TITOLO: Occidentalismi, la narrativa storica giapponese
AUTORE: Toshio Miyake
CASA EDITRICE: Cafoscarina
PAGINE: 245
COSTO: 18 €
ANNO: 2010
FORMATO: 20 cm X 13 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788875432829
Saggio interessante, ma un po' ostico da leggere, in
alcuni tratti necessita di una cultura accademica di base, sia per i
concetti espressi che per la terminologia. Forse l'autore avrebbe
potuto fare uno sforzo maggiore per rendere meno astruso (in alcune
parti) il suo libro, specialmente se avesse tradotto le numerose
parti lasciate in inglese...
“Perché il Giappone è considerato orientale?
Perché l'Italia è considerata invece occidentale? E. soprattutto,
che cosa accomuna e giustifica queste due designazioni fra le più
naturali, e quindi scontate, del senso comune?”
Inizia con queste domande il saggio di Toshio Miyake,
nato in Giappone ma cresciuto in Germania e Italia, dove vive
attualmente, dopo aver fatto ritorno per un periodo in Giappone.
Vista la sua biografia l'autore si è dovuto spesso confrontare con
gli stereotipi nazionali riguardanti il Giappone (quando era in
Italia) e l'Italia (quando era in Giappone), oltre agli stereotipi
più in generale su “oriente” e “occidente”. Orientalismo (e
auto orientalismo) e occidentalismo saranno lungamente analizzati in
questo saggio.
Questo è un libro per cercare di capire come i
giapponesi ci vedono e, di riflesso, come percepiscono se stessi.
“La tesi sostenuta in questo libro è che ogni
discorso identitario nel Giappone moderno e contemporaneo sia
configurato dal rapporto con una nozione smisurata e tutt'ora egemone
di Occidente. Quindi, una chiave di lettura importante del successo
dell'Italia in Giappone diventa il ruolo strategico assunto dalle
rappresentazioni del “Bel Paese” nel mediare il difficile e
ambiguo rapporto con la modernizzazione euro-americana”.
L'orientalismo (e più recentemente il
tecno-orientalismo) esaltano uno o più aspetti del Giappone per poi
deformarli come negativi, in chiave di superiorità occidentale.
Per esempio la geisha (orientalismo) è considerata un
emblema di femminilità, ma anche una aberrazione in quanto succube
e sottomessa all'uomo. Oppure il samurai (sempre orientalismo) è
visto come un super uomo per lealtà e marzialità, ma anche un sub
uomo per crudeltà e fanatismo. Infine il sarariman
(tecno-orientalismo) è un esempio di efficienza e produttività, ma
diventato un robot alienato esso stesso, che sacrifica la famiglia e
la salute per il lavoro.
L'auto orientalismo è lo stesso meccanismo
dell'orientalismo (o del tecno-orientalismo), ma, invece che attuato
dagli occidentali, è messo in atto più o meno inconsapevolmente
dagli stessi giapponesi.
Il primo capitolo, “Genealogia di seiyo (occidente) e
toyo (oriente)”, analizza l'etimologia dei termini giapponesi per
indicare oriente e occidente, che illustra come il Giappone per
identificarsi sia passato dalla posizione sino centrica a quello euro
centrica.
In questo capitolo è presente anche una interessante
descrizione etimologica (comprensiva anche di kanji) sui termini
yamato e nippon. Cercherò di illustrarla brevemente, ma la mancanza
degli ideogrammi ne ridurrà la sensatezza. I cinesi (periodo Han
25-220 d.C.) chiamarono il Giappone “wo” (in giapponese “wa”,
yamato), “persona dalla statura bassa” o ”nano”, che divenne
“woguo” (in giapponese “wakoku”), cioè “Paese dei nani”.
I giapponesi in seguito iniziarono a definirsi “yamato”, in
quanto il carattere “wa” di nano era omofono al “wa” di
armonia. A cui venne preposto il carattere “grande”, a formare la
parola autoctona “ohoyamato”, che poteva significare sia “grande
armonia” che “grande nano”. Intorno al VII e Viii secolo i
giapponesi, che non riuscivano a far cambiare l'accezione cinese di
“Paese dei nani” visto che l'impero cinese aveva un ruolo
dominante, venne proposto un nome nazionale diverso, “nihon” o
“nippon”, cioè “luogo di origine del sole” o “luogo dove
sorge il sole”, anche in collegamento con la dea del sole
Amaterasu.
