TITOLO: Ecco il Giappone
AUTORE: Cesco Tomaselli
CASA EDITRICE: Mondadori
PAGINE: 258
COSTO: 25 € circa
ANNO: 1934
FORMATO:25 cm X 18 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN:
Anche
questo libro l'ho reperito al Salone del libro usato di Milano,
quindi il prezzo di 25 euro è indicativo. Prezzo che, comunque, io
trovo più che accettabile per i contenuti particolari del libro, che
non sono solo storici, c'è anche una parte sociologica/di costume,
ma il grosso del libro è di carattere storico. O meglio, è di
carattere storico oggi, quando fu scritto, nel 1934, penso volesse
essere di attualità politica.
Nella
mia recensione avrei forse dovuto usare il passato nel riportare i
fatti narrati, ma ho preferito usare il presente, il presente del
1934.
Concludo
esprimendo la speranza che qualche editore legga questa mia
recensione e ripubblichi questo libro, magari con delle note storiche
che inquadrino meglio il periodo e i fatti citati, che per fortuna io
conosco.
Il
libro è diviso in cinque parti e 31 capitoli, per ognuno di essi
riporterò un più o meno breve riassunto del contenuto. Inoltre
contiene numerosissime foto che scannerizzerò.
PARTE
PRIMA: L'arcipelago delle sorprese
1 Un
incontro, fra due continenti
L'autore
parla con l'ambasciatore cinese a Mosca (W.W. Yen) durante il viaggio
di andata verso il Giappone, sulla nave “Conte Rosso”. Yen E
Cesco Tomaselli intavolano un dialogo su vari argomenti, tra cui la
situazione cino-giapponese in Manciuria. L'autore fa presente
all'ambasciatore che il Giappone afferma di essere in Manciuria nello
stesso interesse della Cina, per liberarli dagli stranieri
occidentali e dai signori della guerra. L'ambasciatore obbietta che
Il Giappone, dietro il motto “l'Asia agli asiatici”, in Cina si
comporta come gli occidentali, portandosi via la Manciuria. Riguardo
al non intervento della Società delle Nazioni dopo l'invasione
nipponica Yen afferma:
“...
abbiamo tanto sperato nelle Società delle Nazioni... Lei è
assalito, di notte, dai banditi. La prima cosa che fa è di guardarsi
intorno, per vedere se c'è qualcuno che possa venirle in soccorso.
Ma se non c'è nessuno, se la strada è deserta, se gli aggressori
hanno le pistole puntate, non le rimane che un partito: scendere a
patti coi banditi.”.
Alla
fine di questo primo capitolo introduttivo l'autore spiega il senso
di questo suo viaggio di scoperta del Giappone: il pericolo imminente
di una guerra sino-sovietica e comprendere una guerra che si stava
già combattendo, l'offensiva commerciale giapponese con la quale
aveva invaso l'Europa di merci a costi bassissimi (biciclette a 50
lire e orologi a 6 lire al chilo), facendo fallire le aziende locali.
Ovviamente
l'autore si prefigge anche di studiare la cultura giapponese e la sua
società.
2
Luminaria sul Mare Interno
In
questo inizio di secondo capitolo Tomaselli afferma che le Filippine
saranno uno dei prossimi passi dell'espansionismo nipponico, seguito
dai porti cinese e, infine, dall'Australia.
Riporto
un passo del libro per rendere chiaramente il punto di vista politico
dell'autore, che sta guardando il “giornale sonoro”
(cinegiornale) a bordo della nave “Chichibu Maru”, che lo sta
portando in Giappone:
“D'un
tratto sorsi in piedi. Marcia Reale e Giovinezza. Un istante dopo
vedevo Roma, via dell'Impero, piazza Venezia stipata di Camicie Nere,
e infine il Duce”.
Mi
rimane il dubbio se nel 1934, per farsi pubblicare un libro dalla
Mondadori, si dovesse per forza scrivere queste sviolinate senza
nessun nesso col tema del libro, oppure se l'autore ci credesse
veramente.
