TITOLO: Filosofia nei manga, estetica e immaginario nel Giappone contemporaneo
AUTORE: Marcello Ghilardi
CASA EDITRICE: Mimesis
PAGINE: 166
COSTO: 14€
ANNO: 2010
FORMATO: 21 cm X
14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788857502373
Marcello
Ghilardi è l'autore anche dell'ottimo saggio “Cuore e Acciaio”,
inoltre in questa sua nuova opera di approfondimento è presente un
saggio di Marco Pellitteri su una tematica poco affrontata. La mia
recensione partirà con una critica al titolo, che mi sembra un poco
fuorviante. Forse è più che altro il tentativo di trovare un titolo
che faccia da comune denominatore ad una serie di singoli saggi che,
talvolta, nonostante la loro validità, mi pare non nascano da un
progetto comune. Non saprei come si sarebbe potuto intitolare meglio
il saggio, magari “Una serie di saggi su manga ed anime”.
Riporto
un paio di righe dell'introduzione:
“Fumetti
e disegni animati diventano agli occhi del filosofo luoghi di
produzione del pensiero, si offrono come mondi da scoprire e indagare
con curiosità ed attenzione”. ”I manga (e gli anime) come
metafore per leggere il nostro tempo”.
L'analisi
vera e propria sui/dei manga inizia solo a pagina 33 col secondo
capitolo (“I manga tra rottura e continuità”), in cui si
ripercorre la nascita del manga, in particolare dell'inventore del
termine “manga”, Katsushika Hokusai (1760-1849) e del tratto
estetico manga. In realtà il manga fu già all'origine una
commistione di influenze estetiche cinesi, occidentali e, ovviamente,
giapponesi. Si analizza il significato del termine “manga” e
degli ideogrammi che Hokusai usò per scriverlo. In questo contesto
viene fatta una interessante similitudine tra l'arte manga (la
nascita da altri stili, il perfezionamento ed, infine, il diventare
un'arte nuova) e la dinamica shu-ha-ri, che l'apprendista deve porre
in essere per apprendere una disciplina, specializzarvisi e crearne,
infine, una propria.
Nel
terzo capitolo (“Questione di stile”) si approfondisce la
conoscenza delle arti grafiche giapponesi che precedettero ed
influenzarono il manga odierno:
ukiyo-zoshi;
le
immagini di mostri e demoni del XII secolo;
i
disegni di Hokusai;
i
primi manga moderni del XIX e XX secolo (come la rivista The Japan
Punch, che ebbe un così alto successo che allora (fine 1800) i manga
si chiamavano “Ponchi-e”, “immagini alla Punch”);
la
rivista Toba-e;
il
disegnatore Kitazawa Yasuji (1876-1955), noto anche con lo pseudonimo
di Rakuten, che fondo la rivista Tokyo Punch (1900 circa).
Tutte
queste prime riviste giapponesi avevano un carattere caricaturale e
di satira politica, poco spazio o nullo era riservato al manga come
lo conosciamo oggi. Quindi Ghilardi fa un salto temporale molto ampio
passando dai primi del 1900 al dopoguerra (saltando a piè pari tutto
il periodo prebellico e bellico), con tutti i mangaka più famosi,
iniziando con Osamu Tezuka. L'ultima parte di questo capitolo lancia
uno sguardo sui nuovi scenari verso cui i manga si stanno
sviluppando, commistioni di genere e contaminazioni (di nuovo) con
l'occidente. Dove ora è l'occidente a fare proprio lo stile manga,
anche rielaborandolo.
Il
quarto capitolo è opera di Marco Pellitteri, ed affronta una
“branchia” dei manga poco o per nulla analizzata, il titolo del
capitolo è, infatti, “Giappornologie, passionali multisensorialità
del manga e nuove frontiere della nippomasturbazione”. Questo
capitolo consta di 25 pagine, più 6 di immagini con didascalie.
Nella prima parte di questo saggio Pellitteri affronta il rapporto
esistente in Giappone tra fumetti e pornografia. Nella seconda parte
focalizza la sua attenzione su tre tematiche che stanno attecchendo
anche in occidente: vari tipi di feticismo; una forma peculiare di
pedofilia; apparati tecnologici per la masturbazione, con particolare
attenzione alle bambole sessuali o cyborg ginoidi.
