TITOLO: Hirohito, l'imperatore opaco: mito e verità
AUTORE: Edward Behr
CASA EDITRICE: Ponte delle Grazie
PAGINE: 382
COSTO: 16,5 €
ANNO: 1989
FORMATO: 24 cm X 16 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: ?
Questa biografia di Hirohito risale al 1989, ed il suo autore non nasconde d'essere contrario alla figura imposta dagli Usa e dal Giappone stesso di un imperatore in balia dei militari. Per smentire questa (re)visione storica di Hirohito porta all'evidenza numerosi documenti e fatti della casa imperiale che dimostrano come l'imperatore ebbe un ruolo non marginale in tutta la guerra. Il libro è incentrato sul periodo antecedente la guerra e su quello della guerra, poco spazio è lasciato all'Hirohito del periodo che va dagli anni 50 fino alla sua morte.
Durante il primo incontro
tra MacArthur e Hirohito questi disse al generale statunitense: “”Il
partito della pace non poté imporsi prima che il bombardamento di
Hiroshima creasse una situazione suscettibile di essere
drammatizzata”.
Al momento della
capitolazione la casa imperiale ordinò a tutti i ministri di
bruciare tutti i documenti riservati, specialmente quelli
sull'imperatore, l'operazione fu così efficace che gli americani non
trovarono praticamente nessun documento. La tesi che che Hirohito fu
succube dei militari fu l'ideale per permettergli di restare
imperatore, cosa che MacArthur riteneva indispensabile per evitare
una sollevazione popolare e mantenere il Giappone quale baluardo
contro l'URSS. Ci sono stati, però, casi in cui Hirohito dimostrò
le sue capacità decisionali, il 26 febbraio 1936 stroncò con la sua
autorità una sommossa dell'esercito, e nell'agosto del 1945 impose
al governo la capitolazione. Mentre in altri casi, in cui l'esercito
prevaricò il governo facendolo trovare davanti al fatto compiuto,
come l'incidente di Mukden, Hirohito non si schierò. Inoltre
Hirohito accettò senza riserve la guerra totale del 1937 contro la
Cina, lamentandosi solo che la promessa dei militari di una vittoria
veloce fu ingannevole. Hirohito non solo era a conoscenza dei
preparativi per l'attacco a Pearl Harbor, ma domandò ai suoi
generali se non fosse necessaria anche l'invasione della Thailandia.
Esiste una traccia scritta che Hirohito conoscesse la data
dell'attacco a Pearl Harbor. Per tutti i giapponesi Hirohito era un
Dio, una sua presa di posizione pubblica (o all'interno del gabinetto
governativo) contro la guerra non poteva essere ignorata. Tutti i
tribunali di guerra in Europa e Asia condannarono a morte tantissime
persone con ruoli meno importanti di Hirohito, Hirohito non fu
neppure indagato.
Capitolo 2 L'infanzia
Hirohito nacque nel 1901,
in era Meiji, quindi nella biografia si riportano i fatti più
importanti della Restaurazione Meiji e dei conflitti con Cina e
Russia.
A due mesi e mezzo di
vita Hirohito fu separato dalla madre e affidato a dei tutori, il
conte Kawamura. Alla morte di questi, nel 1904, fu portato nel
palazzo di Akasaka, dove viveva il padre, ma non partecipava alla
vita famigliare, perché fu messo a risiedere in una casa
indipendente. Fino
ad
allora Hirohito era sempre stato attorniato da gente adulta di corte
e da militari che lo trattavano come un essere divino. Iniziò a
frequentare assiduamente dei coetanei con l'inizio dell'istruzione
privata, ma l'insegnane era severo, e l'unico famigliare con cui
aveva contatti regolari era il fratello minore Chichibu. Hirohito
vedeva la madre una volta alla settimana, il padre ancora meno
spesso. Hirohito era un bambino mingherlino, camminava trascinando i
piedi, non restava dritto a causa della scoliosi, era miope
(nonostante questa miopia rimase dei mesi senza occhiali perché “un
imperatore non li porta”), i suoi fratelli erano tutti più
prestanti di lui. In questo periodo la persona a lui più vicina fu
il suo precettore, il generale Nogi, eroe della guerra contro la
Russia. Il generale Nogi divenne per Hirohito una figura paterna
sostitutiva, visto che il padre Yoshihito era sempre assente. Quando
Hirohito aveva 12 anni l'imperatore Meiji morì, e il generale Nogi
fece seppuku per seguirlo, il bambino rimase molto scosso da queste
due perdite.
Capitolo
3 L'educazione sentimentale
Ormai
Hirohito era il principe ereditario, dei tanti insegnanti quello che
lo colpiva più favorevolmente era il dottor Hattori, che gli
insegnava scienze naturali e biologia, e da lui acquisì la passione
per la biologia marina fin dai 15 anni. Però queste sue passioni
poco guerresche impensierivano i generali. Quindi il padre mandò
nella stanza di Hirohito una sua concubina per verificare che il
ragazzo s'interessasse anche ad altro, la concubina dell'imperatore
rassicurò l'imperatore che l'erede al trono aveva anche altre
passioni.
Viste
le condizioni precarie di salute mentale dell'imperatore Yoshihito
era necessario che Hirohito si preparasse a diventare reggente, ma
prima doveva sposarsi. Qui si scatenò una dura lotta tra i clan
Satsuma e Choshu per decidere di quale clan sarebbe stata la futura
imperatrice. In particolare il potente jenro (consigliere anziano
dell'imperatore) del clan Chshu, il generale Aritomo Yamagata, fece
di tutto perché si scegliesse una donna appartenente al suo clan.
Alla fine Hirohito, appoggiato dalla madre, riuscì a scegliere
autonomamente la sua fidanzata, la principessa Nagako (allora
14enne), di un clan meno potente, quello di Fushimi. Il jenro
Yamagata (l'altro jenro influente era quello del clan Satsuma,
Saiongi) iniziò una serie di complotti imperiali per rompere il
fidanzamento tra Hirohito e Nagako, per sei anni ci fu incertezza,
fino al tentativo ultimo che fallì. L'ultima carta di Yamagata fu il
daltonismo della famiglia Fushimi, che avrebbe potuto colpire i figli
di Hirohito. L'ultimo complotto fallì anche grazie al consenso che
il capo della malavita più temuta, la società del drago nero (della
destra nazionalista), Toyama riuscì a creare sulla stampa a favore
del matrimonio tra Hirohito e Nagako.