Sulla
“Chichibu Maru” c'è una festa, e un giovane giapponese spiega a
Tomaselli che è il giorno di “Kigen-Setsu”, il 2594°
anniversario della fondazione dell'Impero dal primo imperatore Jimmu
Tenno. Infine il giovane giapponese gli spiega la forma divina
dell'Imperatore e che anche i soldati caduti in battaglia o “che si
sono soppressi” per non sopravvivere alla sconfitta diventano
deità. Da notare che l'autore non usa la parola suicidio, ma il più
sfumato “che si sono soppressi”.
3
Stracittà giapponese
Sono
spiegati vari aspetti in cui si imbatte Tomaselli appena sbarcato in
Giappone:
La
struttura di una città giapponese;
come
la lingua giapponese sia poco discorsiva;
che
le ragazzine che vanno a scuola, le impiegate e le commesse vestono
all'occidentale perché il kimono sarebbe troppo sporchevole ed
ingombrante;
che
queste giovani moderne sono chiamate “Mogà”, “Modern Girl”,
e i ragazzi “Mobò”, “Modern Boy”;
che
in Giappone, come in nessun altro paese, c'è l'impiego di mano
d'opera infantile.
Un
giapponese spiega a Tomaselli il motivo di questo uso così largo dei
bambini, specialmente bambine, nel mondo del lavoro. Le bambine
aiutano la famiglia e iniziano a mettersi via la dote, in quanto la
donna giapponese “è disponibile” (cioè “può lavorare”)
fino a 20/22 anni, poi si sposa, quindi è anticipato di molto
l'inizio dell'età del lavoro.
E'
spiegato il minor costo della vita giapponese rispetto all'Italia, e
sono elencate le cose che si possono comprare con soli 10 sen (10
centesimi di yen), corrispondenti a 35 centesimi di lire.
Tomaselli
passa da Kobe ad Osaka, magnificando i treni e il servizio
giapponese.
E'
riportato che in Giappone se una coppia si baciasse in pubblico
creerebbe scandalo, dove, viceversa, “si può noleggiare una donna
come un pianoforte”.
4 La
capitale risorta dall'incendio
Sono
riportati i fatti tragici degli incendi a Tokyo e Yokohama dovuti al
terremoto del 1923 e la ricostruzione che ne seguì, spesso eseguita
con stili architettonici privi di armonia. Da quei fatti tragici si
iniziò una prevenzione incendi più attenta: pattuglie notturne che
vigilano, segnali illuminati per le uscite di emergenza nei grandi
edifici, la “life lime” negli alberghi. Cioè una fune che in
caso di incendio si doveva seguire per non perdersi nel fumo.
Non
sono menzionate le uccisioni di massa di coreani da parte della
popolazione delle città colpite dal sisma, a cui si diede colpa di
inesistenti saccheggi dopo il terremoto.
Un
giornalista di Tokyo (affiliato ad una setta reazionaria) spiega
all'autore come gli USA cercano di indebolire il fiero, ma ingenuo,
popolo giapponese con le 3 “esse”: “Sport, nel senso mercantile
della parola; screen, lo schermo, il cinematografo corruttore; sex,
cioè l'avvento della lussuria con tutti i suoi corollari che si
chiamano divorzio, libero amore, malthusianesimo (controllo delle
nascite)”.
Si
parla del quartiere a luci rosse di Yoshiwara a Tokyo, e anche di un
altro quartiere meno pubblicizzato, quello di Kameido. Di
quest'ultimo i giapponesi si vergognano, ma che non abbattono, lì la
“tariffa” è di uno yen e mezzo (5 lire) ad “incontro”, e “ce
ne sono più di mille, e tutte di primo canto”. Che nel 1934 penso
volesse significare “molto giovane”.
5
Otto lanterne intorno ad un kimono
Durante
una cena ad 8 con altri europei (donne e uomini), che vivono in
Giappone da svariati anni, sono affrontati alcuni argomenti
riguardanti la società giapponese: la famiglia, la sottomissione
della donna all'uomo, l'impossibilità di capre il Giappone anche
dopo 10 anni di permanenza nel paese.
PARTE
SECONDA: Un popolo malcontento
6
L'orizzonte di un ministro
In
questo capitolo si cerca di capire quali sono le mire
espansionistiche del Giappone. Cercando di valutare quali saranno gli
scenari e quindi gli avversari, URSS, USA, Inghilterra?
Sono
riportati gli avvenimenti che portarono all'uscita del Giappone dalla
Società delle Nazioni nel 1933, dopo l'invasione della Manciuria e
la condanna unanime internazionale.