Fino alla fine dell'era Tokugawa il Giappone era posto
ad oriente da un'ottica sino centrica, ma col ritorno degli
occidentali la prospettiva cambia in versione euro centrica. Gli
stessi giapponesi di quel periodo (intorno al 1870) si definiscono
come una civiltà semi primitiva, e mirano ad occidentalizzarsi nel
sapere, nella tecnica e nella scienza, mantenendo, però, il proprio
spirito nipponico, da qui il termine “wakon yosai”, “spirito
giapponese, conoscenza occidentale”, coniato in era Meiji.
Il secondo capitolo, “L'Occidente moderno e i dilemmi
dell'identità specchiata”, ricostruisce l'assunzione della
geografia immaginaria euro-centrica, iniziata nella seconda metà del
800. Si illustra come il Giappone interiorizzò lo sguardo
euro-centrico fino a condizionare il modo di vedere se stessi e gli
altri.
Il Giappone è un ottimo esempio del potere egemonico
dell'occidentalismo, e quindi dell'orientalismo o
dell'auto-orientalismo, in quanto non fu mai colonizzato. Nonostante
ciò la nostra visione occidentale del Giappone si è imposta, tanto
da trasformare lo stesso paese del sol levante in una nazione
imperialista e colonialista, ad immagine di Europa ed Usa.
Per il Giappone l'esistenza dell'occidente è
indispensabile una propria identità nazionale, personale e
collettiva.
Il Giappone fu l'unica nazione non euro-americana a
portare a termine la modernizzazione, a combattere lo stesso
occidente e ad assoggettare altre popolazioni asiatiche, creando una
nuova posizione anti occidentale ma anche anti orientale.
Il Giappone per individuare se stesso ricorse allo
sguardo dell'altro (l'occidente), che comportò la proiezione interna
di una prospettiva altrui. Questo continuo rifarsi ed imitare
l'occidente portò a numerose frustrazioni, nazionali ed individuali,
in quanto l'Europa e gli Usa vedevano, nonostante gli sforzi
giapponesi di modernizzarsi, nel Giappone sempre una nazione “non
bianca”. Questo portò, verso l'inizio del 900, ad una inversione
di tendenza, che vedeva nel ritorno alle origini giapponesi (nota
come “kaiki”) il nuovo credo nazionale. Questo generò la
“missione giapponese” di “liberare” gli altri paesi asiatici
dalla dominazione occidentale (con il risultato di sostituire un
colonizzatore bianco con uno asiatico), grazie alla nuova via
giapponese, che univa modernizzazione alla tradizione. L'emblema di
questa nuova missione giapponese fu la “Grande Sfera di
Coprosperità dell'Asia Orientale”, “Daitoa Kyoeiken”.
La sconfitta bellica impose un nuovo occidentalismo,
incentrato tutto sugli Usa, visti come nuovo modello da seguire. Di
pari passo con il successo economico/industriale del dopo guerra
nacque una neo retorica sulla unicità dell'identità giapponese,
chiamata “Nihonjinron”, “Teorie sui giapponesi”. Un nuovo
nazionalismo culturale e popolare che esalta i successi del Giappone
in tutti i campi, dandone merito alle caratteristiche peculiari
insite nella cultura e la tradizione giapponese, e nei giapponesi
stessi. La nozioni più famose del “Nihonjinron” sono: “popolo
omogeneo” (tan 'itsu minzoku), “amore passivo” (amae), “società
verticale” (tate shakai), “gruppismo” (shudanshugi), “cultura
della vergogna” (haji no bunka). Però anche questa volta la nuova
visione del Giappone (elaborata in Giappone) nasce da un punto di
vista occidentale, dato che è influenzata da autori statunitensi
(come Ruth Benedict, “Il crisantemo e la spada”). Si ripropone la
dualità di fine 800, dell'orientalismo euro-americano: modernità
razionale (occidente) contrapposta a tradizione irrazionale
(Giappone).
Il terzo capitolo, “L'Italia made in Japan”, in cui
viene introdotto il ruolo sui generis delle rappresentazioni
sull'Italia.