Capitolo
4 L'incontro con l'occidente
Il 3
marzo 1921 Hirohito partì per un lungo viaggio in Europa. Secondo lo
stesso Hirohito questo fu il periodo più bello della sua vita. Al
suo rientro trovò due situazioni di crisi, oltre al peggioramento
della salute mentale del padre. La morte del jenro Yamagata che non
venne sostituito da un altro jenro, lasciando l'anziano e filo
occidentale (e antimilitarista) Saiongi l'unico consigliere
dell'imperatore. E l'omicidio, ad opera di un estremista, di destra,
del primo ministro Takashi Hara, reo (per l'assassino) di aver
mancato di rispetto alla marina imperiale. In quel periodo alcuni
politici cercavano di ridurre le spese militari, cosa a cui i
militari si opponevano, spalleggiati da due figure di spicco del
periodo, che ebbero un gran rilievo nella deriva militarista
giapponese, il dottor Shumei Okawa e Ikki Kita. Per tutti quelli che
considerano Hirohito un personaggio politicamente passivo e neutro
varrebbe la pena di approfondire la creazione da parte sue della
scuola Daigaku, che riuniva l'élite militare e nobile, istigando il
nazionalismo e l'espansionismo militare.
Il 25
novembre 1921 Hirohito divenne reggente. Il 27 dicembre 1923 Hirohito
fu vittima di un attentato, Daisaku Namba, un membro scontento del
clan Choshu, gli sparò. Nonostante fosse il figlio di un noto
politico non di sinistra venne qualificato come un attentato
rivoluzionario filocomunista.
Il 26
gennaio 1924 Hirohito si sposò con Nagako, dopo 5 ani di
fidanzamento.
Capitolo
5 Gli anni della reggenza
Alla
cerimonia del matrimonio di Hirohito con Nagako parteciparono solo
700 persone, tra questi c'era il padrino malavitoso Toyama, che si
era speso a favore dell'unione.
Da
reggente prima e imperatore poi Hirohito si rese conto che per
evitare di commettere errori nel condurre il paese doveva sempre
avallare le scelte dei politici e dei militari, ma non era un loro
burattino. L'imperatore aveva il diritto di veto illimitato, oltre ad
essere considerato un Dio. Inoltre Hirohito, dovendo apportare
apporre il suo sigillo su tutti i provvedimenti importanti,
pretendeva di leggere tutti i documenti inerenti. Quindi aveva
potenzialmente un immenso potere di veto su tutto, anche di carattere
informale, cioè prima che gli fosse presentata una legge gli bastava
far capire che era contrario per far sì che questa venisse cassata.
Difficile continuare ad affermare che Hirohito fosse all'oscuro di
tutto. C'è da aggiungere che l'enorme patrimonio personale di
Hirohito fu usato spesso per finanziare progetti segreti, che il
governo non poteva pagare per mancanza di fondi. In questo capitolo
son ben spiegati i rapporti di forza tra il Giappone (guidato dal
primo ministro Giichi Tanaka) e i leader cinesi alleati del Giappone,
seppur tra loro nemici, Chiang Kaishek e il generale Zhang Zuolin. I
due leader cinesi vennero mesi da parte, tentando anche di
eliminarli, quando il Giappone decise di prendersi tutta la Manciuria
e la Cina.
Capitolo
6 “Tenno Heika, Banzai!”
Questo
capitolo riporta la cerimonia d'incoronazione di Hirohito e gli
impegni a cui il neo imperatore era sottoposto. Inoltre descrive
l'organizzazione imperiale che gestiva i suoi impegni ufficiali,
militari, privati e pubblici. In particolare la figura del Gran
Ciambellano di corte, che si occupava di gestire anche il patrimonio
di Hirohito, mantenendo i contatti con gli zaibatsu, in cui quasi
tutto era investito. Questi zaibatsu fecero enormi profitti
dall'invasione della Manciuria e del resto della Cina, ed in seguito
di tutta l'Asia.
Il
periodo 1928-1930 fu quello della “grande crisi”, che vide i
contadini precipitare in una povertà estrema, in parallelo un
costante nazionalismo e militarismo si facevano strada tra gli
intellettuali (quelli contrari erano messi a tacere o arrestati), i
politici e i militari. Ma la povertà dei contadini non era
l'argomento principale del paese, lo era il trattato di Washington
che poneva un limite (considerato ingiusto dai giapponesi) alla
dimensione della marina nipponica. Vengono spiegati tutti i
retroscena di questo fatto, compreso l'attentato al primo ministro
Hamaguchi, reo di aver accettato il trattato di Washington, avversato
dai nazionalisti. Le trame ordite dalle sette estremistiche come il
Drago Nero e il Fiore di Ciliegio (conosciute dai membri del
governo), che portarono all'attentato. Sono riportate le pressioni di
Hirohito per far avere alla marina un finanziamento statale molto
alto. L'assassino di Hamaguchi non fu giustiziato, né finì in
carcere, fu amnistiato e ricevette una cospicua pensione. Ancora nel
1956 era politicamente attivo con lo stesso fervore nazionalistico.
Hirohito avrebbe potuto “sconsigliare” l'amnistia a Sagoya,
l'impunità per l'assassino fu la fine del periodo liberale di
Hirohito e della giovane democrazia giapponese.
Capitolo
7 L'incidente di Mukden
Tutte
le fasi che portarono all'incidente di Mukden sono riportate in
questo capitolo. Dal finto tentativo di colpo di stato in cui fu
coinvolto il generale Ugaki (nel marzo del 1931), e di cui taluni
considerano impossibile che Hirohito ne fosse all'oscuro,a tutti i
piani per creare l'incidente di Mukden. I tre artefici materiali
dell'incidente di Mukden, che diede ai giapponesi la scusa per
invadere la Manciuria, furono i colonnelli Doihara, Itagaki e
Ishiwara. Hirohito prese le distanze dagli esecutori dell'attentato,
che ufficialmente fu commesso dai cinesi, ma non mise in opera
nessun provvedimento per impedirlo, benché fosse improbabile che
fosse all'oscuro di tutto, visto che erano coinvolti tutti i vertici
militari. Come sempre Hirohito riusciva a passare come una figura di
secondo piano in tutti questi eventi del settembre 1931. Una volta
conquistata la Manciuria, il tutto senza un ordine del governo (che
comunque aveva avuto informazioni sui piani dei militari), nessuno
dei militari coinvolti subirono punizioni, anzi, furono tutti
promossi. Difficile affermare che Hirohito fosse ostile all'invasione
della Manciuria.
