TITOLO: Memoria e rimozione, i crimini di guerra del Giappone e dell'Italia
AUTORE: vari
CASA EDITRICE: Viella
PAGINE: 217
COSTO: 24 €
ANNO: 2010
FORMATO: 21 cm X 15
cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788883344121
Il
presente saggio affronta anche i crimini di guerra italiani, io
riporterò solo la parte riguardante il Giappone, ed è formato da
nove diversi contributi di sette studiosi giapponesi e di due
italiani.
L'introduzione
al libro inizia con questa frase: “Quanti anni sono necessari a una
società, a un paese, per capire e fermarsi a riflettere sugli
aspetti più laceranti del passato?”... “Poiché ci sono due modi
di negare la verità dei fatti: nascondendola oppure inventando una
verità alternativa”.
In
Giappone coloro i quali si sono spesi ed esposti per difendere le
vittime della guerra, ed alcuni sono fra gli autori di questo saggio,
hanno trovato ostacoli ed una totale chiusura da parte delle autorità
nipponiche. La pubblica opinione è poco informata sui crimini di
guerra nipponici, specialmente perché i libri di scuola non trattano
mai l'argomento. Quindi nessuna delle nuove generazioni che si sono
susseguite in questi decenni ha potuto sapere cosa fece il Giappone
imperiale prima e durante la guerra.
Il
primo punto di osservazione tra Italia e Giappone riguarda la
tipologia dell'espansionismo coloniale, il Giappone si considerava il
“fratello maggiore” dei vicini asiatici, e pretendeva che questi
accettassero di buon grado la sua dominazione. Quando ciò non
capitava si sentivano autorizzati (e “offesi”) ad usare il pugno
di ferro per schiacciare qualsiasi rivolta. L'Italia soffriva di
senso d'inferiorità verso le altre potenze coloniali, quindi ogni
opposizione causava una reazione violenta.
Il
secondo punto riguarda come gli intellettuali italiani e giapponesi
negli anni 30 giustificarono e appoggiarono le guerre d'aggressione.
La differenza sostanziale tra i due paesi si sviluppa quando in
Italia nasce un movimento nazionale antifascista, mentre in Giappone
no. E poi nel dopo guerra quando gli intellettuali italiani si
rifacevano quasi tutti ad una ideologia antifascista, mentre non
avvenne lo stesso per quelli nipponici.
Il
terzo punto riguarda il perché i due paesi, dopo la fine dei
rispettivi regimi, non iniziarono i processi contro i criminali di
guerra, cosa fatta dai tedeschi. I funzionari epurati dai rispettivi
ministeri della giustizia furono pochi, quindi gli eventuali
istruttori dei processi erano i medesimi che fino a poco prima
opprimevano la libertà. Alle nazioni vincitrici della guerra faceva
comodo non enfatizzare le colpe dei nuovi alleati anticomunisti. In
Italia vennero perseguiti più partigiani che si fecero giustizia da
soli che gerarchi fascisti o semplici iscritti al partito fascista.
Infine
ci furono due fatti che aiutarono l'auto assoluzione delle due
nazioni, l'Italia partecipò alla lotta contro il regime fascista e
contro i tedeschi, il Giappone subì il bombardamento atomico,
facendo nascere l'idea di essere statti essi stessi “vittime della
guerra”.
Tokushi
Kasaharo si sofferma sul massacro di Nanchino e, soprattutto, sul
negazionismo politico giapponese, anche attuale. L'autore spiega
brevemente, ma in maniera esauriente, cosa accadde a Nanchino e di
quali tipi di crimini si macchiarono i militari giapponesi. Quindi
inizia ad analizzare i motivi per i quali questa vicenda storica non
è conosciuta dalla popolazione giapponese.
Che
sono:
a) Il
tentativo da parte di esponenti del LPD di rimuovere o minimizzare i
riferimenti storici nei testi scolastici. In particolare degli
esponenti degli esponenti del LPD che sono figli, nipoti o pronipoti
di criminali di guerra o esponenti del regime fascista. Questi
esponenti politici (Shinzo Abe, Takeo Hiranuma, Taro Aso, Nobutaka
Mavhimura, Masahiro Komura, Yasuo Fukuda, Kunio Hatoyama, Yukio
Hatoyama, Hirofumi Nakasone, in gran parte del LPD ma anche del PD)
svolgono la propria opera revisionista non solo sui manuali
scolastici, che alla fine hanno mantenuto un minimo di veridicità
storica, ma anche sui mass media.