La
decisione giapponese è valutata analizzando la persona e l'operato
del nuovo ministro degli esteri nipponico, Koki Hirota, che Tomaselli
intervista, toccando i seguenti argomenti: Filippine, Cina, USA,
URSS, Società delle Nazioni, Italia, Inghilterra, trattato navale.
Sull'uscita
dalla Società delle Nazioni Hirota dice:
“Il
Giappone si è chiaramente espresso su questo argomento attraverso il
rescritto che Sua Maestà Imperiale diresse alla nazione dopo il
ritiro della delegazione nipponica da Ginevra”.
Ma
come? Il pacifista e sempre all'oscuro di tutto Hirohito si espresse
così chiaramente contro la Società delle Nazioni? E poi lo hanno
pure graziato...
7 Il
Veggente dal dito mozzo
Viene
intervistata l'eminenza grigia del Giappone, l'ultra 80enne Mitsuri
Toyama, privo di qualsivoglia carica, ma ispiratore del nazionalismo
nipponico. Oltre che padrino politico, per esempio, del ministro
degli esteri Koki Hirota. E' riportato l'aneddoto giovanile di Toyama
riguardo al “dito mozzo” del titolo. Riguardo al viso di Toyama
l'autore nota che il suo fisico è differente da quello della “razza”
nipponica, questo perché lui è un samurai, quindi “egli
rappresenta una selezione di razza”...
Tomaselli
intervista il veggente/profeta/maestro (come lui lo incensa)
ponendogli domande sulla situazione di politica estera: quale sia la
forza del Giappone (la nazionalità è la risposta), la missione del
Giappone nel mondo(!), infine, manco a dirlo, anche il vecchio
reazionario nazionalista e militarista ammira il “nostro”
Mussolini.
8 I
“comunisti del Mikado”
E'
spiegato in cosa consiste il malcontento che serpeggia in Giappone.
Malumori, in special modo, dei militari verso i politici e i
capitalisti. Il titolo del capitolo è riferito a quella corrente
politica/militare che avrebbe voluto eliminare il capitalismo dando
tutti i beni all'imperatore, che li avrebbe redistribuiti con equità.
L'autore intervista vari esponenti della destra nazionalistica, tra
cui Ryhoei Uchida, esponente di spicco della disciolta organizzazione
reazionaria “Drago Nero”.
Per
fermare “l'infezione comunista” furono emanate delle leggi
speciali che permisero l'arresto in massa dei bolscevichi giapponesi.
Il
capitolo si conclude con questa frase:
“Non
si può negare che c'è del malcontento in Giappone”.
9 Due
fascisti: Araki e Matsukuoka
Sono
intervistati Sadao Araki, ex ministro della guerra (dimessosi da poco
per motivi di salute) fautore di un attacco preventivo all'URSS fin
dal 1932, e Yosuke Matsukuoka, che difese l'invasione della Manciura
davanti alla Società delle Nazioni e dichiarò l'uscita del Giappone
dall'organizzazione ginevrina.
Le
due interviste, come le tante altre del libro, danno una buona idea
di quanto l'ideologia nazionalistica/militarista fosse condivisa in
tutti i livelli di comando.
10 I
panasiatici del “Drago Nero”
Tomaselli
ha trovato così interessante il personaggio del “Drago Nero”
intervistato brevemente nel capitolo 8 che decide di riservargli più
spazio. Questo capitolo è una piccola agiografia di Ryohei Uchida,
fondatore del disciolto “Drago Nero”, di cui Mitsuru Toyama
(capitolo 7) fu il presidente onorario. L'autore spiega che,
nonostante lo scioglimento, l'organizzazione del “Drago Nero”
influenza molto la politica, i militari e la società giapponese. In
pratica Uchida è favorevole ad un panasiatismo in salsa nipponica,
cioè il Giappone comanda perché è il popolo eletto (etc etc), e
gli altri popoli obbediscono, altrimenti muoiono, che è quello
successo in seguito...
11 Il
mito dell'Imperatore semidio
L'autore
presenzia, unico straniero, ad una cerimonia in cui 30 mila insegnati
delle elementari faranno atto di devozione pubblica verso
l'imperatore (Hirohito, il pacifista Hirohito...), allo scopo di
fugare i dubbi sulla lealtà dei maestri di scuola (tacciati di
essere di simpatie comuniste, letto in un altro libro, se non
sbaglio).