Capitolo
8 Il crollo del sistema dei partiti
Questo
capitolo descrive tutte le fasi che portarono al crollo del sistema
democratico basato sui partiti. Il biennio 1931-32 fu un periodo
negativo per Hirohito, i suoi propositi (enunciati durate
l'incoronazione) di essere l'imperatore dello sviluppo e della pace
contrastavano ormai con i fatti quotidiani. In uno dei numerosi
complotti militari di questo periodo fu coinvolto anche il principe
Chichibu (quello del 17 ottobre 1931). Parte di questa instabilità
era dovuta al fatto che dopo dieci anni di matrimonio l'imperatrice
non aveva ancora dato alla luce un erede maschio. Hirohito affidò il
governo al primo ministro Tsuyoshi Inukai, amico di Chiang Kaishek,
con l'incarico di pacificare i rapporti con la Cina. Inukai portò
avanti i negoziati di pace finché con l'incidente di Shangai,
identico a quello di Mukden, del marzo 1932, tutte le speranze di
pace tramontarono. A quel punto iniziarono una serie di omicidi
politici di esponenti di governo moderati, ad opera di varie sette di
estremisti di destra, fino all'uccisione dello stesso Inukai. Da
notare che il govenro Inukai aveva come capo di stato maggiore il
principe Kanin, zio dell'imperatrice Nagako, designato da Hirohito.
Il principe Kanin avrebbe avuto l'autorità, sia quella propria di
capo di stato maggiore che quella dovuta al suo rapporto con
Hirohito, per stroncare tutte le sette estremiste che imperversavano
tra i militari. I processi ai cospiratori dell'omicidio di Inukai
furono una farsa, e gli accusati rimasero alla fine impuntiti. Da
quel momento i successivi primi ministri furono scelti al di fuori
dei partiti, figure scelte tra i ranghi dell'esercito o della marina.
I militari acquisirono sempre più potere, in questo mai ostacolati
da Hirohito. Nel marzo 1933 la Società delle Nazioni condannò il
Giappone per l'invasione della Manciuria, quindi il Giappone si
ritirò dal consesso internazionale.
Capitolo
9 L'imperatore-organo
In
questo capitolo si ripercorrono le polemiche e le violenze politiche
che si scatenarono nel 1935 a proposito delle teorie costituzionali
del professor Tatsukichi Minobe, che asseriva (da 30 anni) che
l'imperatore fosse un organo dello Stato. Gli estremisti di destra
non potevano accettare queste sue teorie, visto che consideravano
l'imperatore superiore allo Stato, un dio. Le polemiche, e la
successiva cacciata degli accusati, erano solo un pretesto per
scalzare gli ultimi oppositori ai piani espansionistici dei militari.
Ad Hirohito sarebbe bastato convocare il professor Minobe, stimato da
tutti e lontano da qualsiasi estremismo, e fare una pur minima
dichiarazione a suo favore, per placare la polemica ed indebolire le
mire dei militari. Il governo Okada decise di eliminare la teoria
“dell'organo”, e il professor Minobe si dimise prima dal seggio
alla camera dei pari e poi si ritirò a vita privata, dopo, però,
aver subito due attentati alla sua vita.
Capitolo
10 2/26: la sommossa
Questo
capitolo ripercorre cronologicamente i fatti politici e militari che
precedettero e seguirono la sommossa del 26 febbraio 1936, ad opera
di alcuni ufficiali dell'esercito. L'antecedente del tentato colpo di
mano fu l'allontanamento, su pressione anche di Hirohito (che quindi
quando voleva esercitava “pressioni”), del generale ultra
nazionalista di destra Mazaki. Un fedele ufficiali di Mazaki, il
tenete colonnello Aizawa, si recò dal generale Nagata (legato
strettamente ad Hirohito) per richiedere il suo reintegro. Al rifiuto
opposto dal generale Nagata il tenente colonnello Aizawa lo uccise.
Il processo che ne scaturì fu l'apoteosi del nazionalismo, da tutti
era attesa la testimonianza dello stesso Mazaki prevista per il 25
febbraio. Nel frattempo il capitano Yamaguchi (non in solitudine)
aveva organizzato un tentativo di colpo di Stato militare, per
instaurare una dittatura direttamente guidata da Hirohito (la
Restaurazione Showa), che avrebbe dovuto far piazza pulita delle
sinistre e delle ultime flebili libertà di stampa, delle zaibatsu
capitalistiche e continuare l'espansionismo militare. Il 26 febbraio
gli insorti presero il controllo di numerosi uffici chiave, oltre ad
irrompere nelle case di numerosi uomini di governo. L'ammiraglio
Suzuki, gran ciambellano di Hirohito, fu quasi ucciso, il primo
ministro scampò per poco, al suo posto fu ucciso il cognato.
L'ammiraglio Saito, Guardia del sigillo imperiale, fu ucciso in casa.
