Il 5 novembre ci fu una nuova gozen kaigi, in cui Hirohito pose nuove domande ai militari, e i piani d'invasione furono perfezionati. Intanto le trattative tra Nomura e Kurusu, da una parte, e Hull e Roosvlet, dall'altra continuavano, ma ai giapponesi servivano solo per prendere tempo, anche se i due diplomatici giapponesi erano all'oscuro del conto alla rovescia per Pearl Harbor. Il primo dicembre 1941 si svolse l'ultima gozen kaigi in tempo di pace, la data dell'8 dicembre fu confermata.

Capitolo 18 Pearl Harbor
Questo capitolo ripercorre le ore precedenti l'attacco a Pearl Harbor, compreso il ritardo nella consegna della dichiarazione di guerra. Gran parte delle versioni storiche (tutte quelle di matrice nipponica) dipingono un Hirohito preoccupato per l'esito della guerra, che visse come un incubo per tutta la sua durata. In realtà iniziò a preoccuparsi del conflitto quando questo smise di essere una cavalcata vittoriosa.

Capitolo 19 L'ombra della sconfitta
Finché le vittorie si susseguivano incessantemente Hirohito era euforico, tanto che il marchese Kido (così si può leggere nei diari Kido) racconta che l'imperatore mai esprimeva timori sul possibile epilogo negativo della guerra, né consigliava prudenza ai militari. Quando arrivò il rapporto sul successo dell'attacco a Peral Horbor Hirohito confidò a Kido e Sugiyama: “Quando ho appreso le ottime notizie relative all'attacco di sorpresa, ho sentito il favore degli dei”. Quando il 9 marzo 1942 gli venne comunicata la caduta di Singapore era in preda ad un entusiasmo sfrenato. L'euforia di Hirohito iniziò a svanire il 18 aprile 1942, quando dei B-25 riuscirono a bombardare Tokyo, senza provocare danni. Otto di quei piloti precipitarono sul territorio giapponese, dopo essere stati torturati vennero condannati a morte come “terroristi”. Hirohito commutò la condanna a morte di 5 piloti, ma permise l'uccisione dei restanti tre, nonostante che Tojo chiedesse che nessuno dei piloti fosse ucciso. Prima del bombardamento di Tokyo c'era stata la sconfitta giapponese a Midway, anche se gli effetti di quella battaglia navale non si compresero subito. Un anno dopo Pearl Harbor l'euforia di Hirohito e dei governanti giapponesi era scomparsa. Gli Usa avevano riconquistato le isole Salomone e Guadalcanal. All'inizio del 1943 i giapponesi si ritirarono da Buna in Niova Guinea, ormai era un bollettino quasi quotidiano di ritirate, fatte passare per grandi vittorie. Una propaganda bellica verso la popolazione che Hirohito sapeva essere una totale menzogna. Nel 1943 in una lettera a Kido (che in realtà era come se fosse diretta all'imperatore) l'ammiraglio Yamamoto (l'artefice di Pearl Harbor), usando come esempio il sumo, fece capire che il Giappone non poteva più vincere la guerra, anzi, era destinato alla sconfitta. In questo periodo Hirohito non lesinava critiche a Tojo e ai militari per le continue sconfitte, ed anche, seppur mai chiaramente, per il comportamento spietato delle truppe giapponesi verso civili e prigionieri. Nel gennaio del 1944 la guerra era ormai persa, gli Usa sbarcarono nelle isole Marshall. Ormai Tojo aveva perso la fiducia di Konoye, Kido e Takamatsu, il fratello minore di di Hirohito (considerato una colomba), ma l'imperatore continuava ad avere stima di Tojo, accettando che cumulasse svariati ministeri e si auto nominasse anche comandante dell'esercito.

