TITOLO: Manga Academica vol. 3, rivista di studi sul fumetto e sul cinema di animazione giapponese
AUTORE: vari
CASA EDITRICE: Società
Editrice La Torre
PAGINE: 161
COSTO: 10,50€
ANNO: 2010
FORMATO: 20
cm X 15 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN:
9788896133071
La casa editrice “Società
Editrice La Torre” pubblica dal 2008 “Manga Academica”, che,
in forma di libro, è una rivista annuale sui manga e l'animazione
(ma non solo) giapponese. Per fortuna è uscito anche questo terzo
numero, equivalente al terzo anno di pubblicazione, visto che i
contenuti di questa rivista annuale sono molto validi.
Il primo contributo è di
Marco Maurizi, s'intitola “Eccerobot, come si filosofa coi pugni
atomici”.
Ho sempre l'impressione
che , talvolta, gli stili di scrittura così forbiti (e quindi
parecchio criptici), specialmente quando il tema sono anime e manga,
più che per essere precisi nella spiegazione dei concetti servano ad
impressionare un numero esiguo di cattedratici, peccato che il libro
lo comprino anche i non cattedratici...
Roberto Vitello illustra
nel dettaglio i precursori dei manga, gli emakimono dell'epoca
Kamakura (1185-1333). Gli emakimono disegni di svariati soggetti su
sono rotoli di carta lunghi anche 16 metri, arrotolati intorno ad un
bastone, si aprono da destra verso sinistra, per una 50nitna di
centimetri. Inizialmente gli emakimono erano rivolti a un pubblico
elitario, e raffiguravano scene religiose, grandi battaglie, essere
mitologici, oppure raccontavano favole utilizzando personaggi
antropomorfi. Quindi l'antropomorfismo nei manga e negli anime
attuali nasce negli emakimono. L'autore analizza alcuni antichi
emakimono, purtroppo le foto presenti nel libro sono troppo piccole
per seguire i suoi spunti artistici. In alcuni di questi antichi
emakimono si può notare quello che oggi chiameremmo storyboard.
Tutto ciò fa comprendere come il linguaggio dei manga ha delle
origini molto antiche. Nel periodo Tokugawa (1603-1868) gli emakimono
vennero sostituiti da nuovi media, come gli ukiyo-e (stampe) e i
kusazoshi (libelli illustrati). Questo perché gli emakimono erano
prevalentemente goduti dai nobili, ma nell'epoca Tokugawa i mercanti
acquistarono sempre più potere economico, e i nuovi media si
confacevano di più ai loro nuovi bisogni di svago. Inoltre nascevano
nuove tecnologie più popolari ed economiche, come l'editoria
popolare. I kusazoshi (destinati alle classi sociali meno abbienti)
si dividevano per genere, un po' come gli attuali manga: sharebon
(libri comici); yumihon (romanzi popolari); choninmono (romanzi sui
mercanti); ukiyozoshi (romanzi erotici). La nuova borghesia
necessitava di nuovi canali espressivi, di svagarsi leggendo,
nacquero così le jihondonya, cioè le prime case editrici, e gli
ezoshiya, negozi specializzati nella vendita di stampe. In questo
settore editoriale il Giappone anticipò di molto l'industria
editoriale occidentale del 800, dove la produzione di massa andava a
discapito della qualità. Con l'apertura forzata del Giappone
all'occidente nel 1854 stava per nascere il nuovo media, il manga. A
questo punto l'autore si sofferma sulla figura di Hokusai Katsushika
(1760-1849), l'artista delle stampe ukiyo-e, che è considerato il
padre putativo del manga. Lo stesso termine “manga” venne usato
per la prima volta nel 1812 per una serie di suoi disegni, gli
“Hokusai Manga”.