Ci furono numerosi altri omicidi, a cui scampò l'anziano jenro
Saiongi, preavvertito telefonicamente. La mattina del 26 febbraio
Hirohito fu informato dell'accaduto dal generale Honjo, parente del
capitano Yamaguchi. Honjo, nei suoi diari, scrisse che Hirohito era
furibondo, e fermamente intenzionato a stroncare la sommosa. L'autore
da conto di tutti gli avvenimenti di quei 4 giorni di insurrezione,
che vide un Hirohito sempre risoluto a stroncare gli insorti. Le
truppe, dopo un ordine di Hirohito, si ritirano nelle caserme, gli
ufficiali furono arrestati, ma le alte sfere non furono toccate, i 19
ufficiali riconosciuti colpevoli furono condannati a morte
Capitolo
11 Il declino del vecchio jenro
Questo
capitolo affronta il periodo successivo all'insurrezione del 2/26 e
il declino del jenro Saiongi. Dopo l'insurrezione fallita Hirohito
aveva acquisito un rispetto maggiore da parte dei componenti della
famiglia imperiale, avrebbe potuto esautorare tutti gli alti gradi
militari che la organizzarono, invece decise di evitare ulteriori
ribellioni venendo incontro alle richieste dei militari. Mettendo
così nelle loro mani la formazione dei successivi governi, Hirohito
non si oppose alle pretese dei militari che non nominando un ministro
della guerra (o facendolo dimettere) potevano impedire la formazione
di un governo sgradito. Nel 1937 i militari accettarono come primo il
principe Konoye, ma ormai avevano preso il potere. Un mese dopo
l'insediamento di Konoye crearono un altro “incidente” con la
Cina, quello chiamato “incidente del ponte Marco Polo”, che
permise ai militari di invadere il nord della Cina, sempre col
consenso di Hirohito.
In
questo contesto di rafforzamento dei militari l'anziano jenro Saiongi
si sentiva sempre più emarginato ed amareggiato nel vedere
l'imperatore avallare tutte le scelte dei militari. Hirohito si
lamentava coi militari per la guerra in Cina, ma non per averla
scatenata, ma perché, nonostante gli avessero promesso una vittoria
veloce, questa non arrivava ancora. In questo periodo Hirohito si
comportava in maniera molto ambigua con gli ambasciatori di Usa e
Gran Bretagna, manteneva rapporti molto cordiali mentre avallava
documenti che consideravano questi due paesi i futuri nemici da
colpire. Hirohito apprezzava Hitler e consigliava di non entrare in
guerra con l'URSS, ma spingeva per la conquista della Cina, il
vecchio jenro Saiongi immaginava già a cosa andava incontro
l'imperatore ed il paese, morì nel 1940, avendo la fortuna di non
vedere avverati i suoi timori.
Capitolo
12 La violazione di Nanchino. L'unità 731
Il
dodicesimo capitolo narra tutte le vicende che portarono
all'occupazione di Nanchino, con tutte le atrocità ivi commesse e
storicamente documentate. Inoltre evidenzia il piano di “guerra
punitiva” verso la Cina che di quelle atrocità fu la causa
premeditata, infine si occupa della famigerata Unità 731. Per tutte
queste questioni storiche l'autore cerca di valutare quali
informazioni avesse in merito Hirohito, ufficialmente lo apprese solo
dopo la guerra(!). Per fare queste valutazioni è stata usata anche
la biografia di Hirota Koki, scritta da Saburu Shiroyama, e da questa
si evince chiaramente che Hirohito seppe fin da subito, informato
tramite il diplomatico a Nanchino Shunrokuro Hidaka, dei massacri ad
opera dei militari nipponici. Ordinò di fermarli immediatamente,
nonostante uno dei generali più spietati a Nanchino fosse il
principe Asaka, zio di Hirohito, ma il massacro continuò.
La
creazione dell'Unità 731, comandata e creata dal generale Shiro
Ishii, fu autorizzata dallo stesso Hirohito nel 1936, con dei fondi
economici molto cospicui. Scopo dell'Unità 731 era la guerra
batteriologica e chimica, i test erano compiuti direttamente su cavie
umane, quasi sempre cinesi, ma anche di altre nazionalità, compresi
occidentali fatti prigionieri. I soggetti di questi esperimenti erano
anche le popolazioni civili, vennero uccisi decine di migliaia di
cinesi inermi con armi batteriologiche disperse con varie
metodologie. Inoltre l'Unità 731 compiva esperimenti “scientifici”
aberranti sui prigionieri. In questo capitolo l'autore, a mio parere,
commette un errore grossolano, forse dovuto ad una errata traduzione
di un termine, “maruta”. I prigionieri cinesi usati per gli
esperimenti furono soprannominati “maruta” (nel libro “marutas”!)
dai loro carnefici, che secondo l'autore significa “cretini”. In
realtà “maruta” significava “pezzo di legno”, perché una
delle prime basi dell'Unità 731 era ufficialmente una segheria,
quindi le cavie divennero dei “pezzi di legno” da segare, appunto
“maruta”. Considerando che Hirohito leggeva tutte la
documentazione prima di approvarla, e che era esso stesso uno
scienziato, è difficile credere che non comprendesse lo scopo
dell'Unità 731. Inoltre due suoi fratelli furono testimoni diretti
dell'attività dell'Unità 731 visionando dei filmati, e il principe
Takeda (cugino di Hirohito) era il responsabile delle finanze
dell'Unità 731, ed ispezionò i campi più volte.
Capitolo
13 I falchi e le colombe
L'11
dicembre 1937, in pieno massacro di Nanchino, aerei della marina
nipponica bombardarono e affondarono una nave da guerra Usa e una
inglese. L'unico ufficiale che si espose per scusarsi ufficialmente e
punire l'artefice dell'attacco fu l'ammiraglio Isoroku Yamamoto, che
in seguito ideò l'attacco a Pearl Harbur. Nonostante il suo
contributo nell'attacco a Pearl Harbor l'ammiraglio Yamamoto era uno
dei pochi alti ufficiali avverso alla cricca militarista, non fece
mistero in più occasioni di essere contrario alla deriva
nazionalistica nella nazione, ed era contrario ad una guerra contro
gli Usa, infine era convinto che Hirohito stesse dando ascolto a
cattivi consiglieri, ma la devozione verso l'imperatore non gli
permise di rifiutare gli incarichi affidatigli. L'ammiraglio Yamamoto
era un buon esempio dello “sdoppiamento del pensiero” dimostrata
da molti uomini di Stato di quel Giappone, compreso Hirohito. Pur
rendendosi conto che la strada intrapresa li avrebbe portati
inevitabilmente alla guerra con gli Usa, avendo ormai scelto una
strada da seguire, non ebbero il coraggio di opporsi. In questo
contesto è riportata la posizione e la storia di uno dei più
stretti collaboratori di Hirohito, il marchese Kido. Questi, durante
gli interrogatori americani, conscio che né l'imperatore né la
famigliari imperiale sarebbero stati inquisiti, ammise come in 12
occasioni consigliò a Hirohito una linea contraria ai militari, ma
solo tre volte i suoi suggerimenti vennero seguiti. Quindi Hirohito
prese la decisione di favori una deriva militarista del paese. Queste
considerazioni sono basate sui diari ufficiali di Kido. Un altro
personaggio simile fu il primo ministro Konoye, nonostante non si
fidasse dei militari non volle mai opporvisi platealmente.
