TITOLO: Hiroshima, storia e memoria dell'olocausto nucleare
AUTORE: Florian Coulmas
CASA EDITRICE: Mimesis
PAGINE: 112
COSTO: 14 €
ANNO: 2010,
FORMATO: 21 cm
X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN:
9788857504087
L'autore
si prefigge di far emergere le censure informative, ma anche di tipo
culturale, riguardo l'olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki.
Spiega bene come e cosa gli americani nascosero allo scopo di
eliminare il proprio senso di colpa. Il tutto con lo scopo di
ristabilire la verità su alcuni fatti storici poco pubblicizzati,
anche sui libri di scuola. Una pecca del suo approccio è, secondo
me, che commette l'errore opposto, prevalentemente trasforma i
giapponesi in vittime, come se gli Usa una bella mattina si fossero
svegliati e avessero deciso di nuclearizzare una nazione a caso. Non
che l'autore non citi le responsabilità e le nefandezze giapponesi,
ma sembra che siano sempre equilibrate da una colpa americana.
L'altra
grossa pecca di questo libro è che quasi non tratta le
discriminazione subite dagli hibakusha, i sopravvissuti all'olocausto
nucleare.
Inizialmente
si ripercorrono le fasi storiche che portarono al conflitto mondiale
in oriente, mi pare che si dia poco risalto all'espansione nipponica,
e alla sua virulenza. Di contro argomenta che l'embargo economico
degli Usa (più Gran Bretagna e Olanda) contro il Giappone nel 1940
quasi giustifico Pearl Harbor...
Addirittura
si spinge ad argomentare che se gli Usa (con il commodoro Perry) non
avessero obbligato con la forza il Giappone ad interrompere
l'isolazionismo tutto il seguito non sarebbe successo...
Una
delle poche responsabilità che l'autore attribuisce al Giappone è
quella di aver continuato una guerra che sapeva di aver perso, che
però fu dovuta alla richiesta Usa di resa incondizionata, ergo
sarebbe di nuovo colpa degli americani.
Per
fortuna considera l'imperatore Hirohito parte attiva (con relativa
responsabilità) nella decisione di continuare la guerra.
Considero
molto valida la parte che illustra bene come la questione razziale
ebbe una parte importante nel decidere di atomizzare il Giappone, gli
Usa lo avrebbero fatto su una città europea di bianchi?
Non
sapevo, invece, che dopo la guerra gli Usa vietarono lo scambio di
informazioni (sia personali che mediche) tra le vittime del
bombardamento, aumentando la sofferenza dei sopravvissuti.
Le
rovine del “Genbaku Domu” (La cupola della bomba atomica) non
sono il monumento intoccabile per tutti gli abitanti di Hiroshima e
del Giappone che si potrebbe pensare, dopo la guerra ci fu un lungo
dibattito se abbattere le rovine, evidentemente non era ancora un
simbolo.
Il
monumento commemorativo principale del Parco della pace di Hiroshima
si poté costruire solo dopo la fine dell'occupazione Usa, fu
inaugurato il 6 agosto 1952.
Anche
i monumenti commemorativi sono discriminatori. Si stima che a
Hiroshima circa il 10% delle vittime fossero “sudditi” coreani,
deportati. Questi, fino al 1990, non venivano neppure citati durante
le commemorazioni. Solo nel 1970 i coreani giapponesi ottennero di
poter avere un monumento commemorativo, ma non furono autorizzati ad
averlo dentro il parco della pace, quindi fu eretto appena fuori.
Mentre i sopravvissuti coreani non ottennero nessun aiuto economico
per le cure o di sussistenza, né dal Giappone, né dagli Usa e né
dalla Corea del Sud. Solo nel 1957 fu varata una legge per
l'assistenza medica per i sopravvissuti, ma riguardava solo i
cittadini giapponesi, i coreani che non erano tornati nelle 2 Coree
ne erano esclusi. Alla fine gli hibakusha coreani furono i
discriminati tra gli stessi discriminati hibakusha, questo perché la
presenza la presenza di questi civili deportati tea le vittime civili
della bomba atomica ricordava ai giapponesi che non potevano
considerarsi vittime. Quindi i giapponesi si limitarono a depennare i
coreani come vittime della bomba atomica.