Questa
occasione permette a Tomaselli di investigare meglio sulla figura
divina dell'imperatore e della persona Hirohito.
12
L'idolo dietro il paravento
Un
capitolo dedicato alla shinto e ai suoi santuari. L'autore cerca di
rispondere alla domanda se i giapponesi sono religiosi. In questo
contesto è correttamente riportato che lo shinto era religione di
stato da pochi anni, e che nei secoli passati gli imperatori
giapponesi furono anche poveri ed ignorati dal popolo. Inoltre che è
un falso storico la continuità dinastica ininterrotta
dall'imperatore Jimmu in poi. E' spiegato che i caduti in battaglia
diventano degli dei e che le nuove generazioni, corrotte dal
materialismo occidentale, non seguono più le credenze shintoiste.
Quella delle “nuove generazioni” noto che è un problema che si
presenta in Giappone dal 1900, dalla Restaurazione Meiji. La cosa
divertente è che la generazioni giovane che era considerata
“corrotta dal materialismo occidentale” sarà poi quella che
rinfaccerà alla successiva generazione giovane di essere “corrotta
dal materialismo occidentale”... ed è un fatto che ritrovo
regolarmente in tutti i saggi sociologici e storici sul Giappone fino
ai tempi nostri.
Riporto
la frase finale con cui Tomaselli chiude il capitolo:
“Può
essere utile tener presente che in Giappone, almeno sino ad oggi, i
vecchi comandano e i giovani sono zero”.
PARTE
TERZA: Inchiesta sul “pugno di riso”
13
All'insegna del buon mercato
L'autore
riporta un episodio vissuto in prima persona in Svizzera, quando un
orologiaio elvetico si lamentò della concorrenza nipponica nel campo
degli orologi. I giapponesi vendevano gli orologi agli svizzeri,
avvantaggiandosi di prezzi bassissimi che stroncavano le aziende
locali. Da questo aneddoto Tomaselli spiega la miracolosa evoluzione
industriale giapponese che in meno di 80 anni ha creato un'industria
capace di produrre merci competitive con quelle occidentali. Prima
compravano, hanno imparato, poi copiato ed infine prodotto a costo
minimi.
L'autore
stila un elenco molto lungo di prodotti italiani messi in crisi dai
corrispettivi nipponici, che costano dal 30 al 60% in meno.
14
Vendere per vivere
Tomaselli
visita un “departiment store” di Tokyo, un grande magazzino che
occupa 1500 commesse e 1000 commessi. In tutta Tokyo erano almeno 7,
anche più grandi di questo, per un totale di più di 20000
dipendenti.
Questi
grandi magazzini vendono dalla scatola di fiammiferi da un centesimo
di yen all'anello di smeraldo da 15 mila yen. Il direttore del grande
magazzino spiega la loro strategia commerciale: In Europa e Usa la
donna è emancipata, ed esce di casa da solo per far compere. In
Giappone no. Allora per attirare la donna (“animale compratore per
eccellenza”) il magazzino è organizzato per far si che possa
passarci tutta la giornata, ristorante, parrucchiere, teatro,
cinematografo, luoghi dove lasciare i figli.
Si
continua spiegando le dinamiche commerciali in Giappone.
L'inondazione di merci a basso prezzo e di scarsa o nulla qualità
sono le uniche che il consumatore giapponese si può permettere.
Riporto
la parte finale del capitolo perché esprime un concetto che spesso
lo si sente fare riguardo i cinesi del 2000:
“I
giapponesi sono dei poveri che vogliono diventare ricchi. Essi sono
nella fase che le più giovani tra le nazioni europee hanno già
superato: la fase in cui l'uomo che vuole a tutti i costi arrivare va
a letto alle 10 per alzarsi alle 5, indossa biancheria rattoppata,
mangia una volta al giorno e fuma sigarette popolari. I giapponesi
sono in piedi alle sei, si alimentano di sostanze che nutrono senza
ingrassare, lavorano dieci ore al giorno e fanno vacanza, in media,
due volte al mese. Essi non si considerano degli “arrivati”. In
ciò consiste la loro forza, e il nostro pericolo”.