Capitolo
14 Verso la catastrofe
Il 27
settembre 1940 fu firmata l'alleanza tripartita tra Italia, Germania
e Giappone. Ormai erano in pochi ad opporsi, anche flebilmente, alla
strada che il Giappone aveva imboccato. Questo capitolo cerca di
rispondere ad alcuni quesiti riguardanti Hirohito: Come reagì
Hirohito a questi avvenimenti? Era veramente costernato dall'ascesa
del fascismo in Giappone e dal suo espansionismo militare, come vuole
la versione ufficiale odierna? Aveva qualche margine d'azione? Era
veramente nelle mani dei nazionalisti? Oppure Hirohito incarnò
volontariamente la missione divina del Giappone di conquistare
l'Asia?
Konoye
in seguito ammise i suoi errori, se Hirohito avesse seguito la stessa
via il giudizio sulla sua figura storica sarebbe diverso. Hirohito
disse sempre che lui si oppose al partito della guerra, lo disse fino
alla morte, tanto che divenne la verità per tutto il Giappone.
Sfortunatamente i fatti raccontano un Hirohito diverso. Usando sempre
i diari di Kido (e le memorie di Harada) sono riportate le
conversazioni di Hirohito con alcuni membri di governo, nel periodo
in cui i militari volevano conciliarsi con la Cina per attaccare
l'URSS. Ma Hirohito si oppose, in quanto una volta iniziata la guerra
con la Cina bisognava portarla a termine vittoriosamente. Non punì
mai gli artefici degli attacchi a sorpresa contro i cinesi, anzi li
appoggiò. Dopo una iniziale riserva verso l'alleanza con Italia e
Germania ne divenne sostenitore, tanto da imporre delle cerimonie
shintoiste per commemorare l'alleanza, cerimonie che non furono
celebrate per il trattato anglo giapponese del 1904. Riguardo
all'occupazione dell'Indocina Francese (in previsione di un'invasione
di Malaysia, Filippine e Indie Olandesi) si ripropongono brani del
“memorandum Sugiyama”, dove sono riportati i dialoghi di Hirohito
coi suoi generali. Nei quali si comprende che l'imperatore era
informato e partecipe delle decisioni prese in merito.
Capitolo
15 La via dei sudditi
Durante
la parata principale per i festeggiamenti celebrati nel 1941 per il
2601esimo anniversario della fondazione dell'impero giapponese, il
ministro degli interni barone Hiranuma disse, alla presenza di
Hirohito, che il popolo giapponese era superiore agli altri popoli
perché i loro regnanti e presidenti erano designati da altri uomini,
mentre l'imperatore del Giappone discende dal cielo. Ed è in un
contesto come questo di nazionalismo e militarismo ormai senza
vincoli che venne resa obbligatoria la lettura della “via dei
sudditi”. Un testo che attingeva principalmente ai proclami
imperiali di Hirohito. Nella “via dei sudditi” erano giustificate
tutte le aggressioni militari contro la Cina (Corea e Taiwan) e di
tutte quelle che sarebbero seguite. E' riportata dettagliatamente la
conferenza imperiale o gozen kaigi del 2 luglio 1941, dove si stilano
i piani della guerra totale. Inoltre è riportato un interrogatorio
degli americani a Kido. Da tutto ciò si evince che Hirohito sapeva
tutto e partecipava attivamente.
Capitolo
16 Venti di guerra
In
conseguenza dell'occupazione giapponese dell'Indocina Francese la
Gran Bretagna e gli Usa cominciarono un embargo petrolifero.
Nonostante ciò i negoziati diplomatici fra Usa e Giappone a
Washignton continuarono. Sovente gli usa sono stati accusati di aver
portato avanti questi negoziati in maniera intransigente per colpa
della lobby cinese. In realtà gli usa, grazie all'operazione
“Magic”, cioè la decrittazione del codice segreto giapponese,
conoscevano le vere intenzioni nipponiche. Sapevano che per ogni
comunicato verso gli Usa c'era un comunicato vero che tradiva le
reali intenzioni giapponesi. Per esempio gli americani conoscevano,
grazie all'operazione Magic, i contenuti della gozen kaigi del 2
luglio 1941.
Capitolo
17 I preparativi
Le
trattative erano in stallo, così il 6 settembre ci fu una nuova
gozen kaigi, in cui Hirohito chiese per l'ennesima volta ai militari
se erano certi di poter sconfiggere gli Usa, alla risposta
affermativa dei generali Hirohito fece partire i preparativi per la
guerra, anche se la trattativa con gli usa continuava. I tentativi in
buona fede del primo ministro Konoye di incontrare Roosvelt per
impedire la guerra si scontrarono con la rigidità Usa, dovuta alla
loro conoscenza dei cablogrammi criptati giapponesi, e alla
contrarietà alla trattativa di Tojo. Il 16 ottobre Konoye presentò
le sue dimissioni, e in una lettera ufficiale chiedeva di ricevere di
nuovo l'incarico di primo ministro se l'imperatore riteneva la
trattativa più importante della guerra, ma Hirohito scelse Tojo.
Tutto ciò nonostante Hirohito avesse saputo delle perplessità non
ufficiali della marina imperiale sulla possibilità di sconfiggere
gli Usa. Ormai Hirohito aveva fatto partire il conto alla rovescia.