Capitolo 20 La guerra continua
Dall'inizio del 1944 cominciarono le pressioni verso Hirohito affinché cercasse la via di una pace onorevole. Inoltre alcuni principi (Konoye e Higashikuni) iniziarono a preoccuparsi del futuro del sistema imperiale in caso di sconfitta nipponica. Con la caduta di Saipan il 9 luglio il Giappone era ormai oggetto di bombardamenti a tappeto. A Saipan oltre ai 30000 soldati nipponici morti, ci furono circa 10000 civili che si suicidarono (o furono uccisi dagli stessi giapponesi) pur di non cadere nelle mani degli americani. A questo proposito bisogna rammentare il messaggio imperiale che il governatore di Saipan ricevette all'inizio dell'invasione americana. Questo messaggio imperiale assicurava che tutti i civili deceduti sull'isola sarebbero stati innalzati allo stesso rango dei soldati morti in battaglia. Per molti questo messaggio imperiale, che dopo la guerra si cercò incredibilmente di fa passare non come un atto di Hirohito, fu la causa della morte di 1000 civili. Konoye, i primi giorni del luglio 1944, appoggiato da numerosi politici e dignitari, redasse un documento che spiegava chiaramente la posizione disperata del Giappone e la necessità di una pace immediata, facendolo pervenire all'imperatore tramite Kido. Hirohito ignorò quel documento, proseguendo la guerra. Dal novembre del 1944 iniziarono i bombardamenti incendiari americani sulle città giapponesi. Dopo l'invasione americana delle Filippine nel gennaio 1945 Hirohito convocò gli ex primi ministri per avere consigli sul da farsi. La maggior parte di essi non ebbe il coraggio di esprimersi chiaramente contro la guerra in presenza dell'imperatore, mentre Tojo disse che bisognava continuare la guerra fino al sacrifico finale, invece Konoye chiese all'imperatore di porre fine al conflitto immediatamente. Hirohito chiese a Konoye se, secondo lui, gli americani avrebbero massacrato la famiglia imperiale (come gli aveva detto il nuovo capo di stato maggiore Umezu), questo era il suo timore. Konoye disse di no, ma uscì depresso dal colloquio con Hirohito, confidò che se l'imperatore avesse continuato a dare fiducia a personaggi come Umezu la pace non ci sarebbe mai stata. Il 3 marzo 1945 ci fu il bombardamento di Tokyo che fece più di 100 mila vittime. Secondo Konoye Hirohito avrebbe dovuto abdicare in favore del figlio, col principe Takamatsu come regnante. Per l'esercito Hirohito doveva rifugiarsi in un super bunker sul monte Fuji, in attesa dell'invasione americana nel sacro suolo giapponese, a quel punto sarebbe bastato che un giapponese su dieci avesse ucciso un americano per vincere la guerra, e che la morte di 100 milioni di fedeli sudditi era preferibile alla capitolazione.

Capitolo 21 La disfatta
All'inizio di questo capitolo l'autore da conto dei tentativi giapponesi di costruire l'atomica, che erano forse molto avanzati (in tutti i libri di storia su questo argomento che ho letto era sempre scritto che il Giappone non ebbe mai un vero programma atomico). L'8 giugno 1945 venne approvato dalla gozen kaigi, presente Hirohito, il messaggio che chiedeva al popolo il supremo sacrificio di se pur di non arrendersi. Quindi Kido ebbe il coraggio di dire a Hirohito che l'unica possibilità del Giappone era la fine delle ostilità. Hirohito si convinse solo 13 giorni dopo, il 21 giungo 1945, all'indomani della caduta di Okinawa. Disse al primo ministro Suzuki che i provvedimenti approvati l'8 giugno durante la gozen kaigi non dovevano essere più seguiti, mentre avrebbe dovuto tenere conto del rapporto di Kido. Purtroppo Hirohito e i militari volevano ancora una pace onorevole, nonostante le centinaia di migliaia di vittime giapponesi non accettavano la resa incondizionata. Si arriva quindi alla dichiarazione di Postdam di Usa, Cina, e Gran Bretagna in cui si dava l'ultimatum al Giappone per una resa senza condizioni. Gli Usa avevano ormai l'arma atomica, il Giappone non poteva saperlo, ma Hirohito avrebbe potuto cogliere l'occasione per porre fine alla guerra. Il 27 luglio il consiglio supremo per la conduzione della guerra si riunì per analizzare l'ultimatum, decisero una linea tra l'attendismo (nella speranza di una improbabile mediazione sovietica) e il disprezzo pubblico. Questo disprezzo pubblico fu interpretato da Truman come un rifiuto, che quindi lo autorizzava a iniziare i preparativi per il bombardamento atomico di Hiroshima per il 6 agosto. Quando Hirohito fu informato da Togo degli effetti del bombardamento rimanevano circa 2 giorni prima del secondo attacco atomico, ma l'imperatore e i militari persero altro tempo prezioso. Solo il 9 agosto si riunì il consiglio supremo, ma ormai, il 9 agosto i sovietici stavano attaccando i possedimenti giapponesi in Cina, e gli Usa bombardando atomicamente Nagasaki. Nonostante tutto ciò tre membri su sei del consiglio supremo erano ancora contrari alla resa incondizionata. A questo punto Hirohito fece ciò che aveva fatto più volte in passato, si impose e accetto la dichiarazione di Postdam.

