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domenica 6 agosto 2017
"Scusa, capo: ho sbagliato ma rimedio subito, mi taglio un dito...", di Robert Forst - Historia luglio 1977
Nel luglio del 1977, quindi in epoca pre goldrekkiana, la rivista storica "Historia" pubblicava questo speciale sulla mafia giapponese, fatto passare come una loro eccezionale esclusiva.
Sul fatto che fosse abbastanza eccezionale non discuto, penso che fosse un argomento pressoché sconosciuto sulla stampa italica, lo è anche oggi, mentre che fosse una esclusiva della rivista resto dubbioso, visto che l'articolo è a firma di tal Robert Forst, direi scritto per una rivista statunitense.
Non ho trovato nessuna info sul web riguardante l'autore dell'intervista/inchiesta.
Un'altra cosa che mi ha lasciato perplesso è il soggetto dell'intervista, il boss Rideomi Oda, che viene spacciato per il capo della Yamaguchi (gumi), che sarebbe il clan più numeroso e potente di tutta la yakuza, ma che dall'articolo pare quasi essere il capo dell'intera yakuza >_<
Di questo Rideomi Oda non ho trovato nessuna informazione nei due recenti saggi sulla yakuza:
Yakuza, il Giappone criminale
Yakuza, un'altra mafia
I due saggi danno come capo clan, nel periodo descritto, un altro personaggio, che lo è stato per decenni dopo la sua fondazione (e dopo la sua morte i successori sono altri), questo Rideomi Oda proprio non risulta... sarebbe interessante sapere dai due autori dei saggi sopra linkati se, magari, il nome fosse quello sbagliato, ma le foto si riferissero al capo clan reale.
Oppure Robert Forst intervistò un boss di qualche clan affiliato e lo promosse, all'insaputa del boss (spero), a capo supremo >_<
Tra l'altro le foto del boss(?) Rideomi Oda paiono rispecchiare l'immagine del boss yakuza che si poteva vedere nei film del periodo, anche giapponesi, sfarzo, sigaretta ed occhiali scuri.
Un'altra curiosità sull'articolo è che Robert Forst parla della Yamaguchi (senza aggiungere "gumi") come se fosse la yakuza nel suo complesso, usa anche il nome "yakuza", ma parlandone quasi al passato, mentre in realtà il clan Yamaguchi-gumi, per quanto potente (specialmente nel 1977), è uno dei clan della yakuza, non la yakuza stessa.
Questo articolo non è citato neppure nella bibliografia del saggio di Giorgio Arduini, che è molto dettagliata.
Alcune delle informazioni riportate mi pare che corrispondano anche a ciò che si può leggere nei due saggi italiani, in particolare sull'interesse della yakuza ad insabbiare lo scandalo Lockeed, però mi è parso un po' troppo una americanata, come impostazione generale, molto incentrato sull'aspetto folcloristico della mafia giapponese.
Comunque, considerando l'anno di pubblicazione, resta una testimonianza interessante.
lunedì 20 febbraio 2017
Yakuza, il Giappone criminale
TITOLO: Yakuza, il Giappone criminale
AUTORE: Massimiliano Aceti
CASA EDITRICE:
PAGINE: 217
COSTO: 20€
ANNO: 2014
FORMATO: 23 cm x 15 cm
REPERIBILITA': Reperbile sul web
CODICE ISBN: 9788891075086
Per anni ho cercato saggi sulla yakuza, e di colpo me ne sono ritrovati due in un sei mesi. In realtà questo libro è antecedente di un paio di anni rispetto a quello di Gioorgio Arduini, ma purtroppo per nulla pubblicizzato, essendo stato pubblicato in autonomia dall'autore. In pratica questo è stato il primo libro incentrato sulla yakuza pubblicato in Italia.
Non tragga in inganno la differenza di pagine tra il saggio di
Arduini e questo di Aceti, ovviamente il primo è enormemente più
dettagliato (basti pensare al numero delle note!), ma questo non è
per nulla superficiale. Considerando che “Yakuza, il Giappone
criminale” consta di un terzo delle pagine di “Yakuza, un'altra
mafia”, la si può valutare una lettura meno impegnativa (nel senso
che necessita di meno tempo), ma non banale.
L'unica nota negativa del saggio, oltre al fatto che è restato
praticamente sconosciuto, sono le tabelle, la cui grafica risulta in
alcuni casi eccessivamente piccola, rendendo quasi impossibile
leggere talune cifre. Per altro i dati sono sempre ufficiali e di
matrice nipponica.
