TITOLO: Così triste cadere in battaglia, lettere da Iwo Jima e il racconto di quei cruciali giorni di guerra
AUTORE: Kakehashi Kumiko
CASA EDITRICE: Einaudi
PAGINE: 206
COSTO: 15 €
ANNO: 2007
FORMATO: 21 cm
X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN:
9788806190613
Il
libro è molto bello, racconta poco dell'evolversi della battaglia,
ma tanto sui sentimenti dei soldati giapponesi, in particolare del
loro comandante: il generale Tadamichi Kuribayashi.
Sono
riportate le lettere che Kuribayashi scrisse alla famiglia, ed anche
lettere di altri soldati a Iwo Jima.
Purtroppo
io ho un grosso limite nella lettura di storie come queste, proprio
non riesco a capire l'onore e l'utilità di morire in battaglia in
quel modo.
L'autrice
non trasforma il libro in una zuppa filo militarista, però accetta
il concetto di eroismo per aver combattuto fino all'ultimo uomo.
Morirono
20 mila giapponesi, il che comportò anche la morte di 7000
statunitensi, e per cosa?
Ma la
conseguenza finale fu che quella opposizione totale metro per metro,
soldato contro soldato, che causò 7000 morti americane, convinse gli
Usa (assieme alla battaglia di Okinawa) che un'invasione del Giappone
sarebbe stata troppo dispendiosa in termini di soldati americani, e
quindi optarono (o almeno fu uno dei motivi, di certo non l'unico)
per il bombardamento atomico.
E se
Kuribayashi ad un certo punto si fosse arreso? Salvando, magari, 15
mila giapponesi e altre migliaia di americani, forse le cose
sarebbero state diverse, forse.
Kuribayashi
non era un fanatico, sapeva di non avere scampo, non era neanche un
antiamericano, aveva vissuto negli Stati Uniti 5 anni e conosceva la
sua potenza industriale, eppure combatté fino alla fine.
Purtroppo,
per me, questo non è eroismo, è pazzia.
Ovviamente
non discuto sugli atti eroici dei soldati nipponici, inferiori sia di
numero che di armamento e rifornimenti. Anche se la pratica di dare
una bomba a mano ai feriti per farsi esplodere, e con loro magari
anche qualche soldato americano che li stava soccorrendo, non lo
chiamerei eroismo.
Kuribayashi
vietò ai suoi soldati di compiere attacchi “banzai”, cioè di
attaccare le linee americane in un attacco suicida, voleva che i suoi
soldato combattessero fino alla fine.
Ecco,
però, una serie di ordini alla truppa:
1
Difenderemo questo luogo con tutte le nostre forze fino alla fine;
2 Ci
scaglieremo contro i carri armati del nemico imbottiti di esplosivo
per distruggerli;
3
Annienteremo i nemici, precipitandoci in mezzo a loro per ucciderli;M
4
Ciascun nostro colpo raggiungerà il bersaglio e ucciderà il nemico;
5 Non
moriremo prima di aver ucciso dieci nemici;
6
Continueremo a colpire il nemico con le tecniche della guerriglia
anche se soltanto uno di noi rimarrà in vita.
Kuribayashi
dimostrò di non essere un fanatico, anche perché si rifiutò di
combattere come gli ordinavano i superiori, cioè fermare gli
americani sulla spiaggia. Sapeva che la superiorità aereo-navale
americana avrebbe loro permesso di sbarcare, e quindi si concentrò
sulla difesa delle retrovie , effettuando una battaglia di
logoramento.
I
generali americani pensavano di conquistare Iwo Jima in 5 giorni, ce
ne misero 36. Il 16 marzo 1945 Kuribayashi decise che potevano solo
fare un ultimo attacco, la resistenza non era più possibile perché
mancavano viveri, acqua e munizioni. Il 26 marzo ci fu questo ultimo
attacco, non è certo se Kuribayashi vi partecipò oppure fece
seppuku come era tradizione per gli alti ufficiali. L'autrice è
convinta che combatté fino alla fine con i suoi soldati.
Quanto materiale in questo Blog O_o... ed io l'ho scoperto (chiedo venia) solo perchè cercavo foto della Go Nagai Robot Collection.
RispondiEliminaUn oceano di info interessanti e ricordi... Wow
Grazie :]
EliminaGià, i libri non mancano proprio, ed anche i ricordi abbondano ;)