b)
Più di 40 ex membri della polizia segreta Tokko del regime imperiale
fascista, dopo la guerra divennero parlamentari e molti altri
occuparono alti incarichi presso la polizia e l'agenzia di difesa
nazionale.
c)
L'esistenza di gruppi che palesemente si ripropongono la revisione
storica su Nanchino, ma non solo, come i gruppi “Gruppo dei Giovani
Deputati che Pensano al Futuro del Giappone e all'Insegnamento della
storia”, e la “Commissione per l'esame della storia. Queste
organizzazioni, assieme alla Japan Conference, riuscirono a far
fallire la “Deliberazione per la riflessione e le scuse sulla
guerra d'invasione”, promossa nl 1995 dal primo ministro socialista
Murayama. Infine hanno fondato “il movimento conservatore di base”,
che si prefigge lo scopo di impedire una condanna del Giappone perché
questo sarebbe “una profanazione dei caduti (eirei)”.
Hisashi
Yano affronta il tema dei “Lavoratori forzati nelle colonie
giapponesi in confronto con il caso tedesco”. L'autore precisa
subito che il raffronto è difficile per la mancanza di dati e studi
giapponesi rispetto alla mole di quelli tedeschi. Infatti in Germania
i documenti riservati vengono resi pubblici dopo 30 anni, mentre in
Giappone non ci sono documenti resi accessibili. In particolare
l'autore affronta la differenza di trattamento tra i lavoratori
deportati coreani, che erano ufficialmente facenti parte dell'impero
nipponico, e quelli cinesi, che erano i nemici.
Aiko
Kurasawa affronta il tema “Romusha, la memoria più crudele
dell'occupazione giapponese in Indonesia”.
Romusha
vuol dire “lavoratore manuale non specializzato”, ma nell'Asia
sud orientale indicavano i lavoratori forzati dell'esercito
giapponese. Circa 300 mila persone furono deportate da Giava come
romusha, a cui vanno sommati quelli che “lavorarono” in loco come
romusha. I romusha erano teoricamente arruolati come normali
lavoratori e retribuiti, poi spediti in tutte le zone dove si
svolgevano opere belliche, ma le condizioni di lavoro, le modalità
di reclutamento e l'impossibilità di tornare a casa li rendevano
degli schiavi. L'autore prende in esame i romusha che furono
deportati in Siam per costruire la ferrovia tra la Thailandia e la
Birmania, la cui costruzione iniziò nel dicembre del 1942 e terminò
nell'ottobre del 1943. Furono impiegati 60 mila prigionieri di guerra
e circa 100 mila romusha, morirono 15 mila prigionieri di guerra e
almeno 50 mila romusha. L'autore racconta la storia di Sastro Dibuyo
(e di altri suoi ex colleghi), un ferroviere, che pur non essendo un
romusha (in quanto era un lavoratore specializzato) condivise la
stessa loro storia, dall'inizio dei lavoro fino al suo rientro a
casa.
Takao
Matsumara si occupa de “l'unità 731 e la guerra batteriologica
dell'esercito giapponese”. L'autore ripercorre brevemente, ma in
maniera esaustiva, la storia delle varie Unità 731, degli
esperimenti in Cina su esseri umani, dell'uso in Cina di armi
batteriologiche sulla popolazione, sul patto tra MacArthur e Ishii
(il creatore dell'Unità 731) che permise a tutti i membri delle
Unità 731 di non essere processati in cambio dei dati scientifici su
quegli atroci esperimenti “sul campo”. Infine Takao Matsumara ci
informa sui processi degli ultimi 15 anni intentati dalle vittime
cinesi di quegli esperimenti contro lo Stato giapponese, che pur
essendo tutte state rigettate dai giudici, hanno obbligato gli stessi
giudici giapponesi ad ammettere i fatti 8crimini) accaduti.
Nel
contributo di Guido Samarani, dal titolo “Il massacro di Nanchino e
la guerra di resistenza cinese (1937-1945)”, si evidenziano alcuni
elementi relativi al massacro di Nanchino (nella prima parte) e altri
più generali sulla resistenza cinese all'invasione giapponese
(seconda parte).
Il
contributo di Rosa Caroli (autrice di ottimi saggi storici sul
Giappone) s'intitola “Storia e storiografia in Giappone, dai
crimini di guerra ai criminali di guerra”.
Inizialmente
l'autrice analizza la differenza tra il colonialismo italiano (e
occidentale), indirizzato verso paesi lontani e considerati
razzisticamente inferiori, e quello nipponico, rivolto contro paesi
che li stessi giapponesi chiamavano “fratelli”, che nel caso
della Cina era stata l'esempio culturale da seguire fino ad allora.