Sul versante delle note di merito, invece, oltre al fatto che il
libro è scritto bene ed è interessante, l'autore ha pensato bene di
inserire un utilissimo ed indispensabile glossario dei termini
giapponesi inerenti la yakuza, che permette di andarsi a rileggere
cosa significhi una parola senza doverla imparare a memoria.
Piccolo particolare poco usuale è che, all'inizio del libro, lo stesso
autore scrive una singola asciuttissima pagina con la spiegazione dei
capitoli, che mi permetto di riportare, prima di partire con le mie
elucubrazioni.
domenica 24 luglio 2016
Yakuza, un'altra mafia
TITOLO: Yakuza, un'altra mafia
AUTORE: Giorgio Arduini
CASA EDITRICE: Luni
Editrice
PAGINE: 670
COSTO: 28€
ANNO: 2016
FORMATO: 21 cm x 14 cm
REPERIBILITA': ancora
disponibile a Milano
CODICE ISBN: 9788879844765Questo saggio è più unico che raro, in quanto il tema della yakuza non è praticamente mai trattato in testi in italiano, nessun libro, inoltre, è tanto attuale come questo. Vecchie pubblicazioni, che non sono riuscito mai a recuperare, arrivano a trattare fino agli anni 70/80, mentre questo libro giunge ai nostri giorni. Infine è dettagliatissimo, tratta sia il punto di vista storico, partendo dal 1100, che i lato sociologico, ma si sofferma molto anche sulle mere questioni di cronaca giudiziaria. Quanto sia dettagliato lo scritto è dimostrato dal numero di note presenti, ben 2552, per un totale di 174 pagine contenenti solo note.
Ecco,
una delle due critiche che mi sento di muovere al libro riguarda
proprio le note, che non sono poste a fondo pagina, ma alla fine del
capitolo, cosa che impone un continuo avanti ed indietro, di cui alla
fine ci si stanca, non andando più a consultarle. Più comodo per il
lettore sarebbe stato porle a fondo pagina, visto il loro numero
mostruosamente alto. L'altra unica critica riguarda l'assenza di un
pur minimo dizionario dei termini giapponesi. La prima volta tutti i
termini riguardanti la yakuza o la società giapponese sono ben
spiegati, solo che un saggio di 670 pagine non si legge in poco
tempo, e magari si ritrova un termine 100 pagine dopo oppure un
settimana dopo averlo letto. “Bosozoku”, “boryokudan”,
“oyabun”, “kobun, “yobitsune” sono tutti termini che più o
meno un lettore di materiale sul Giappone ha già sentito, ma tanti
altri termini che l'autore spiega mi erano sconosciuti. Aggiungere
una decina di pagine con le parole giapponesi più usate nel libro
non credo che avrebbe aumentato di molto il costo del libro, ma lo
avrebbe reso di certo più facile da leggere. Sia chiaro, la sua
lettura non è per nulla difficoltosa, l'autore scrive in maniera
comprensibilissima, il mini dizionario sarebbe stata una buona idea,
la ciliegina su una torta già squisita.
Mi
fermo qui con le uniche due critiche che mi son sentito di muovere,
perché per il resto il saggio di Giorgio Arduini è
interessantissimo.
Già
dall'introduzione, che funge da primo capitolo, ho capito che questo
era proprio il libro sulla yakuza che avrei voluto leggere da sempre,
infatti l'autore riepiloga i film, telefilm, anime e manga che
trattano della yakuza. Quindi si potranno leggere titoli e personaggi
che un po' tutti conosciamo.
Il
secondo capitolo inizia con un breve riassunto storico che parte fin
dal 1100, per arrivare al 1600, in epoca Tokugawa, da cui ricomincia
la ricostruzione storica delle origini della yakuza. Infatti i membri
di oggi della yakuza si beano d'essere i difensori dei più deboli,
come lo erano i briganti del XVII secolo, i “kyokaku” (“persona
cavalleresca”). Per spiegarne la figura storica l'autore racconta
le storie di due kyokaku: Ude no Kisaburo e Banzuin Chobe.