Interessante
la parte in cui si evidenzia come negli Usa viene mantenuta viva la
memoria della bomba, ovviamente evitando di ammettere qualsiasi
errore nella decisione di nuclearizzare degli obbiettivi civili.
L'autore
passa ad analizzare come i media trattarono, nei giorni successivi il
bombardamento, la notizia. L'attenzione era posta sulla potenza degli
ordigni e sulle conseguenze strategico-militari. Le vittime erano
citate come prova numerica dell'efficacia della nuova arma. Non si
faceva menzione degli effetti delle radiazioni, per ignoranza. In
Giappone i giornali si soffermavano sulla potenza scientifica dei
vincitori, poi la censura Usa impedì ulteriori dibattiti. Gli Usa
non volevano che si conoscesse il dramma dei sopravvissuti, oppure
che a Nagasaki c'era la comunità cristiana più grande del Giappone.
Un
effetto di questa censura americana fu che negli anni successivi
provocò una sorta di deresponsabilizzazione giapponese. L'aver
impedito un dibattito pubblico sul contesto globale della guerra, e
delle sue responsabilità (giapponesi), permise loro di considerarsi
vittime per aver subito l'unico olocausto nucleare della storia del
pianeta.
E'
molto interessante il capitolo che tratta di come venne
rappresentato, negli anni appena successivi, il bombardamento atomico
tramite il cinema o la fotografia. Fino al 1952 (cioè la fine
dell'occupazione Usa) era vietato esporre materiale fotografico su
Hiroshima e Nagasaki, ed era proibito anche avere i negativi di
queste foto.
Valido
anche il capitolo sulle reazioni degli intellettuali del periodo che,
tranne qualche sparuta eccezione (come Gunther Anders), non si
schierarono contro il bombardamento atomico.
C'è
un capitolo che riporta quale letteratura ha generato la bomba
atomica in Giappone. Alla fine della guerra il tema è presenta
raramente, in parte perché chi ne avrebbe potuto scrivere era morto
nel bombardamento, ma anche per altri tre motivi: la censura Usa; la
trasformazione del tema “atomico” in un tabù per tutta la
società giapponese; l'ostracismo degli stessi letterato nipponici
verso chi scriveva di e su Hiroshima e Nagasaki.
Eccezioni
furono “Piaggia Nera” di Masuji Ibuse (però pubblicato nel
1965), “Note su Hiroshima” di Kenzaburo Oe, “Le campane di
Nagasaki” di Tokashi Nagai.
Le
testimonianza scritte dei sopravvissuti sono il modo più efficace
per capire il dolore del dopo. Spiccano in particolare: “Lettere a
mia moglie che se n'è andata” di Toyofumi Ogura; i diari del
medico Michihiko Hachiya; “Come sopravvissi alla bomba” di Akira
Kohchi; il libro tratto dalle interviste di 2000 sopravvissuti (fatte
nel 1970) di Akihuto Ito.
Un
capitolo è dedicato all'analisi dei testi scolastici giapponesi e
statunitensi sul tema del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, ma
vengono analizzati anche i testi scolastici tedeschi. In gran parte
ogni nazione insegna una storia soggettivamente nazionale, omettendo
le parte sgradite del bombardamento atomico e del suo contesto.
Il
capitolo successivo prende in esame la “memoria storica” del
bombardamento, come Hiroshima è vista dagli Usa ed in seguito come
Hiroshima è vista dagli stessi giapponesi, Infine sono confrontate
le due memorie storiche.
L'ultimo
capitolo riassume la storia della corsa agli armamenti nucleari di
Usa e URSS, e degli altri paesi con deterrenza atomica. In questo
capitolo si palesa l'antiamericanismo dell'autore. Quando addossa
agli Usa (rei di aver installato armi nucleari in Corea del Sud) la
responsabilità dello sviluppo di armi atomiche da parte della Corea
del Nord.
Il
saggio è comunque interessante e valido, basta considerare che parte
da un forte sentimento antiamericano, cosa che può anche essere
condivisibile (viste le porcate fatte in questi decenni dagli Usa),
ma che mina un po' l'obbiettività dell'opera.
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