TITOLO: Sindrome giapponese, la catastrofe nucleare da Chernobyl a Fukushima
AUTORE: vari a cura d Alessandro Tessari
CASA EDITRICE: Mimesis
PAGINE: 136
COSTO: 12 €
ANNO: 2011
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788857506746
Nel sottotitolo sono riportate le località di Chernobyl
e Fukushima, della prima non si parla quasi mai, della seconda poco.
In questo saggio ci sono 8 interventi:
uno riguarda l'Italia del 1982;
due sono brevissimi articoli giornalistici scritti da
giapponesi sui disastri del 11 marzo;
uno riguarda il bombardamento atomico di Hiroshima;
tre riguardano modi di pensare/atteggiamenti/filosofie
prettamente giapponesi;
solo uno è su Fukushima.
Salto la valutazione del primo intervento perché
riguarda l'Italia.
Il secondo contributo (“Per un cambiamento, orgoglioso
di essere giapponese”) è un brevissimo (due pagine) articolo
giornalistico di Hiroki Azuma.
Il terzo intervento ( “La catastrofe annuncia un nuovo
Giappone”) è un altro breve (5 pagine) articolo di Kojin Karatani,
sempre sui disastri del 11 marzo.
Il quarto capitolo (“Sindrome giapponese”) di
Roberto Terrosi è il primo (ed unico) intervento valido del saggio
(secondo me). L'autore fa delle considerazioni riguardo
l'informazione (e disinformazione) sull'incidente nucleare (e sul
nucleare in generale) in Giappone. Roberto Terrosi viveva (con la
compagna giapponese e la figlioletta) e lavorava nella zona di
Sendai, anche se in una località vicina alla centrale di Onagawa,
come docente in una università. Inizia con una breve spiegazione
sulla genesi del nucleare civile in Giappone e sulla disinformazione
riguardo ai pericoli delle centrali e degli incidenti avventi prima
di Fukushima. Racconta che gli è capitato spesso di fare
esercitazioni per i terremoti, gli consegnarono anche un mini kit di
salvezza/emergenza, ma mai fece esercitazioni in caso di incidente
nucleare. Questo per far capire come la popolazione giapponese è
vissuta nella certezza che le centrali fossero sicure, anche perché
le autorità governative e quelle dell'industria nucleare (Tepco in
primis) hanno sempre minimizzato gli incidenti, se non, in certi
casi, tacendoli completamente. Le centrali erano diventate così
invisibili che lui abitava vicino a quella di Onagawa e neppure lo
sapeva, mentre sapeva di Fukushima.
Nei primi momenti successivi allo tsunami, le autorità
e i media continuavano a tranquillizzare la popolazione che il fumo
proveniente dalla centrale di Onogawa e la prima esplosione di
Fukushima non erano fatti pericolosi. L'autore racconta anche di
quanto è rimasto sorpreso nel vedere la gente tranquillamente in
giro (in cerca di cibo e beni di prima necessità) con la pioggia
dopo le esplosioni di Fukushima, questo perché la pioggia
contaminata non era percepita come un pericolo, e anche perché le
autorità non avevano dato nessuna raccomandazione in merito. Terrosi
spiega bene il perché di questa sottovalutazione, dovuta a più
fattori. Il primo è la differenza tra le bombe di Hiroshima e
Nagasaki e un incidente nucleare. Nel primo caso il governo ha tutto
l'interesse politico di diffondere i numeri reali della strage e
della contaminazione, per dimostrare l'ingiustizia subita. Nel
secondo caso (l'incidente) le autorità (Tepco e governo) hanno
l'interesse a minimizzare per ridurre il panico e le proteste future.
Nel primo caso (bombardamento atomico) la contaminazione radioattiva
è immediatamente letale, nel secondo caso è di difficile
valutazione immediata. Infine i giapponesi non subirono direttamente
l'incidente di Chernobyl come noi europei, che imparammo, oltre ad un
certo numero di precauzioni (come quello di stare attenti alla
pioggia), anche la diffidenza verso i dati delle autorità, che
avevano tutto l'interesse a minimizzare l'incidente sovietico, in
quanto essi stessi detentori di centrali nucleari.
L'autore racconta anche le pressioni subite per tornare
in università dopo che era tornato in Italia per salvaguardare la
salute della figlia. Secondo il governo solo entro 20 km da Fukushima
è stata necessaria l'evacuazione,e altri 10 km (per un totale di
soli 30 km) sono sotto osservazione, ma non evacuati. Quindi il
preside non considerava validi i suoi timori a rientrare, come se le
particelle radioattive si fermassero disciplinatamente entro i primi
20 km...
Cedere alla paura porta alla contestazione dei
provvedimenti governativi, protesta che incrina la coesione sociale,
ergo poche contestazioni e molta fiducia nelle autorità. Certo, ci
sono state proteste, ma la retorica della collaborazione sociale ha
avuto anche stavolta il suo peso, quindi la minoranza che non accetta
il “ritorno alla normalità” può diventare un nemico sociale,
più della Tepco che è stata la causa dell'incidente.
Il preside della sua facoltà a chiaramente detto
all'autore che se non tornava ad insegnare non avrebbe più lavorato
in nessuna università giapponese. Il contributo di Terrosi termina
con i suoi dubbi sulla sensatezza di tornare dove abitava, sarebbe
interessante sapere se poi è tornato o meno.
Il quinto intervento (“Hiroshima”) è di Florian
Coulmas, ed è tratto dal saggio “Hiroshima, storia e memoria
dell'olocausto atomico”, sempre edito da Mimesis. Avendo recensito
quel libro non entrerò nel dettaglio del capitolo.
Mi vengono, comunque, in mente alcune considerazioni
(negative) sull'opportunismo della case editrici che, pur di vendere
qualche libro, riciclano brani di propri libri pubblicati solo l'anno
prima.
Il sesto contributo (“Modernità, immagine e
catastrofe”) è di Marcello Ghilardi e, a differenza di altri due
suoi libri che ho letto (anche difficili ma comprensibili), non l'ho
molto capito. E' diviso in cinque parti, l'unica che ho capito è
l'ultima, che tratta della forza delle immagini di disastri in manga
ed anime.
Anche il settimo capitolo (“Il senso del dovere, il
sacrificio, la morte”) è di Marcello Ghilardi, ed è (di nuovo...)
la riproposizione di una cosa già pubblicata... cioè il quarto
capitolo del suo libro “Cuore e acciaio” (pag 75-96) del 2003.
Bel capitolo di un bel libro (chi non l'ha mai letto lo apprezzerà
di certo), ma non mi pare che abbia tanto nesso con Fukushima.
L'ottavo ed ultimo contributo (“La categoria di
artificiale. Il giapponese e l'esperienza nucleare”) di Francesco
Paparella inizia con questo scritto (riguardo alla difficoltà di
trattare il tema delle centrali nucleari giapponesi):
“... se non partendo da una particolare prospettiva
ermeneutica, la cui efficacia euristica risiede in una
pre-comprensione della materia da studiare.”.
Per la serie “scriviamo come mangiamo”... e tutto il
capitolo è scritto più o meno così.
Per spiegare “l'artificiale giapponese in funzione del
nucleare giapponese”(?!?!) sono analizzate anche le trame di Galaxy
Express 999, Full Metal Alchemist e Kyashan. Questa è l'unica parte
che più o meno ho capito, anche se il nesso con Fukushima e la
scelta nucleare giapponese mi sfugge.
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