Dopo
un breve elenco dei generi e sottogeneri dei manga erotici e
pornografici l'autore fa una valutazione molto interessante sui
cinque sensi stimolati dai fumetti. Nei manga classici i due sensi
più stimolati sono la vista e l'udito, mentre gli altri tre non sono
mai risvegliati. Nei manga erotici e pornografici, invece, sono
l'olfatto, il gusto, e il tatto ad essere maggiormente stimolati.
Nel
quinto capitolo (“Sull'immaginario negli anime”) si evidenzia
quale immaginario gli anime hanno creato dal loro arrivo in Italia,
da Goldrake ad oggi. Si cerca di spiegare che cosa un fruitore dei
primi cartoni animati giapponesi considera ormai prettamente “anime”
e “giapponese”, e di come quegli stessi primi piccoli spettatori
abbiano modificato la loro percezione di alcune tematiche rispetto ai
propri genitori. Come esempio dei concetti esposti da Ghilardi si può
utilizzare il famoso simbolo che compariva in basso a destra sullo
schermo tv alla fine della puntata di un anime. Quel simbolo si
chiama “tsuzuku”, ed è formato da tre caratteri dell'alfabeto
hiragana. Nessuno conosceva il giapponese, ma tutti sapevamo che
significava “continua...”. Il nostro immaginario di bambini si
arricchì con un termine visivo nuovo, che oggi riporta alla memoria
sigle ed altro, anche se il significato di quel simbolo fu compresa
solo in età adulta.
A
questo punto l'autore sposta l'attenzione sull'immaginario creato dai
Pokemon, che è differente da quello dei primi anime robotici, e che
trasmise ai nuovi fan dei concetti nuovi che precedentemente non
avevano valore. Nei Pokemon gli eroi della serie non combattono per
la libertà contro degli invasori alieni, non sono eroi come Actarus,
devono semplicemente accumulare esperienza in combattimento, al fine
di migliorare il proprio Pokemon.
Nel
sesto capitolo (“Mutazioni estetiche, trasformazioni etiche”) si
osserva come alcuni oggetti nati dall'animazione giapponese, come i
robot, sono diventati l'emblema dell'iconografia nipponica. Sono
analizzati gli anime robotici anni 70/80, Evangelion e Gunslinger
Girl, in particolare il sentimento di “mo no aware” insito nelle
2 serie più recenti. Riguardo ai cyborg è evidenziato come, grazie
a manga ed anime, la loro percezione sia stata modificata, e per
valutare questo sono stati presi in esame titoli come Galaxy Express
999, Kyashan e Ghost in the shell. I nuovi scenari sul cambiamento
dell'estetica sono analizzati grazie a tre serie recenti sui samurai:
Afrosamurai; Samuari 7; Samuari Champloo. Dove l'ambiente storico da
cui dovrebbero provenire i personaggi è contaminato da numerosi
fattori, modificandone così l'estetica originale.
Il
settimo capitolo si pone la domanda di come “Ghost in the shell”
sia un film cybergpunk, e del perché ne abbia ridefinito i nuovi
confini. Quest'ultimo capitolo l'ho trovato abbastanza ostico, i
concetti espressi sono parecchio contorti, forse anche perché io non
ne ho molta famigliarità.
L'ottavo
ed ultimo capitolo s'intitola “La verità dell'illusione, il
cinema di Satoshi Kon”, ed è lo stesso breve saggio, sempre di
Ghilardi, comparso in un altro libro del 2009 (“Satoshi Kon, il
cinema attraverso lo specchio”). Lo stesso Ghilardi avverte i
lettori di questo fatto nelle note iniziali al saggio, specificando
che comunque c'è qualche nuova integrazione rispetto a
quell'edizione, che io non ho trovato. In questa riproposizione non
c'è nessun accenno alla morte prematura di Satoshi Kon avvenuta a
fine agosto, probabilmente questo saggio era già in stampa.
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