Capitolo 22 L'annuncio della resa
Nonostante la capitolazione giapponese si temeva ancora che i militari volessero continuare la guerra, mettendo in atto un colpo di stato. Per esempio il colonnello Takeshita si presentò dal generale Anami (suo cognato ed uno dei fautori della guerra ad oltranza) per implorarlo di mettersi alla guido di un colpo di stato, ma Anami gli disse che ormai l'imperatore aveva deciso, e lui, come soldato giapponese, doveva obbedire. Quindi il 14 agosto venne convocata una ulteriore gozen kaigi in cui Hirohito ribadiva la sua decisione per il bene e la sopravvivenza dei giapponesi seppur, parole di Hirohito, “tuttavia sono profondamente addolorato nel vedere i miei soldati disarmati e i miei fedeli ministri puniti come criminali di guerra”. Ora non rimaneva che comunicare la decisione al popolo, venne così registrato il famoso discorso di Hirohito ai giapponesi, in cui per la prima volta questi sentivano la voce del loro imperatore. Anche per la stesura del discorso di Hirohito ci furono discussioni coi militari, il generale Anami, che non accettava una frase. Dopo numerose trattative si arrivò ad una formula finale, che venne ulteriormente corretta da Hirohito in 5 punti, uno di questi era ancora la frase che Anami aveva contestato. La frase originale era: “La situazione militare è sempre più a nostro sfavore ogni giorno che passa”. Anami non la accettava perché avrebbe dimostrato che tutti i precedenti comunicati (vittoriosi) del ministero della guerra erano falsi. Quindi si trovò questa nuova formula: “La situazione militare si è evoluta, ma non a vantaggio del Giappone”. Hirohito la modificò ancora in: “La situazione militare si è evoluta, ma non necessariamente a vantaggio del Giappone”. Dopo la registrazione del messaggio imperiale ci fu l'ultimo tentativo dei militari di fare un colpo di stato. Il comandante Hatanaka e il capitano Shigerato Uehara chiesero al generale Mori di prendere il potere. Al suo rifiuto lo uccisero e falsificarono degli ordini militari per far occupare il palazzo imperiale da altre truppe. Lo scopo era di trovare i dischi in cui era inciso il discorso dell'imperatore. Ci fu anche il tentativo di uccidere il primo ministro Suzuki. Il tentativo di impossessarsi dei dischi e il colpo di stato fallirono, negli stessi momenti il generale Mori di compieva seppuku.

Capitolo 23 Un doppio complotto
Il discorso di Hirohito dovette essere tradotto da una speaker, perché la forma e le parole che l'imperatore usava non erano quelle con cui si esprimono i comuni cittadini. I giapponesi accolsero con sollievo, oltre che con incredulità, la resa. I quotidiani passarono in poco tempo da fascisti ad antifascisti. Contemporaneamente a questi fatti furono messe in atto due operazioni segrete distinte per salvaguardare la dinastia imperiale. Le due operazioni fotocopia, una all'oscura dell'altra, prevedevano di rapire un bambino di sangue imperiale e crescerlo in segreto come nuovo imperatore. Questo nel caso in cui gli americani avessero posto fine alla dinastia imperiale.

Capitolo 24 La fine di Konoye
In una nazione in cui chi ha la responsabilità di comando, in un qualsiasi settore, ha l'abitudine di caricarsi delle colpe dei propri sottoposti e dimettersi, faceva credere allo stesso Hirohito che la sua abdicazione fosse scontata. Invece MacArthur decise che la continuità imperiale, seppur con modalità differenti dal passato, sarebbe stata una forma importante di stabilità. Quindi, nonostante le altre nazioni vincitrici chiedessero che Hirohito fosse processato per crimini di guerra, MacArthur lo preservò da qualsiasi indagine. A Kido e Konoye fu comunicato il mandato d'arresto in vista del processo, Konoye si suicidò prima di entrare in carcere. Hirohito, in questa fase, aveva come unico scopo quello di preservare se stesso e l'autorità imperiale da qualsiasi giudizio., non avendo ancora la certezza dell'immunità americana.