La
pax Tokugawa generò masse di ronin che vagabondavano per il paese,
alcuni di loro si riunivano in bande chiamate “kabukimono”
(“persone folli”). A questi si unirono gli “hatamoto yakko”,
samurai scontenti dal trattamento avuto dai daimyo Takugawa. Tutti
questi gruppi sfidavano il nuovo potere costituito imperversando
sulla popolazione inerme. A difesa dei cittadini, i “chonin”,
cioè i nuovi ricchi mercanti, si schierarono i “machi yakko”
(“servitori/difensori della città”). Gli yakuza si ritengono i
discendenti dei “machi yakko”, che difendevano i mercanti
disprezzati dai Tokugawa. In realtà la yakuza deriva da due gruppi
di malviventi dell'era Tokugawa: i “tekiya”, venditori ambulanti
che vivevano di piccole truffe; i “bakuto”, gruppi di giocatori
d'azzardo.
L'autore
spiega dettagliatamente il ruolo ed il significato del nome di questi
due gruppi. Tra le tante informazioni e curiosità c'è, ovviamente,
anche quella sull'origine del nome yakuza.
Riassumendo
un po' la spiegazione originale:
yakuza
deriva dal gergo bakuto riguardante il gioco di carte “oicho kabu”,
una specie di black jack, dove il massimo del punteggio è 19. Le
carte distribuite sono tre, se queste sono un 8-9-3 (ya-ku-san) si
ottiene una combinazione inutile e perdente, “senza valore”.
Infatti gli yakuza si considerano “senza valore” rispetto al
cittadino comune, in quanto è grazie a loro che essi sopravvivono.
In
questa prima introduzione al mondo formale della yakuza l'autore
descrive altri aspetti:
i
tatuaggi; il “mon” (blasone); il rapporto superiore/padre
(oyabun)-inferiore/figlio (kobun); il jiri e ninjo tra gli yakuza; il
“kao” (prestigio) in relazione con il “jingi” (umiltà); le
sanzioni interne alla yakuza.
Riguardo
ai tatuaggi si può leggere tutta la storia del loro essere
considerati negativi o positivi. Negativi in quanto in più periodi
della storia del Giappone marchiavano a vita un delinquente. Tra le
tante informazioni interessanti è ben spiegato il legame tra i
tatuaggi, i pompieri del periodo Edo ed il mondo della criminalità
Il
jingi nasce tra gli artigiani ai tempi dei daimyo. Lo scopo era
quello di regolare i rapporti tra artigiani che si incontravano per
la prima volta, quindi queste regole di “umiltà” (jingi)
evitavano che si creassero dissidi e gelosie. Solo la yakuza ha
mantenuto questi protocolli di saluti reciproci.
Sono
riportati i rituali jingi tra capi yakuza quando questi si
incontrano.
Riguardo
le sanzioni interne alla yakuza il capo clan (oyabun) ha la
possibilità si punire il sottoposto (kobun) tramite varie gradi di
severità. Dalle semplici scuse, alla rasatura del capo, le punizioni
corporali, l'espulsione o la morte, oppure la punizione che tutti
conosciamo: lo “yobitsume” (taglio/accorciamento del dito).
L'autore
spiega la storia di questa pratica, comprese la due discordanti
origini, la prima che la fa risalire ai biscazzieri, la seconda alle
prostitute.
Nel
caso in cui uno yakuza venga semplicemente espulso dal proprio clan
(magari momentaneamente) esiste un format della lettera di
allontanamento, che si chiama “hamon jo” (“lettera di
scomunica”), ed anche una lettera “di ripresa della relazione”,
la “fukuen jo”.
L'atto
che suggella la fratellanza tra due yakuza si chiama “sakazuki
shiki” (“la cerimonia delle tazze di sake”), ha anche lo scopo
di sancire una alleanza o serve come cerimonia per l'ingresso di
nuovi membri.
L'ultimo
paragrafo spiega come in epoca Tokugawa le ingiustizie subite dai
fuori casta (eta e hinin) li spinsero a far parte, a vario titolo,
della nascente yakuza. Durante questa esauriente trattazione viene
spiegata (da pagina 108 a pagina 115) l'origine storica degli eta,
risalente già all'epoca Yamato, e poi modificatasi (in peggio) in
epoca Nara. Sui burakumin l'autore tornerà nel quarto capitolo,
quello più a carattere sociologico.
Il
terzo capitolo è prettamente storico, e consta di 210 pagine,
partendo dall'era Tokugawa, per arrivare fino ai giorni nostri.
Ovviamente si passa da una narrazione storica, il passato remoto e
recente del Giappone, ad una cronaca giudiziaria, dagli anni 50 ad
oggi, in cui gli scandali di corruzione politica e gli scandali
finanziari si susseguono uno all'altro.
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