Il Giappone si pose come il “fratello maggiore” che cercava di
“liberare” questi paesi dalla dominazione bianca, ovviamente per
sostituirla con la propria, ma in seguito le fratture con gli altri
popoli asiatici non tardarono ad arrivare. Per primo con i crimini di
guerra di cui il Giappone si macchiò, crimini non conosciuti dalla
stessa popolazione giapponese. Come esempio più lampante di questa
ignoranza si può portare la commemorazione del 15 agosto per la fine
della guerra, che è divenuto un lutto nazionale per le vittime
(atomiche) giapponesi, senza nessuna considerazione per le vittime
causate dal Giappone. La sconfitta giapponese può considerarsi
totale, in quanto non ci fu nessun gruppo di resistenza interno (a
differenza dell'Italia, aggiungo io). La guerra fu appoggiata da
tutta la popolazione, infatti al momento della resa c'erano solo 2500
prigionieri politici in carcere. A ciò si sommò la volontà
dell'occupante/alleato americano a far passare in secondo piano il
più possibile le responsabilità nipponiche (collettive e
personali). In questo contesto va apprezzata l'opera antirevisionista
di Kasahara Tokushi, presente anche in questo saggio, che ha impedito
che in Giappone le associazioni “Atarashii rekishi kyokasho o
tsurukai” (Associazione per la revisione dei libri di testo) e
“Jiyushugi shikan kenkyukai” (Gruppo di ricerca per una
concezione liberale della storia) cancellassero dai libri di storia
i pur minimi accenni alle colpe nipponiche. Prima del 1996, anno di
fondazione delle due associazioni, c'erano state altre dichiarazioni
di carattere revisionistico, ma erano iniziative isolate. Queste due
associazioni, invece, portarono (e portano) avanti una strategia più
articolata, usando mezzi diversificati (tv, giornali, saggi,
letteratura, film, manga) e indirizzandoli anche ai giovani, inoltre
utilizzano toni accesi e osano ciò che fino ad allora nessuno prima
aveva tentato di fare.
Tutti
gli studiosi giapponesi che hanno scritto su questo saggio hanno il
merito di essersi opposti, oltre al revisionismo storico, all'oblio
dei crimini commessi, in modo che le nuove generazioni possano avere
una possibilità di sapere la verità. Questi studiosi hanno anche
contrastato il tentativo di tranquillizzare la coscienza collettiva
giapponese portata avanti creando una storia di cui andare fieri.
Questi studi sono importanti, oltre che per impedire il revisionismo
storico, per cercare di capire come l'esercito giapponese poté
diventare tanto spietato. Infatti fino ai primi del 1900 l'esercito
giapponese era considerato un modello di rispetto dei diritti dei
prigionieri di guerra. Fu la coercizione psicologica estesa a tutto
il popolo, per svariati anni, a permettere che tali atti atroci
venissero accettati. Era lo Stato giapponese a decidere per tutti ciò
che fosse moralmente accettabile, non era più una questione di
coscienza personale. L'inferiore doveva attenersi alle regole imposte
dal superiore, e se ciò non succedeva qualsiasi punizione era
moralmente lecita, in quanto approvata dallo Stato. Di seguito
l'autrice cerca di individuare altre cause di questa degenerazione:
l'ideologia militare, la convinzione di discendere da essere
superiori, la “legge per la tutela dell'ordine pubblico” del
1925, le associazioni di riservisti, le violenze della polizia
segreta Tokko, il sistema della abiura politica (tenko), la violenza
in tutti i gradi dell'esercito. Secondo Rosa Caroli bisognerebbe
indagare sui singoli diari dei soldati per capire meglio il perché
essi perpetrarono tali atrocità. Va infine menzionato l'impegno
degli studiosi e giuristi che, ancora oggi, si spendono per far
ottenere i risarcimenti (e le scuse ufficiali) alle vittime dei
crimini di guerra giapponesi, senza il loro impegno numerosi
documenti e testimonianze sarebbero andate perdute.
Harumi
Watanabe nel suo contributo dal titolo “Come condividere in modo
razionale la memoria dei fatti storici, considerazioni sul massacro
di Nanchino”, analizza i processi intentati negli anni 90 dalle
vittime dei crimini di guerra giapponesi, e le tesi specifiche dei
negazionisti durante questi processi. In particolare si sofferma sul
processo di una vittima del massacro di Nanchino, e sul processo
portato avanti dal professore Ienaga contro il ministero della
pubblica istruzione che voleva censurare un suo libro scolastico, che
parlava esplicitamente dei crimini giapponesi a Nanchin (processo poi
vinto da Ienaga).