Il 2 novembre Hirohito chiese ai due capi di stato maggiore, Nagano e
Sugiyama, quali perdite il Giappone avrebbe subito nel primo attacco,
la loro risposta fu pessimistica rispetto alle perdite che in realtà
ebbero. Inoltre Hirohito si preoccupò di sapere con che scadenza ci
sarebbe stata l'invasione di Hong-Kong e della Malaysia, infine
chiese quale giorno la marina aveva scelto per attaccare Pearl
Harbor, l'8 dicembre. Hirohito protestò che l'8 dicembre era un
lunedì, ma gli fu spiegato che alle Hawai era ancora domenica 7
dicembre. Il 5 novembre ci fu una nuova gozen kaigi, in cui Hirohito
pose nuove domande ai militari, e i piani d'invasione furono
perfezionati. Intanto le trattative tra Nomura e Kurusu, da una
parte, e Hull e Roosvlet, dall'altra continuavano, ma ai giapponesi
servivano solo per prendere tempo, anche se i due diplomatici
giapponesi erano all'oscuro del conto alla rovescia per Pearl Harbor.
Il primo dicembre 1941 si svolse l'ultima gozen kaigi in tempo di
pace, la data dell'8 dicembre fu confermata.
Capitolo
18 Pearl Harbor
Questo
capitolo ripercorre le ore precedenti l'attacco a Pearl Harbor,
compreso il ritardo nella consegna della dichiarazione di guerra.
Gran parte delle versioni storiche (tutte quelle di matrice
nipponica) dipingono un Hirohito preoccupato per l'esito della
guerra, che visse come un incubo per tutta la sua durata. In realtà
iniziò a preoccuparsi del conflitto quando questo smise di essere
una cavalcata vittoriosa.
Capitolo
19 L'ombra della sconfitta
Finché
le vittorie si susseguivano incessantemente Hirohito era euforico,
tanto che il marchese Kido (così si può leggere nei diari Kido)
racconta che l'imperatore mai esprimeva timori sul possibile epilogo
negativo della guerra, né consigliava prudenza ai militari. Quando
arrivò il rapporto sul successo dell'attacco a Peral Horbor Hirohito
confidò a Kido e Sugiyama: “Quando ho appreso le ottime notizie
relative all'attacco di sorpresa, ho sentito il favore degli dei”.
Quando il 9 marzo 1942 gli venne comunicata la caduta di Singapore
era in preda ad un entusiasmo sfrenato. L'euforia di Hirohito iniziò
a svanire il 18 aprile 1942, quando dei B-25 riuscirono a bombardare
Tokyo, senza provocare danni. Otto di quei piloti precipitarono sul
territorio giapponese, dopo essere stati torturati vennero condannati
a morte come “terroristi”. Hirohito commutò la condanna a morte
di 5 piloti, ma permise l'uccisione dei restanti tre, nonostante che
Tojo chiedesse che nessuno dei piloti fosse ucciso. Prima del
bombardamento di Tokyo c'era stata la sconfitta giapponese a Midway,
anche se gli effetti di quella battaglia navale non si compresero
subito. Un anno dopo Pearl Harbor l'euforia di Hirohito e dei
governanti giapponesi era scomparsa. Gli Usa avevano riconquistato le
isole Salomone e Guadalcanal. All'inizio del 1943 i giapponesi si
ritirarono da Buna in Niova Guinea, ormai era un bollettino quasi
quotidiano di ritirate, fatte passare per grandi vittorie. Una
propaganda bellica verso la popolazione che Hirohito sapeva essere
una totale menzogna. Nel 1943 in una lettera a Kido (che in realtà
era come se fosse diretta all'imperatore) l'ammiraglio Yamamoto
(l'artefice di Pearl Harbor), usando come esempio il sumo, fece
capire che il Giappone non poteva più vincere la guerra, anzi, era
destinato alla sconfitta. In questo periodo Hirohito non lesinava
critiche a Tojo e ai militari per le continue sconfitte, ed anche,
seppur mai chiaramente, per il comportamento spietato delle truppe
giapponesi verso civili e prigionieri. Nel gennaio del 1944 la guerra
era ormai persa, gli Usa sbarcarono nelle isole Marshall. Ormai Tojo
aveva perso la fiducia di Konoye, Kido e Takamatsu, il fratello
minore di di Hirohito (considerato una colomba), ma l'imperatore
continuava ad avere stima di Tojo, accettando che cumulasse svariati
ministeri e si auto nominasse anche comandante dell'esercito.
Capitolo
20 La guerra continua
Dall'inizio
del 1944 cominciarono le pressioni verso Hirohito affinché cercasse
la via di una pace onorevole. Inoltre alcuni principi (Konoye e
Higashikuni) iniziarono a preoccuparsi del futuro del sistema
imperiale in caso di sconfitta nipponica. Con la caduta di Saipan il
9 luglio il Giappone era ormai oggetto di bombardamenti a tappeto. A
Saipan oltre ai 30000 soldati nipponici morti, ci furono circa 10000
civili che si suicidarono (o furono uccisi dagli stessi giapponesi)
pur di non cadere nelle mani degli americani. A questo proposito
bisogna rammentare il messaggio imperiale che il governatore di
Saipan ricevette all'inizio dell'invasione americana. Questo
messaggio imperiale assicurava che tutti i civili deceduti sull'isola
sarebbero stati innalzati allo stesso rango dei soldati morti in
battaglia. Per molti questo messaggio imperiale, che dopo la guerra
si cercò incredibilmente di fa passare non come un atto di Hirohito,
fu la causa della morte di 1000 civili. Konoye, i primi giorni del
luglio 1944, appoggiato da numerosi politici e dignitari, redasse un
documento che spiegava chiaramente la posizione disperata del
Giappone e la necessità di una pace immediata, facendolo pervenire
all'imperatore tramite Kido. Hirohito ignorò quel documento,
proseguendo la guerra. Dal novembre del 1944 iniziarono i
bombardamenti incendiari americani sulle città giapponesi. Dopo
l'invasione americana delle Filippine nel gennaio 1945 Hirohito
convocò gli ex primi ministri per avere consigli sul da farsi. La
maggior parte di essi non ebbe il coraggio di esprimersi chiaramente
contro la guerra in presenza dell'imperatore, mentre Tojo disse che
bisognava continuare la guerra fino al sacrifico finale, invece
Konoye chiese all'imperatore di porre fine al conflitto
immediatamente. Hirohito chiese a Konoye se, secondo lui, gli
americani avrebbero massacrato la famiglia imperiale (come gli aveva
detto il nuovo capo di stato maggiore Umezu), questo era il suo
timore. Konoye disse di no, ma uscì depresso dal colloquio con
Hirohito, confidò che se l'imperatore avesse continuato a dare
fiducia a personaggi come Umezu la pace non ci sarebbe mai stata. Il
3 marzo 1945 ci fu il bombardamento di Tokyo che fece più di 100
mila vittime. Secondo Konoye Hirohito avrebbe dovuto abdicare in
favore del figlio, col principe Takamatsu come regnante. Per
l'esercito Hirohito doveva rifugiarsi in un super bunker sul monte
Fuji, in attesa dell'invasione americana nel sacro suolo giapponese,
a quel punto sarebbe bastato che un giapponese su dieci avesse ucciso
un americano per vincere la guerra, e che la morte di 100 milioni di
fedeli sudditi era preferibile alla capitolazione.