Leggendo
queste righe di Tomaselli pare quasi che gli italiani del 1934
fossero tutti nababbi, che vestissero alla moda, si ingozzassero come
maiali e facessero il part-time...
15 La
famiglia, cellula economicamente
Tomaselli
esplora quello che valuta il pilone su cui poggia la società
giapponese, la famiglia. Il Giappone non è una pluralità di
cittadini, ma un collegio di famiglie, le cui caratteristiche
particolari (che vengono brevemente analizzate) sono: il culto degli
antenati, la gerarchia dell'anzianità, la pietà filiale, la
sottomissione della donna, il principio genealogico della
continuazione (l'adozione).
Il
“sistema famiglia giapponese” si ripercuote e replica
nell'economia reale, si fanno gli esempi delle 2 gigantesche società
famigliari Mitsui e Mitsubishi e dei loro sterminati interessi, anche
militari.
E'
approfondito un altro aspetto dell'economia famigliare, l'artigiano e
la piccola azienda di famiglia. Visita delle officine dove si
costruiscono bici, o parti di esse, infatti ogni piccola azienda si
specializza in n singolo pezzo della bici,e questo modo di produrre
vale per tutte le merci prodotte in queste micro aziende.
16
Retroscena della “capacità di competizione”
Tomaselli
pensa di aver capito il motivo dei prezzo così bassi delle merci
giapponesi, non la svalutazione dello yen, ma il “dumping sociale”,
cioè salari bassi e non gravati da politiche sociali statali e
contratti di lavoro, più il “depresso tono di vita”. L'autore ha
sentito spesso in Giappone il neologismo “capacità di
competizione”, e lo spiega al lettore italiano del 1934.
Semplificando
molto i prodotti giapponesi sono competitivi per il basso costo della
mano d'opera, che può essere tale perché il popolo giapponese è
mantenuto povero dalla stessa società. Dignitoso, pulito, laborioso,
ma povero. L'autore riporta numerosi esempi di condizioni lavorative
e di salari di operaie e operai in vari campi del tessile. I salari
sono bassi, ma i cinema e i locali sono pieni. Non potendo
permettersi altri lussi la popolazione si accontenta di svagarsi con
ciò che si può permettere. Niente riscaldamento in casa (a parte il
braciere), ma la radio si. Una scodella di riso senza condimento, ma
il cinematografo.
Anche
stavolta riporto le ultime righe del capitolo perché sono concetti
che risentiamo ancora oggi:
“Gli
industriali nipponici esigono tutta per se la “capacità di
competizione”. Non vogliono riconoscere che i nostri costi di
produzione sono gravati dalle spese di previdenza e di assistenza
sociale, della minor durata della giornata lavorativa, del più
elevato tono di vita delle masse, in una parola sono caricati di una
sopratassa di civiltà”.
17 Il
declino della seta
E' il
capitolo riservato all'industria serica, dove è prodotta la seta, da
chi, come, in quali aziende, i flussi di operaie stagionali, i costi,
le tradizioni legate al baco da seta, le scuole professionali e i
corsi di laurea. Infine la crisi della seta che spinge un altro
prodotto, il cotone, a cui è riservata l'altra metà del capitolo.
18 La
campagna contro la città
Tomaselli
cerca di capire se è vero che il popolo giapponese si nutre con un
pungo di riso. Analizza la povertà degli agricoltori e la massiccia
emigrazione verso le grandi città. Sono approfonditi numerosi
aspetti di una economia nazionale basata sul riso.
PARTE
QUARTA: Tradizione e modernismo
19
Tempi duri per la suocera
Capitolo
sulla donna, che l'autore ammette essere vittima di varie ingiustizie
sociali, ma che le conferiscono nuovi pregi: abnegazione,capacità di
sacrificarsi, umiltà, sottomissione ma non passiva.
La
donna giapponese, per esempio, è conscia del tradimento (anche
plurimo) del marito, ma lo accetta senza fare scenate, anche perché
sa che non potrebbe comunque opporvisi, in quanto la legge non glielo
permette. Accetta anche che sia di dominio pubblico, non per essere
compatita, ma encomiata: “Che donna di carattere!”, diranno le
persone vedendola passare.
E'
toccato anche l'argomento del comportamento dispotico delle suocere
verso le nuore e del matrimonio combinato.
