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lunedì 3 giugno 2013

Sindrome giapponese, la catastrofe nucleare da Chernobyl a Fukushima


TITOLO: Sindrome giapponese, la catastrofe nucleare da Chernobyl a Fukushima
AUTORE: vari a cura d Alessandro Tessari
CASA EDITRICE: Mimesis
PAGINE: 136
COSTO: 12 €
ANNO: 2011
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788857506746

Nel sottotitolo sono riportate le località di Chernobyl e Fukushima, della prima non si parla quasi mai, della seconda poco.
In questo saggio ci sono 8 interventi:
uno riguarda l'Italia del 1982;
due sono brevissimi articoli giornalistici scritti da giapponesi sui disastri del 11 marzo;
uno riguarda il bombardamento atomico di Hiroshima;
tre riguardano modi di pensare/atteggiamenti/filosofie prettamente giapponesi;
solo uno è su Fukushima.

Salto la valutazione del primo intervento perché riguarda l'Italia.

Il secondo contributo (“Per un cambiamento, orgoglioso di essere giapponese”) è un brevissimo (due pagine) articolo giornalistico di Hiroki Azuma.

Il terzo intervento ( “La catastrofe annuncia un nuovo Giappone”) è un altro breve (5 pagine) articolo di Kojin Karatani, sempre sui disastri del 11 marzo.

Il quarto capitolo (“Sindrome giapponese”) di Roberto Terrosi è il primo (ed unico) intervento valido del saggio (secondo me). L'autore fa delle considerazioni riguardo l'informazione (e disinformazione) sull'incidente nucleare (e sul nucleare in generale) in Giappone. Roberto Terrosi viveva (con la compagna giapponese e la figlioletta) e lavorava nella zona di Sendai, anche se in una località vicina alla centrale di Onagawa, come docente in una università. Inizia con una breve spiegazione sulla genesi del nucleare civile in Giappone e sulla disinformazione riguardo ai pericoli delle centrali e degli incidenti avventi prima di Fukushima. Racconta che gli è capitato spesso di fare esercitazioni per i terremoti, gli consegnarono anche un mini kit di salvezza/emergenza, ma mai fece esercitazioni in caso di incidente nucleare. Questo per far capire come la popolazione giapponese è vissuta nella certezza che le centrali fossero sicure, anche perché le autorità governative e quelle dell'industria nucleare (Tepco in primis) hanno sempre minimizzato gli incidenti, se non, in certi casi, tacendoli completamente. Le centrali erano diventate così invisibili che lui abitava vicino a quella di Onagawa e neppure lo sapeva, mentre sapeva di Fukushima.
Nei primi momenti successivi allo tsunami, le autorità e i media continuavano a tranquillizzare la popolazione che il fumo proveniente dalla centrale di Onogawa e la prima esplosione di Fukushima non erano fatti pericolosi. L'autore racconta anche di quanto è rimasto sorpreso nel vedere la gente tranquillamente in giro (in cerca di cibo e beni di prima necessità) con la pioggia dopo le esplosioni di Fukushima, questo perché la pioggia contaminata non era percepita come un pericolo, e anche perché le autorità non avevano dato nessuna raccomandazione in merito. Terrosi spiega bene il perché di questa sottovalutazione, dovuta a più fattori. Il primo è la differenza tra le bombe di Hiroshima e Nagasaki e un incidente nucleare. Nel primo caso il governo ha tutto l'interesse politico di diffondere i numeri reali della strage e della contaminazione, per dimostrare l'ingiustizia subita. Nel secondo caso (l'incidente) le autorità (Tepco e governo) hanno l'interesse a minimizzare per ridurre il panico e le proteste future. Nel primo caso (bombardamento atomico) la contaminazione radioattiva è immediatamente letale, nel secondo caso è di difficile valutazione immediata. Infine i giapponesi non subirono direttamente l'incidente di Chernobyl come noi europei, che imparammo, oltre ad un certo numero di precauzioni (come quello di stare attenti alla pioggia), anche la diffidenza verso i dati delle autorità, che avevano tutto l'interesse a minimizzare l'incidente sovietico, in quanto essi stessi detentori di centrali nucleari.
L'autore racconta anche le pressioni subite per tornare in università dopo che era tornato in Italia per salvaguardare la salute della figlia. Secondo il governo solo entro 20 km da Fukushima è stata necessaria l'evacuazione,e altri 10 km (per un totale di soli 30 km) sono sotto osservazione, ma non evacuati. Quindi il preside non considerava validi i suoi timori a rientrare, come se le particelle radioattive si fermassero disciplinatamente entro i primi 20 km...
Cedere alla paura porta alla contestazione dei provvedimenti governativi, protesta che incrina la coesione sociale, ergo poche contestazioni e molta fiducia nelle autorità. Certo, ci sono state proteste, ma la retorica della collaborazione sociale ha avuto anche stavolta il suo peso, quindi la minoranza che non accetta il “ritorno alla normalità” può diventare un nemico sociale, più della Tepco che è stata la causa dell'incidente.
Il preside della sua facoltà a chiaramente detto all'autore che se non tornava ad insegnare non avrebbe più lavorato in nessuna università giapponese. Il contributo di Terrosi termina con i suoi dubbi sulla sensatezza di tornare dove abitava, sarebbe interessante sapere se poi è tornato o meno.

Il quinto intervento (“Hiroshima”) è di Florian Coulmas, ed è tratto dal saggio “Hiroshima, storia e memoria dell'olocausto atomico”, sempre edito da Mimesis. Avendo recensito quel libro non entrerò nel dettaglio del capitolo.
Mi vengono, comunque, in mente alcune considerazioni (negative) sull'opportunismo della case editrici che, pur di vendere qualche libro, riciclano brani di propri libri pubblicati solo l'anno prima.

Il sesto contributo (“Modernità, immagine e catastrofe”) è di Marcello Ghilardi e, a differenza di altri due suoi libri che ho letto (anche difficili ma comprensibili), non l'ho molto capito. E' diviso in cinque parti, l'unica che ho capito è l'ultima, che tratta della forza delle immagini di disastri in manga ed anime.

Anche il settimo capitolo (“Il senso del dovere, il sacrificio, la morte”) è di Marcello Ghilardi, ed è (di nuovo...) la riproposizione di una cosa già pubblicata... cioè il quarto capitolo del suo libro “Cuore e acciaio” (pag 75-96) del 2003. Bel capitolo di un bel libro (chi non l'ha mai letto lo apprezzerà di certo), ma non mi pare che abbia tanto nesso con Fukushima.

L'ottavo ed ultimo contributo (“La categoria di artificiale. Il giapponese e l'esperienza nucleare”) di Francesco Paparella inizia con questo scritto (riguardo alla difficoltà di trattare il tema delle centrali nucleari giapponesi):
... se non partendo da una particolare prospettiva ermeneutica, la cui efficacia euristica risiede in una pre-comprensione della materia da studiare.”.
Per la serie “scriviamo come mangiamo”... e tutto il capitolo è scritto più o meno così.
Per spiegare “l'artificiale giapponese in funzione del nucleare giapponese”(?!?!) sono analizzate anche le trame di Galaxy Express 999, Full Metal Alchemist e Kyashan. Questa è l'unica parte che più o meno ho capito, anche se il nesso con Fukushima e la scelta nucleare giapponese mi sfugge.


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