Capitolo
21 La disfatta
All'inizio
di questo capitolo l'autore da conto dei tentativi giapponesi di
costruire l'atomica, che erano forse molto avanzati (in tutti i libri
di storia su questo argomento che ho letto era sempre scritto che il
Giappone non ebbe mai un vero programma atomico). L'8 giugno 1945
venne approvato dalla gozen kaigi, presente Hirohito, il messaggio
che chiedeva al popolo il supremo sacrificio di se pur di non
arrendersi. Quindi Kido ebbe il coraggio di dire a Hirohito che
l'unica possibilità del Giappone era la fine delle ostilità.
Hirohito si convinse solo 13 giorni dopo, il 21 giungo 1945,
all'indomani della caduta di Okinawa. Disse al primo ministro Suzuki
che i provvedimenti approvati l'8 giugno durante la gozen kaigi non
dovevano essere più seguiti, mentre avrebbe dovuto tenere conto del
rapporto di Kido. Purtroppo Hirohito e i militari volevano ancora una
pace onorevole, nonostante le centinaia di migliaia di vittime
giapponesi non accettavano la resa incondizionata. Si arriva quindi
alla dichiarazione di Postdam di Usa, Cina, e Gran Bretagna in cui si
dava l'ultimatum al Giappone per una resa senza condizioni. Gli Usa
avevano ormai l'arma atomica, il Giappone non poteva saperlo, ma
Hirohito avrebbe potuto cogliere l'occasione per porre fine alla
guerra. Il 27 luglio il consiglio supremo per la conduzione della
guerra si riunì per analizzare l'ultimatum, decisero una linea tra
l'attendismo (nella speranza di una improbabile mediazione sovietica)
e il disprezzo pubblico. Questo disprezzo pubblico fu interpretato da
Truman come un rifiuto, che quindi lo autorizzava a iniziare i
preparativi per il bombardamento atomico di Hiroshima per il 6
agosto. Quando Hirohito fu informato da Togo degli effetti del
bombardamento rimanevano circa 2 giorni prima del secondo attacco
atomico, ma l'imperatore e i militari persero altro tempo prezioso.
Solo il 9 agosto si riunì il consiglio supremo, ma ormai, il 9
agosto i sovietici stavano attaccando i possedimenti giapponesi in
Cina, e gli Usa bombardando atomicamente Nagasaki. Nonostante tutto
ciò tre membri su sei del consiglio supremo erano ancora contrari
alla resa incondizionata. A questo punto Hirohito fece ciò che aveva
fatto più volte in passato, si impose e accetto la dichiarazione di
Postdam.
Capitolo
22 L'annuncio della resa
Nonostante
la capitolazione giapponese si temeva ancora che i militari volessero
continuare la guerra, mettendo in atto un colpo di stato. Per esempio
il colonnello Takeshita si presentò dal generale Anami (suo cognato
ed uno dei fautori della guerra ad oltranza) per implorarlo di
mettersi alla guido di un colpo di stato, ma Anami gli disse che
ormai l'imperatore aveva deciso, e lui, come soldato giapponese,
doveva obbedire. Quindi il 14 agosto venne convocata una ulteriore
gozen kaigi in cui Hirohito ribadiva la sua decisione per il bene e
la sopravvivenza dei giapponesi seppur, parole di Hirohito, “tuttavia
sono profondamente addolorato nel vedere i miei soldati disarmati e i
miei fedeli ministri puniti come criminali di guerra”. Ora non
rimaneva che comunicare la decisione al popolo, venne così
registrato il famoso discorso di Hirohito ai giapponesi, in cui per
la prima volta questi sentivano la voce del loro imperatore. Anche
per la stesura del discorso di Hirohito ci furono discussioni coi
militari, il generale Anami, che non accettava una frase. Dopo
numerose trattative si arrivò ad una formula finale, che venne
ulteriormente corretta da Hirohito in 5 punti, uno di questi era
ancora la frase che Anami aveva contestato. La frase originale era:
“La situazione militare è sempre più a nostro sfavore ogni giorno
che passa”. Anami non la accettava perché avrebbe dimostrato che
tutti i precedenti comunicati (vittoriosi) del ministero della guerra
erano falsi. Quindi si trovò questa nuova formula: “La situazione
militare si è evoluta, ma non a vantaggio del Giappone”. Hirohito
la modificò ancora in: “La situazione militare si è evoluta, ma
non necessariamente a vantaggio del Giappone”. Dopo la
registrazione del messaggio imperiale ci fu l'ultimo tentativo dei
militari di fare un colpo di stato. Il comandante Hatanaka e il
capitano Shigerato Uehara chiesero al generale Mori di prendere il
potere. Al suo rifiuto lo uccisero e falsificarono degli ordini
militari per far occupare il palazzo imperiale da altre truppe. Lo
scopo era di trovare i dischi in cui era inciso il discorso
dell'imperatore. Ci fu anche il tentativo di uccidere il primo
ministro Suzuki. Il tentativo di impossessarsi dei dischi e il colpo
di stato fallirono, negli stessi momenti il generale Mori di compieva
seppuku.
