TITOLO: Il paese dell'eroica felicità, usi e costumi giapponesi
AUTORE: Pietro Silvio
Rivetta
CASA EDITRICE: Hoepli
PAGINE: 293
COSTO: 25 €(?)
ANNO: 1941
FORMATO: 24 cm X 16 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: ?
Il
prezzo del libro è da considerarsi relativo, la mia copia è un po'
conciata, e mi è costata 25 euro, su e-bay ho trovato un annuncio
che lo vendeva a 113 euro...
Ho
scoperto che l'autore del libro, Pietro Silvio Rivetta, fu un
personaggio poliedrico (consiglio di fare una ricerca sul web), con
tante passioni e capacità, mi chiedo se avesse tanto bisogno di
cacciare nel libro cosi frequenti rimandi (con numerose immagini)
alla grandiosità del fascismo e del duce... probabilmente era un
fascista pure lui, e poi si dice che la cultura ti mette al riparo da
certe idee...
Tornando
al libro...
Il libro non può essere scisso dalle sue 171 foto e disegni, che ne sono parte integrante. Ho notato che in tutti questi libri sul Giappone pubblicati in questo periodo le immagini sono sempre molte, in questo sono moltissime, e molto belle, oltre che descrittive.
Il libro non può essere scisso dalle sue 171 foto e disegni, che ne sono parte integrante. Ho notato che in tutti questi libri sul Giappone pubblicati in questo periodo le immagini sono sempre molte, in questo sono moltissime, e molto belle, oltre che descrittive.
L'unica
pecca del libro (oltre alle soventi esaltazioni del fascismo...) è
che spesso si passa da un tema all'altro senza un filo logico,
l'autore tende a divagare un po'. Quindi i capitoli sovente non sono
divisi per tema, difficile, quindi, rendere totalmente il contenuto
del libro. Quasi sempre mi limiterò a riportare i temi principali
affrontati nei capitoli, anche perché spesso gli argomenti sono solo
accennati.
E'
superfluo avvertire che nell'esaltazione del Giappone mai si accenna
ai lati negativi, mai si racconta, per esempio, di Nanchino, fatto
che nel 1941 era conosciuto.
Il
titolo di ogni capitolo è preso da un proverbio, massima o poesia
giapponese.
Capitolo
1
L'autore
spiega che il Giappone ha rischiato di occidentalizzarsi, ma grazie
ai nazionalisti (sic...) il pericolo è stato svenato. Si narra la
vicenda del commodoro Perry (l'apertura forzata del Giappone), ma
nonostante quel sopruso occidentale lo “yamato-damashi” (spirito
nazionale) ha permesso al Giappone di eguagliare gli occidentali e
vincere quattro guerre (fino al 1941).
Capitolo
2
La
tradizione di togliersi le calzature prima di entrare in una casa, il
tatami, i regali, la mancia.
Capitolo3
L'autore
cerca di sfatare l'idea che i giapponesi manchino di sensibilità e
abbiano un comportamento doppio ed infido. Se non ama gli abbracci e
non esprime contrarietà direttamente è dovuto a specifici motivi
culturali e sociali. Nel medesimo capitolo si affrontano temi come:
l'arte marziale ju-jitsu, il kendo, il gioco del Go.
Capitolo
4
Il
giardino e la veranda (engawa) sono descritti con un unicum
architettonico giapponese, l'autore spiega dettagliatamente tutte le
parti che compongono questa parte della casa. E' presente un disegno
con tutti i nomi che poi sono spiegati nel libro.
Si
passa, quindi, all'importanza dei fiori in una casa giapponese, i
fiori nell'araldica e l'ikebana.
Capitolo
5
I
bambini: educazione, gioco, affetto, festività a loro dedicate.
La
morte: il dolore, le festività.
Capitolo
6
L'arte
del bon-kei (paesaggio presentato su un vassoio di porcellana) e del
bon-sai, che da spunto all'autore per illustrare i cognomi giapponesi
che si rifanno alla natura.
Si
passa quindi alle usanze del funerale per le bambole e gli aghi da
cucito rotti, le cerimonie in onore degli animali sacrificati alle
necessità umane: gatti (per la cassa dei samisen), bachi da seta,
aringhe, balene.
Capitolo
7
La
storia dei 41 Ronin (recitata al teatro kabuki o nei film), assieme a
quella del generale Nogi (che fece seppuku alla morte dell'imperatore
Meiji), sono 2 tra gli esempi del senso dell'onore nipponico.
Prendendo
spunto dall'opera teatrale sui 47 Ronin l'autore illustra il teatro
kabuki.
Capitolo
8
Nell'ottavo
capitolo si inizia col tema te, per poi passare alla figura religiosa
del budda Daruma (che lo portò agli uomini), finendo (o iniziando)
con lo zen. Quindi si unisce il te e lo zen parlando della cerimonia
del te. Il capitolo termina con un accenno al fatto che ai bambini
giapponesi è insegnato fin da piccolissimi a sorridere e a non
mostrare collera.
Capitolo
9
L'autore
prende spunto dal compito di immane difficoltà che aspetta la
dattilografa giapponese, che ha a che fare con una macchina da
scrivere con un numero di tasti infiniti (in realtà un tasto solo ma
con una matrice di 2340 caratteri!), per spiegare la difficoltà
della lingua giapponese scritta. Si passa all'importanza che in
Giappone viene riservata alla calligrafia.
Capitolo
10
Il
capitolo parte da una domanda: “Perché i giapponesi non adottano
la scrittura alfabetica?”.