Il terzo contributo, ad
opera di Arianna Di Pietro e Riccardo Rosati, analizza, con uno
studio sociologico, i cambiamenti della società giapponese nel
periodo 1980/2000 tramite due anime di successo, Maison Ikkoku e
Nana. Questo studio vuole evidenziare il progressivo allontanamento
dalla radice culturale nipponica verso la globalizzazione, avvenuta
tra il 1980 e gli anni 2000, mutazione che ha minato le tradizionali
forme di socializzazione, in particolare tra i sessi. In particolare
verranno poste in risalto le differenze tra le storie d'amore dei due
anime, come lo stesso concetto di amore sia cambiato, assieme al
rapporto con la famiglia. Questo studio sociologico cerca di
dimostrare l'importanza degli anime come fonte documentale per
l'analisi di stampo sociale e antropologico. Le considerazioni degli
autori sono molto interessanti ed articolate, essendo il capitolo
relativamente breve (23 pagine) è pregno di contenuti.
Il quarto intervento è a
cura di Massimo Nicora, e riguarda gli antenati dei robot giapponesi,
la storia degli automi meccanici artigianali chiamati karakuri in
epoca Tokugawa. Il termine karakuri significa “congegno meccanico
realizzato per burlarsi di una persona o coglierla di sorpresa”. I
karakuri erano esibito a teatro per stupire gli spettatori. I
karakuri non avevano nessun compito pratico di lavoro, solo di svago
ed intrattenimento. Il primo spettacolo teatrale con karakuri si
svolse il 25 maggio 1662 ad Osaka, ad opera del maestro orologiaio
Omi Takeda. I lavori scritti per il teatro con i karakuri (butai
karakuri o Takeda karakuri, in onore di Omi Takeda) vennero
riadattati per attori umani, che, però, continuarono ad imitare i
movimenti degli automi. Da qui la nascita di uno stile recitativo che
risulta incomprensibile ad un occidentale. La tradizione del Takeda
karakuri continuò col fratello Kiyotaka Takeda (Omi Takeda II), e
raggiunse il suo apice con lo spettacolo del 1758 a Edo, creato da
Omi Takeda III. IL Takeda karakuri terminò l'attività nel 1772.
I karakuri erano usati
anche durante i matsuri (festività religiose), ed erano noti (ma lo
sono anche oggi) come “daishi karakuri”, perché gli automi erano
posizionati su carri allegorici chiamati daishi. Esistevano anche i
“zashiki karakuri”, “automi domestici” (esistenti anche
oggi), creati come oggetti di lusso per i ricchi. Con la
Restaurazione Meiji e la fine dell'isolazionismo dell'era Tokugawa
ebbe termine anche la tradizione dei karakuri. Gli ultimi maestri
artigiani karakuri furono Hisashige Tanaka (1799-1880), che pose le
fondamenta della Toshiba, e Benkichi Ono (1801-1870).
L'ultimo capitolo è di
Sara Papa, e tratta “l'immaginario erotico femminile: dal fumetto
artigianale allo shonen ai. L'autrice inizia spiegando la nascita
del genere fumettistico shonen ai durante i festival del fumetto
amatoriale, chiamato comiket, dalla prima fiera nel 1975 ai giorni
nostri. In seguito si analizza la figura, sovente presente anche nei
manga ufficiali, del personaggio androgino (sia maschile che
femminile), e del suo significato nella società giapponese. Sono
prese in considerazione le tematiche negli yaoi, negli shonen ai, le
differenze tra questi due e con lo slash occidentale. Vengono
riportate le tipologie classiche di rapporti tra i personaggi di
questo genere. Da notare come queste parodie di materiale coperto da
diritti d'autore non generi nessuna denuncia dai proprietari dei
diritti, anzi, queste dojinshi (compresi yaoi e shonen ai) sono
considerate il sintomo del successo di una serie, e una pubblicità
per la serie stessa. Esistono vari tipo di dojinshi: tratte da lavori
originali (original); parodie di serie di successo (aniparo); le
storie d'amore tra uomini (june mono); quelle con risvolti sessuali
(yaoi). Gli yaoi sono dojinshi non ufficiali, lo shonen ai, invece, è
venduto nelle edicole. Per finire sono ben spiegate le motivazioni
che spingono la lettrice giapponese eterosessuale a prediligere
questo tipo di manga.
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