Capitolo
23 Un doppio complotto
Il
discorso di Hirohito dovette essere tradotto da una speaker, perché
la forma e le parole che l'imperatore usava non erano quelle con cui
si esprimono i comuni cittadini. I giapponesi accolsero con sollievo,
oltre che con incredulità, la resa. I quotidiani passarono in poco
tempo da fascisti ad antifascisti. Contemporaneamente a questi fatti
furono messe in atto due operazioni segrete distinte per
salvaguardare la dinastia imperiale. Le due operazioni fotocopia, una
all'oscura dell'altra, prevedevano di rapire un bambino di sangue
imperiale e crescerlo in segreto come nuovo imperatore. Questo nel
caso in cui gli americani avessero posto fine alla dinastia
imperiale.
Capitolo
24 La fine di Konoye
In
una nazione in cui chi ha la responsabilità di comando, in un
qualsiasi settore, ha l'abitudine di caricarsi delle colpe dei propri
sottoposti e dimettersi, faceva credere allo stesso Hirohito che la
sua abdicazione fosse scontata. Invece MacArthur decise che la
continuità imperiale, seppur con modalità differenti dal passato,
sarebbe stata una forma importante di stabilità. Quindi, nonostante
le altre nazioni vincitrici chiedessero che Hirohito fosse processato
per crimini di guerra, MacArthur lo preservò da qualsiasi indagine.
A Kido e Konoye fu comunicato il mandato d'arresto in vista del
processo, Konoye si suicidò prima di entrare in carcere. Hirohito,
in questa fase, aveva come unico scopo quello di preservare se stesso
e l'autorità imperiale da qualsiasi giudizio., non avendo ancora la
certezza dell'immunità americana.
Capitolo
25 Il processo
Questo
capitolo entra nel merito delle motivazioni che spinsero MacArthur a
considerare Hirohito indispensabile per la stabilità del Giappone, e
quindi di vietare categoricamente al procuratore capo Keenan di
coinvolgerlo del processo per crimini di guerra (TMIEO), e con lui
nessun membro della famiglia imperiale. Quindi il principe Asaka,
responsabile del massacro di Nanchino, non venne neppure ma
interrogato. MacArthur enfatizzò il pericolo comunista in Giappone,
e prospettò a Truman, in caso di abdicazione di Hirohito, la
necessità di mantenere un contingente di occupazione di un milione
di soldati. Inoltre MacArthur fu il primo promotore della credenza di
un Hirohito fantoccio dei militari, totalmente incapace, e quindi non
responsabile, di opporsi alle loro decisioni sulla guerra. In segreto
venne stipulato un ulteriore accordo che trasformò il TMIEO in una
farsa. Al colonnello Ishii, capo delle Unità 731, e a tutti i suoi
sottoposti, fu concessa l'immunità in cambio dei segreti scientifici
scoperti grazie ai loro atroci esperimenti su cavie umane.
Nonostante
le proteste degli altri procuratori delle altre nazioni del TMIEO,
riguardo al divieto di coinvolgere Hirohito e la famiglia imperiale
il processo continuava senza imprevisti. Tranne quando il 31 dicembre
1947 Tojo, durante una risposta, inavvertitamente disse questa frase,
a proposito di eventuali sue posizioni che contrastavano col
desiderio di pace di Hirohito: “No, personalmente no. Del resto,
nessuno di noi [giapponesi] avrebbe osato agire contro la volontà di
Sua Maestà l'Imperatore”.
In
una sola e semplice frase Tojo aveva ridicolizzato la tesi di un
Hirohito fantoccio, accusandolo che se avesse voluto avrebbe potuto
impedire la guerra. A questo, su invito dello stesso Keenan, i
vertici della famiglia imperiale fecero pressione su Tojo perché
ritrattasse quella frase. Visto che Tojo non accennava a volerlo
fare, in quanto non riteneva di aver fatto nulla di male, entrò in
scena Kido, anch'esso recluso, che parlò con Tojo e lo convinse a
ritrattare tutto per il bene dell'imperatore.
Capitolo
26 La pace
Durante
l'inizio dell'occupazione Usa entrambe le parti si trovarono di
fronte ad un ex nemico che non si aspettavano. Gli Usa non furono
tiranni spietati e i giapponesi non fecero nessuna opposizione. Lo
stesso Hirohito passo in un colpo da capo militare a persona quasi
comune, rinunciando, con un altro discorso radiofonico del 6 gennaio
1946, alla sua divinità. Lo shintoismo non fu più religione di
stato, gli Usa imposero una nuova costituzione in cui Hirohito era
solo il simbolo dello Stato e dell'unità del popolo. Gli Usa
aiutarono il Giappone a risollevarsi ed iniziarono contemporaneamente
la canonizzazione di Hirohito, nessuno riesumava il suo passato e
veniva fatto passare per un pacifista convinto ed amante della
democrazia. Solo i partiti di sinistra accusavano Hirohito e ne
chiedevano le dimissioni. Nel 1951 Kido, ancora in carcere (per
poco), dopo aver sempre difeso l'imperatore, gli fece pervenire una
lettera in cui lo invitava ad abdicare per assumersi pienamente le
sue colpe. Durante l'occupazione Usa venne controllato il patrimonio
dell'imperatore, che ammontava a un miliardo e mezzo di yen in
terreni e 500 milioni di yen in liquidità, più 300 milioni di yen
in lingotti d'oro. La casa imperiale era la maggior proprietaria
terriera del Giappone, era titolare di azioni di tantissime società,
tutti beni acquisiti con la guerra e le conquiste territoriali. Gli
Usa sottrassero alla famiglia imperiale questi guadagni di guerra, ma
qualcosa sfuggi loro., i soldi esportati durante la guerra nei paesi
neutrali. Questi soldi ammontavano per difetto a 111 milioni di
dollari di allora.
Capitolo
27 L'imperatore uomo
Solo
nel 1971 Hirohito andò in visita ufficiale all'estero, ormai la sua
figura di regnante pacifista era stata imposta, nonostante ciò subì
qualche contestazione a Bonn. Dopo una lunga agonia Hirohito si
spense il 7 gennaio 1989. Dopo sei giorni in cui le tv giapponesi non
facevano altro che trasmettere documentari su Hirohito, in cui mai si
menzionava il suo ruolo nella guerra, i giapponesi si precipitarono a
noleggiare film in videocassetta, forse anche per loro era arrivato
un limite alla sopportazione. Tranne Australia e Nuova Zelanda, quasi
tutte le altre nazioni inviarono capi di stato al suo funerale.
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