Questo
capitolo cerca di spiegare (al lettore italiano del 1941) l'alfabeto
hiragana e katakana, illustrando il perché un cinese non potrà mai
leggere il giapponese benché gli ideogrammi giapponesi siano gli
stessi di quelli cinesi. Per l'autore la complessità del giapponese
scritto sta nel fatto che chi legge “deve comprendere ciò che è
scritto prima di aprire le labbra e pronunziarlo” e “i segni
suggeriscono le idee; comprese queste, il lettore può pronunziare le
parole che esprimono tali idee”. Inoltre c'è il problema della
doppia interpretazione dell'ideogramma di provenienza cinese: “il
suono dell'ideogramma (on) si differenzia dal “significato” (kun)
giapponese”. E' spiegato perché questo “bifrontismo fonetico”
sia una ricchezza unica per la lingua giapponese.
Quindi
la domanda iniziale non potrà che apparire assurda ad un giapponese.
Questo
capitolo, come buona parte del libro, non può prescinder dalle
immagini presenti, che rendono molto più chiara la spiegazione.
Capitolo
11
Il
capitolo prende spunto dall'espressione giapponese per indicare il
“bene e il male” (“zen-aku”) che c'è nelle cose della vita,
per far numerose digressioni sociali. Dall'uso della tecnica
occidentale e il mantenimento delle tradizioni giapponesi, al nuovo
movimento nazionale del principe Konoe (che vuole una nova
restaurazione imperiale). E' toccato anche il concetto di “mono no
aware” “compassione verso le cose” o “sintonia con la
natura”.
Per
finire con la storia dell'arrivo del buddismo in Giappone e gli
elementi base delle fede shintoista. In questo contesto
storico/religioso l'autore informa il lettore italiano che l'attuale
imperatore (Hirohito) è il 124esimo imperatore di origine divina
genealogicamente discendente dal primo sovrano salito al trono nel
660 A.C. Fatto che già in quel tempo si sapeva storicamente non
vero, tralasciando delle origini divine degli imperatori.
Prendendo
spunto dal concetto di purezza e purificazione (che è uno dei più
importanti) dello shintoismo si spiega il perché i giapponesi
tengano così tanto alla pulizia personale, ma anche alla purezza
dello spirito.
Si
passa a spiegare l'importanza che ha per ogni giapponese il santuario
di Yasukuni, infatti fin da bambini imparano che “coloro che
muoiono per la patria sono veramente come dei nello Yasukuni-zinzya”.
Questo concetto, aggiungo io, a distanza di tanti decenni (e ormai
nel terzo millennio) crea ancora grossi problemi a livello
diplomatico al Giappone, con tutte le nazioni asiatiche che invasero.
Questa del santuario di Yasukuni è una “maledizione”, ereditata
dal nazionalismo precedente la seconda guerra mondiale, dalla quale
mi pare che gli stessi giapponesi non vogliano liberarsi più...
Capitolo
12
Toccando
l'argomento bushido e “yamato-damashi” l'autore spiega la storia
del nome originale del Giappone: Yamato.
Si
addentra nel significato spirituale e patriottico del termine
“yamato-damashi”, una fede per ogni giapponese.
L'autore
ci spiega anche che anteporre il diritto del singolo cittadino al
bene e alla grandezza della patria è uno dei mali dell'occidente
(non l'avrei mai detto...): “lo yamato-damashi”, come il
fascismo, esalta la tradizione, nutriente radice di ogni nazionale
rigoglio”.
A
pagina 238 l'autore riporta il concetto che i giapponesi avevano
della guerra e delle morti che causavano invadendo altre nazioni:
“In
qualità di incarnazione della Dea del Sole, l'imperatore deve agire
sinteticamente in modo che la virtù militare sia un complemento
armonico della virtù marziale, al pari della gioia con la spada. Ne
consegue una teoria politica giapponese secondo la quale l'uso delle
forze armate non mira ad uccidere la vita, ma a rigenerare e
rinvigorire quella vita che ha cessato di pulsare con il suo ritmo
cosmico.”
Questo
concetto l'ho letto spesso in libri di analisi storica di questi
anni, ed è considerata una delle cause della spietatezza dei
militari nipponici. In pratica l'autore rivelava, in tempi in cui non
c'era da vergognarsi di questo, il perché il Giappone si sentisse
autorizzato a governare gli altri stati asiatici.
Si
affronta quindi la questione della venerazione che ha ogni giapponese
verso l'imperatore, un dio in terra.
Capitolo
13
Viene
affrontato il rapporto uomo/donna in Giappone, anche dal punto di
vista grammaticale, vocaboli e scritto.
E'
esaltata la gentilezza femminile nipponica, ma anche lo spirito di
abnegazione che la sposa ha verso il marito.
Si
passa alla spiegazione del perché esistano ancora (nel 1941) le
geisha, e del ruolo che queste hanno nella società giapponese. Ruolo
che per l'autore è secondario, di contorno, ma non così importante
come si crede in occidente.
Da
notare che ai tempi i giapponesi si vergognavano verso gli
occidentali sia per le geisha che per la prostituzione/schiavitù.
Posso immaginare che l'autore abbia voluto fare un piacere ad un
popolo amico sminuendo l'importanza delle geisha e non toccando
l'argomento prostituzione.
Infine
si accenna al ruolo di grande consumatrice che la donna giapponese
ricopre nell'economia, protagonista dei grandi centri commerciali
delle grandi città giapponesi (centri commerciali che in Italia
sarebbero arrivati molti decenni dopo).
Capitolo
14
Il
libro si conclude con l'immancabile argomento “ciliegi in fiore”,
illustrando la consuetudine dello “hana-mi” (andare a vedere la
fioritura dei ciliegi) e riportando accenni storici, l'etimologia del
termine “sakura”, la filosofia della fugacità delle cose belle.
All'interno del libro sono presenti numerose immagini, cosa che ho notato essere usuale nei libri di quel periodo, le inserirò a testimonianza di un'epoca.
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