20 Da
Madame Butterfly a Miss Japan
Ancora
un capitolo sulla donna, incentrato sui lavori che svolge, sia nelle
campagne che in città, ma che in entrambi i contesti sono mal
retribuiti e per nulla valorizzati.
In
campagna la ragazza ha due possibilità: o lavora fin da bambina nei
campi e in casa oppure può essere venduta ad un intermediario
cittadino per 200/300 yen. In modo che la famiglia possa avere un
gruzzolo immediato, magari per far studiare il primogenito maschio. I
lavori che la bambina/ragazzina venduta dovrà svolgere potranno
essere o l'operaia semi schiava oppure la prostituta. Alla fine di
questo periodo di “affitto” la ex bambina/ragazza potrà tornare
al villaggio per celebrare il matrimonio combinato organizzato dalla
famiglia.
In
città va meglio, si può fare le commesse, le cameriere, oppure
sposare un impiegato, ma le case di prostituzione sono anche lì
dietro l'angolo.
Tomaselli
intervista la presidentessa dell'Unione Suffragista, Fusae Ichikawa,
a proposito dei diritti negati e della disparità di trattamento nei
confronti del marito (divorzio, adozione, eredità, prostituzione).
21
“Non perdere la faccia”
In
quali modi un giapponese “perde la faccia”?
Il
capitolo elenca ed analizza numerose casistiche. In Giappone non
esistono i mendicanti, ma gli “hiroya”, i “raccoglitori”, a
cui non si può offrire cibo, “perderebbero la faccia”. Si lascia
che siano loro a cercarlo tra quello buttato.
Cader
prigioniero in guerra e un altro motivo di vergogna, che obbliga al
suicidio prima di essere catturati.
Un
missionario salesiano racconta che se un giapponese tralascia 2 volte
di venire a messa non lo si vedrà più. Non perché abbia perso la
fede, ma la faccia verso il prete, per non aver mantenuto l'impegno
di andare a messa.
Poi
ci si addentra sulla “doppiezza” di un giapponese, vista dal
punto di vista occidentale. Una mancanza di sincerità che è,
invece, una precauzione contro le prepotenze dei potenti.
Accondiscendere senza esserne convinti, non contraddire, dire si e
pensare no è stato per secoli l'unico modo che il popolo aveva per
sopravvivere. Precauzione che ha influenzato anche la lingua.
22 Il
fascino della spada
Un
capitolo dedicato alle spade giapponesi, realizzazione, uso, storia.
Tomaselli
visita un museo della spada all'interno del “pantheon dei caduti
sulla collina di Kudan a Tokyo”, che viene chiamato “Sciokonscia”,
mentre dovrebbe essere il sacrario di Yasukuni.
E'
spiegato come si fa seppuku, e in questo contesto l'autore si reca
con un accompagnatore a Takanawa, dove c'è la tomba dei 47 ronin,
segue racconto della storia.
Il
suo accompagnatore, riguardo al suicidio per onore, gli racconta che
per la prossima guerra (ricordo che siamo nel 1934) dovrebbe
funzionare un corpo di volontari che con vecchi aerei si scaglieranno
contro i bombardieri nemici.
23
Serata coi maestri di juido
Tomaselli
visita una palestra di judo, scritto “juido”, e funge anche da
vittima in un incontro. Riporta qui le sue impressioni su questa
strabiliante arte marziale/sport.
24 Il
romanzo del vecchio vulcano
In
questo capitolo si reca in gita di un week end sull'isola di Oshima,
famosa anche per il vulcano attivo dentro cui si sono gettate circa
100 persone in un solo anno. Racconta di questo sui piccolo viaggio e
dei suicidi per amore, delle coppie e degli studenti che vengono
bocciate agli esami(!).
Avvicinandosi
alla bocca del vulcano compaiono numerosi cartelli per dissuadere gli
aspiranti suicidi, “torna indietro, il suicidio è una follia”,
recita uno di questi.