Fin dai primi contatti tra Italia e Giappone agli anni
80 del 900 i giapponesi ricevevano informazioni dell'Italia tramite
studiosi di altre nazioni europee, praticamente mai da una fonte
italiana, quindi “l'italianismo” fu sempre marginale. Il boom del
made in Italy avviene nei primi anni 90, trasformando l'Italia da
“paese più stupido del mondo” a paese più amato. Furono le
riviste femminili di moda a generare questo boom, iniziò tutto con
uno speciale sulla rivista Hanako (nell'aprile 1990) riguardo il
tiramisù. Seguì il calcio (con la nascita della J-League e con
l'arrivo in Italia di Hidetoshi Nakata), le auto, la moda, la lingua
italiana (viene spiegato brevemente il successo di Girolamo
Panzetta). E in quest'ottica di successo dell'Italianismo ha avuto un
grande ruolo la scrittrice Shiono Nanami, con la sua narrativa
storica sull'impero romano e il Rinascimento, ma anche sulla società
contemporanea italiana. La fascinazione verso l'Italia nasce e si
afferma stabilmente anche perché il Bel Paese è visto si come la
culla dell'occidente, ma non è temuta come gli Usa o altre nazioni
europee, in quanto è considerata arretrata rispetto al Giappone.
Quindi un Italia con un passato superiore ed un presente inferiore,
un paese occidentale ma “orientalizzato”. “L'altro” italiano
è seducente perché permette al giapponese di vedere se stesso in
posizione di superiorità, cosa che non capiterebbe con altri paesi
occidentali.
Il quarto capitolo, “La narrativa storica di Shiono
Nanami”, introduce la figura della scrittrice giapponese. Shiono
Nanami, che vive in Italia da 40 anni, è l'autrice che in assoluto
si è dedicata di più ad illustrare l'Italia ai giapponesi. Tutti i
giapponesi che si sono appassionati all'Italia hanno letto i suoi
libri, come “Romajin monogatari” (Storie dei romani), sull'Impero
romano, che in Giappone ha venduto 9 milioni di copie.
Nel 2002 il Presidente Ciampi le conferì l'onorificenza
di “Gran Ufficiale dell'Ordine al Merito”, per la sua opera di
divulgazione della cultura italiana.
L'autore passa ad elencare le opere di Shiono e la sua
vita.
Il genere letterario di Shiono è una via di mezzo tra
il romanzo e il saggio storico, non è uno studio accademico storico,
ma qualcosa di più informale e leggero, chiamato “rekishi
shosetsu” (romanzo storico), che mischia storiografia, saggistica e
narrazione letteraria.
Il quinto capitolo, “Dal Rinascimento all'Italia”,
analizza le tematiche e lo stile degli scritti di Shiono. Tutta la
parte sulle opere letterarie sarà maggiormente apprezzabile da chi
avrà letto i libri di Shiono. C'è una parte di questo capitolo che
illustra anche gli articoli da opinionista che Shiono a scritto
sull'Italia (dagli ani 70 all'attualità). Nell'analisi di questi
articoli si nota che Shiono descrive un paese esotico, con tutti gli
stereotipi classici, quindi inferiore al Giappone, una nazione
museale e decadente, con una popolazione allegra ma irrazionale.
Quando poi Shiono descrive il sud Italia e la Sicilia, in
particolare, si notano descrizioni da classismo razzista.
Il sesto capitolo, “Dall'antica Roma al Giappone”, è
dedicato al ciclo romano “Romajin monogatari”, che portò alla
definitiva consacrazione di Shiono. Secondo Shiono i giapponesi
capirebbero meglio degli occidentali i romani dell'Impero Romano in
quanto entrambi i popoli erano e sono politeisti. Le considerazioni
dell'autore su questa opera di Shiono sono, comunque, molto più
approfondite di quello che posso riportare io.
Il settimo capitolo, “Italianismo e Occidentalismo”,
analizza la produzione saggistico/giornalistica più attenta ai temi
di attualità geopolitica. In questa parte c'è una riabilitazione
dell'Italia, da paese arretrato a paese esemplare, in concomitanza
delle missioni militari italiane nel mondo, dove il Giappone, invece,
non vi partecipa mai. Quindi l'Italia viene elogiata allo scopo di
criticare la classe politica giapponese, e la stessa costituzione
(pacifista) giapponese , che impediscono al Giappone di avere un
ruolo attivo nel mondo.
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