TITOLO: Anime d’Acciaio Deluxe Edition, guida al collezionismo di robot giapponesi (con CD-ROM)
AUTORE: Guglielmo Signora
CASA EDITRICE: Kappa Edizioni
PAGINE: 287
COSTO: 35 €
ANNO: 2010
FORMATO: 24 cm X
16 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788874712441
Un buon numero di cose
che, secondo me (anche se non sono un collezionista), ne giustificano
l'acquisto.
Intanto inizierò a dire
quello che non contiene: manca un capitolo sui modellini dagli anni
2000 al 2010. Nonostante il primo decennio del 2000 sia terminato il
libro non contiene un capitolo che lo riguardi, simile ai 2 capitoli
anni 70/80, anni 80/90, anni 90/2000. Ci sono le foto dei modellini
fino al 2010, nella Check List allegata al CD-Rom sono presenti tutti
i modellini prodotti fino al 2010, ma manca la parte di analisi di
quest'ultimo decennio. Questa ritengo sia l'unica pecca.
Il libro mantiene la
stessa organizzazione della prima edizione, coi capitoli distribuiti
nella stessa maniera, immagino che la parte di analisi sia stata
migliorata e arricchita, ma, ovviamente, non ho fatto un riscontro
pagina per pagina.
Il prezzo, a distanza di
6/7 anni, è aumentato solo di 3 euro (da 32 a 35), ma la presenza
del CD-Rom rende più che accettabile l'aumento del prezzo.
Mentre chi non aveva
acquistato la prima edizione non potrà esimersi dal prendere questa
“Deluxe Edition”, perché in ogni riga di questo saggio sul
giocattolo robotico si può trovare la storia del giocattolo con cui
si giocava da bambino, e che, magari, è riposto ancora in cantina o
in vetrina. Io ho (ri)scoperto (in quanto per me è una seconda
lettura) che il mio amato modellino di Daitarn III, di Tekkaman e di
Pegas non sono stati solo dei balocchi. E quando Guglielmo Signora
descrive la storia delle riproduzioni degli Astrorobot (Machine
Blaster) del marchio Takemi io penso che 2 di quei 4 robot li ho
ancora, che li ho manipolati centinaia di volte, e sento che il suo
racconto mi coinvolge.
Nel primo capitolo (“Dalla nostalgia al merchandising: l'evoluzione della specie”) è ripercorsa tutta (e dico tutta) la storia dei modellini e dei giocattoli robotici nati dalle serie d'animazione e no. Questa industria di modellini e giocattoli è nata dall'evoluzione delle fabbriche degli anni 50 e 60 che producevano robot di latta, in buona parte per il mercato statunitense. Fu la necessità di utilizzare gli scarti del materiale bellico, e quindi la presenza di una grande quantità di materia prima a baso costo, a far nascere queste aziende, che con l'arrivo del primo anime Astroboy si convertirono nella produzione di giocattoli ispirati alle serie tv. La mole di aneddoti e informazioni presenti è così alta da non poter essere riportata, il tutto scritto in maniera piacevolissima. Sono riportate le storie delle aziende che producevano che giocattoli/modellini (Takara, Bandai, Popy, Clover, etc), di quelle sopravvissute, di quelle fallite e di quelle assorbite da quelle sopravvissute.
Il secondo capitolo (“Kami meccanici e draghi volanti”) è di carattere storico/saggistico, che spiega come e quanto i robot e i mostri degli anime (e manga) siano debitori verso la tradizione culturale e storica giapponese. Samurai, kami, spiriti, “il gruppo”, le trasformazioni, le arti marziali hanno dato vita a tutto il pantheon robotico che ancora oggi apprezziamo.