L'ultimo
intervento (riguardante il Giappone) è di Hiroshi Oyama, s'intitola
“Responsabilità di guerra e coscienza dei giapponesi”, e si
chiede perché i giapponesi non riescono ad affrontare il proprio
passato. Il Giappone si convinse della propria superiorità verso gli
altri paesi, prima gli asiatici e poi verso quelli occidentali,
coltivando il disprezzo per l'inferiorità di questi popoli non
eletti. La sconfitta della seconda guerra mondiale ha distrutto la
sua superiorità, ma solo dall'esterno, non hanno mai superato quella
presunzione di superiorità verso gli altri paesi asiatici. Il
successo economico e industriale del dopo guerra ha fatto rinascere
quel sentimento (mai scomparso) di superiorità. Di conseguenza i
giapponesi trovano inconcepibile ed umiliante scusarsi e risarcire i
paesi occupati e le sue vittime. Da qui nasce il tentativo di
glorificare il passato, e il revisionismo storico si diffonde,
additando di “autolesionismo storico” chi cerca di raccontare la
storia nei suoi giusti termini.
Quando
il revisionismo storico incontra il nazionalismo degli anni 90 si
ottiene una chiusura totale verso le rivendicazioni delle vittime dei
crimini di guerra. Un altro fattore è dato dalla tendenza che i
giapponesi hanno a reagire emotivamente ai problemi politici. Per
esempio le visite dell'ex premier Koizumi al santuario di Yasukuni
aumentavano la sua popolarità interna, ma indebolivano l'immagine
del Giappone all'estero. I giapponesi appoggiavano le visite di
Koizumi senza riflettere sui danni che questo portava alla politica
estera giapponese.
L'ultimo
fattore è dato dal fatto che la maggioranza dei giapponesi è
totalmente ignorante della sua storia recente.
Nell'ultima
parte Hiroshi Oyama si chiede cosa debba fare il Giappone per
superare il suo revisionismo storico e affrontare il proprio passato,
semplificando:
- eliminare il disprezzo verso gli altri paesi asiatici
- affrontare il passato per non mettere a rischio il futuro
- comprendere che accettare le proprie colpe e chiedere scusa fa parte dell'idea di democrazia
- chiedere scusa e risarcire i paesi e le vittime senza aspettare richieste dai diretti interessati
- combattere ed isolare i revisionisti storici
grazie per la sua riflessione... sto svolgendo una ricerca che tratta della diffusione nel mercato web di cartoni animati giapponesi in Italia con disastrose conseguenze per le giovanissime generazioni di migranti cinesi, divorate nel corpo da questi modelli di donne rappresentate magre e succinte... i manga , i pokemon. Sono una mediatrice culturale, lavoro in contesti di migrazione, stavo perdendo una ragazza per anoressia stimolata e nutrita da questi videogiochi .... Sarei interessata a conoscere le case di distribuzione di questi cartoni animati e qual'è la classe dirigente di medici, educatori, sociologi in Italia che ha favorito
RispondiEliminaquesto ingresso. Grazie comunque, anche se non mi può rispondere
Mi perdoni, ma intanto non ho capito il nesso tra il saggio storico che ha commentato e la tematica che la interessa.
EliminaPoi non capisco la seconda questione, ricercare chi ha permesso cosa?! O_o
Non siamo più in una dittatura, l'autoarchia è finita da qualche decennio...
Mi pare che lei facia un po' di confusione, se deve fare una ricerca e non conosce la differenza tra i manga, anime e i videogiochi, citando i Pokemon, forse è meglio che cerchi tra i titoli dell'indice della saggistica che ho qui sul blog. Mi pare che metta assieme cose differenti tutte in un calderone O_o
Inoltre .... investimenti di banche siciliane nel mercato delle carpe giapponesi per ripulire il denaro che viene dall'illecito ingresso di questa ed altra merce nipponica,
RispondiEliminagrazie
Mi sta prendendo in giro? >_<
EliminaIl nesso con l'anoressia e i personaggi femminili di manga, anime e videogiochi? O_o
Per cortesia, se è uno scherzo non continui, entrambi penso si abbia di meglio da fare...
carpe diem. Papaveri e papi, la donna cannolo, una lacrima sul visto.
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