PARTE
QUINTA: Manciuria, tenuta del Mikado
25
Hsinking, la capitale morganatica
Come
ultima tappa del suo pellegrinare giornalistico si reca a Mukden e a
Hsinking, capitale della Manciuria giapponese. E' spiegato il finto
attentato che diede l'alibi al Giappone di invadere la Manciuria, lo
stesso Tomaselli scrive che fu tutta una finta, ma non la condanna,
la giustifica implicitamente come un fatto inevitabile. A Hsimking
intervista il ministro degli esteri dello stato fantoccio del
Manciukuò, Hsieh Cieh-Shim (i cui vice ministri sono tutti
giapponesi...). Stato del Manciukuò riconosciuto solo dal Vaticano e
dal Salvador, oltre al Giappone, ovviamente.
26 La
“regola del benevolo Moderatore”
In
questo capitolo Tomaselli, sempre in Manciuria, intervista il primo
ministro Ceng Hsiao-Hsu. Questi spiega all'autore che la politica del
Manciukuò si ispira alla dottrina Wangtao, “Missione del re” o
“regola del benevolo moderatore”, derivata dai precetti di
Confucio e Mencio. L'autore pone domande scomode all'interlocutore,
sul reale comando nipponico e sulle rivolte anti giapponesi dei
contadini cinesi. Tomaselli svela al lettore italiano “l'imbroglio”
del Manciukuò, senza mezzi termini, anche se bisogna ricordare che
nel 1934 Italia e Giappone non erano ancora alleati.
27
L'Imperatore dalle tre Corone
E'
ripercorsa la stria dell'imperatore del Manciukuò, sua maestà
Kangte, alias Hnery Pu Yi, alias Hsuan Tung.
28 La
carriera di bandito
Si
reca anche ad Harbin (dove i giapponesi avevano una Unite 731, letto
in un altro libro), sempre in Manciuria, alla ricerca dei “kingusi”,
i banditi che infestano il territorio col brigantaggio. Si tocca
anche l'argomento dei coloni nipponici in Manciuria, che arrivarono
in misura minore del previsto, proprio per la durezza del clima e
della pericolosità della zona., considerata meno desiderabile
rispetto alla Corea e a Formosa.
29 La
commedia della “porta aperta”
Il
governo cinese della Manciuria chiede alle nazioni di investire nel
proprio paese, ma chi comanda, cioè i giapponesi, non vogliono
concorrenza. Inoltre i giapponesi considerano fastidioso pure il
governo fantoccio di Pu Yi, perché vorrebbero amministrare tutto
senza intermediari. Sono spiegate le vicende riguardanti le due
compagnie ferroviarie della Manciuria, la South Manchuria Railway, di
proprietà giapponese, e la Chinese Eastern Railway, di proprietà
sovietica. Con tutti gli intrighi e gli interessi che queste due
compagnie muovono.
30 La
guerra che scoppierà d'autunno...
Il
capitolo analizza quello che ai tempi pareva essere il conflitto
prossimo venturo più probabile, tra i sovietici e i giapponesi al
confine tra la Manciuria (ormai territorio giapponese) e l'URSS.
Conflitto che poi non avvenne mai, se non negli ultimi giorni della
seconda guerra mondiale prima della resa nipponica.
31 Il
sogno del “Dai Nippon”
Nell'ultimo
capitolo si cerca di capire la strategia di lungo periodo del “Grande
Giappone” (“Dai Nippon”) in Asia. A tal proposito sono
riportate le teorie panasiatiche del principe Fuminaro Konoye, del
generale Jwane Matsui, del professor Takeyo Nakatani, che in breve
possono essere riassunte nell'idea di un Asia unita contro i bianchi
occidentali ma sotto la guida del Tenno nipponico.
Di
nuovo molti personaggi influenti concordano su una prossima guerra
contro l'URSS, sia per il controllo della Manciuria, che per
stroncare il comunismo. Inoltre è caldeggiata una futura alleanza
con la Germani nazista in funzione anti sovietica, Germania nazista
che ha in Hitler un estimatore convinto del Giappone.
Riguardo
al ritmo dell'espansione giapponese in Cina Tomaselli scrive:
“Se
i tempi della espansione nipponica dovessero conservare questo ritmo,
alla metà del secolo tutta l'Asia orientale sarà diventata
Protettorato dell'Imperatore di Tokyo”.
Finita la recensione inserisco le immagini presenti nel libro, un tuffo nel passato di un Giappone che non c'è più, in alcuni casi fortunatamente. Le didascalie penso rendano superfluo un mio commento.
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