Il terzo capitolo (“1970-1980 il decennio dell'innovazione”) si sofferma dettagliatamente sul primo decennio di robot. Dallo storico Mazinga Z, con la storia della produzione del suo modellino, alla spiegazione dei vari termini come chogokin, die-cast, deluxe, popinica, jumbo (la versione jumbo di Mazinga Z vendette 400 mila pezzi!). Il Jeeg magnetico era prodotto dalla Takara, e vendette quasi un milione di pezzi, mentre gli altri robot classici di Go Nagai erano prodotti dalla Popy/Bandai. Questo è il motivo perché Jeeg e gli altri robottoni gonagaiani (Goldrake, i Getta, il Grande Mazinga) non si vedono ma assieme, le due case non si accordarono mai per un crossover (tranne un brevissimo spezzone di pochi minuti). Il sistema magnetico di aggancio dei componenti ideato per Jeeg fu brevettato e chiamato “Magnemo”, la società americana Mego Corporation utilizzò, su licenza, alcuni stampi di Jeeg della Takara, creando i Micronauts (Micronauti in Italia). Jeeg, stranamente, non fu mai importato in Italia, però per i suoi fan c'erano i Micronauti col corpo e il cavallo del robot d'acciaio, anche se con colori monocromatici.
E' spiegato come mai
nelle prime puntate di Mazinga Z in alcune scene si vede il robot con
dei colori sbagliati, tipo il pungo a razzo bianco invece che blu.
Questo perché in quel periodo la Toei Animation, per ridurre i costi
di produzione, trasformò i contratti degli animatori in contratti a
termine, con conseguente sciopero dei lavoratori. Quindi la Toei, per
rispettare le scadenze di mesa in onda dell'anime, affidò la
colorazione a domicilio a casalinghe e pensionati. E' ben descritta
tutta l'epopea della produzione e dell'arrivo sugli scaffali delle
varie versioni di Gundam, del successo dei suoi Pla-Model (Plastic
Model) e dei Model-Kit della Bandai.
Nel quarto capitolo (“1980-1990 il decennio del realismo e della trasformazione”), tra le innumerevoli informazioni, c'è la storia del modellini di Macross/Robotech, dei Trasformers, degli Zoid, dei Diaclone. Ma anche la spiegazione del fallimento di aziende prestigiose come la Clover o la Takatoko. Sono illustrate anche le dinamiche dei marchi di produzione, come Popy e Bandai, e della loro espansione nei mercati europei e Usa.
Sempre dettagliatissimo
il quinto capitolo (“1990-2000 il decennio della nostalgia e del
remake”), dove viene spiegato come si tornò a riproporre i vecchi
robot anni 70 e 80, anche se in versioni di qualità. Il tutto dovuto
ad una stasi creativa dei progettisti, anche dovuta alla tendenza a
non rischiare nel proporre nuovi anime robotici (e quindi nuovi
modellini), si preferiva restare sul sicuro piuttosto che innovare.
E' illustrato come il
mercato nipponico rimase in mano a tre aziende, Bandai, Tomy e
Takara. Uno dei motivi della poca inventiva dei progettisti fu anche
la scomparsa di due aziende che si erano sempre distinte per
creatività, come la Clover e la Takatoku.
Nel sesto capitolo (“I
robot giapponesi in Italia, storia di un'invasione”) si ripercorre
la storia dell'invasione robotica in Italia (fino agli anni più
recenti) ma in versione giocattolo/modellino. Quindi cosa e quando
arrivò sugli scaffali italiani e importato da chi.
L'ultimo capitolo (“Il
collezionismo del robot giocattolo e la sua valutazione”) è un
piccolo vademecum di consigli di Guglielmo Signora sul collezionismo.
Infine c'è la corposa
parte del glossario, 870 voci che partono dalla A di “AB Groupe”
(azienda francese che ha gestito il merchandising in Francia
dell'anime Dragon Ball Z) e finiscono con la Z di “Zybots” (serie
di robot trasformabili fabbricati a Macao dalla ditta americana Remco
intorno al 1985/86, la descrizione del libro continua ancora per
numerose righe).
Questa parte è
sicuramente stata aggiornata, in quanto, per esempio, rispetto alla
precedente edizione non c'è più una singola voce sui Trasformes
(per quanto lunga), ma ben 15 voci distinte (tutte dettagliate) su
ogni anime e linea di modellini ( dai Trasformes Alternatos ai
Trasformes Titanius).
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