Capitolo 25 Il processo
Questo capitolo entra nel merito delle motivazioni che spinsero MacArthur a considerare Hirohito indispensabile per la stabilità del Giappone, e quindi di vietare categoricamente al procuratore capo Keenan di coinvolgerlo del processo per crimini di guerra (TMIEO), e con lui nessun membro della famiglia imperiale. Quindi il principe Asaka, responsabile del massacro di Nanchino, non venne neppure ma interrogato. MacArthur enfatizzò il pericolo comunista in Giappone, e prospettò a Truman, in caso di abdicazione di Hirohito, la necessità di mantenere un contingente di occupazione di un milione di soldati. Inoltre MacArthur fu il primo promotore della credenza di un Hirohito fantoccio dei militari, totalmente incapace, e quindi non responsabile, di opporsi alle loro decisioni sulla guerra. In segreto venne stipulato un ulteriore accordo che trasformò il TMIEO in una farsa. Al colonnello Ishii, capo delle Unità 731, e a tutti i suoi sottoposti, fu concessa l'immunità in cambio dei segreti scientifici scoperti grazie ai loro atroci esperimenti su cavie umane.
Nonostante le proteste degli altri procuratori delle altre nazioni del TMIEO, riguardo al divieto di coinvolgere Hirohito e la famiglia imperiale il processo continuava senza imprevisti. Tranne quando il 31 dicembre 1947 Tojo, durante una risposta, inavvertitamente disse questa frase, a proposito di eventuali sue posizioni che contrastavano col desiderio di pace di Hirohito: “No, personalmente no. Del resto, nessuno di noi [giapponesi] avrebbe osato agire contro la volontà di Sua Maestà l'Imperatore”.
In una sola e semplice frase Tojo aveva ridicolizzato la tesi di un Hirohito fantoccio, accusandolo che se avesse voluto avrebbe potuto impedire la guerra. A questo, su invito dello stesso Keenan, i vertici della famiglia imperiale fecero pressione su Tojo perché ritrattasse quella frase. Visto che Tojo non accennava a volerlo fare, in quanto non riteneva di aver fatto nulla di male, entrò in scena Kido, anch'esso recluso, che parlò con Tojo e lo convinse a ritrattare tutto per il bene dell'imperatore.

Capitolo 26 La pace
Durante l'inizio dell'occupazione Usa entrambe le parti si trovarono di fronte ad un ex nemico che non si aspettavano. Gli Usa non furono tiranni spietati e i giapponesi non fecero nessuna opposizione. Lo stesso Hirohito passo in un colpo da capo militare a persona quasi comune, rinunciando, con un altro discorso radiofonico del 6 gennaio 1946, alla sua divinità. Lo shintoismo non fu più religione di stato, gli Usa imposero una nuova costituzione in cui Hirohito era solo il simbolo dello Stato e dell'unità del popolo. Gli Usa aiutarono il Giappone a risollevarsi ed iniziarono contemporaneamente la canonizzazione di Hirohito, nessuno riesumava il suo passato e veniva fatto passare per un pacifista convinto ed amante della democrazia. Solo i partiti di sinistra accusavano Hirohito e ne chiedevano le dimissioni. Nel 1951 Kido, ancora in carcere (per poco), dopo aver sempre difeso l'imperatore, gli fece pervenire una lettera in cui lo invitava ad abdicare per assumersi pienamente le sue colpe. Durante l'occupazione Usa venne controllato il patrimonio dell'imperatore, che ammontava a un miliardo e mezzo di yen in terreni e 500 milioni di yen in liquidità, più 300 milioni di yen in lingotti d'oro. La casa imperiale era la maggior proprietaria terriera del Giappone, era titolare di azioni di tantissime società, tutti beni acquisiti con la guerra e le conquiste territoriali. Gli Usa sottrassero alla famiglia imperiale questi guadagni di guerra, ma qualcosa sfuggi loro., i soldi esportati durante la guerra nei paesi neutrali. Questi soldi ammontavano per difetto a 111 milioni di dollari di allora.

Capitolo 27 L'imperatore uomo
Solo nel 1971 Hirohito andò in visita ufficiale all'estero, ormai la sua figura di regnante pacifista era stata imposta, nonostante ciò subì qualche contestazione a Bonn. Dopo una lunga agonia Hirohito si spense il 7 gennaio 1989. Dopo sei giorni in cui le tv giapponesi non facevano altro che trasmettere documentari su Hirohito, in cui mai si menzionava il suo ruolo nella guerra, i giapponesi si precipitarono a noleggiare film in videocassetta, forse anche per loro era arrivato un limite alla sopportazione. Tranne Australia e Nuova Zelanda, quasi tutte le altre nazioni inviarono capi di stato al suo funerale.

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