TITOLO: Giappone perduto, viaggio di un italiano nell'ultimo Giappone feudale
AUTORE: Enrico Hillyer
Giglioli
CASA EDITRICE: Luni Editrice
PAGINE: 243
COSTO: 18 €
ANNO: 2005
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788874350520
Nel
1866 la pirocorvetta Magenta della Regia Marina italiana partiva per
un viaggio lungo 3 anni, con lo scopo di instaurare rapporti
diplomatici ed economici con le nuove nazioni dell'oriente. Inoltre
il viaggio si prefiggeva il fine di raccogliere dati scientifici,
campioni naturalistici per supportare la nuova teoria darwiniana.
Questo
viaggio fu raccontato da Enrico Hillyer Giglioli, naturalista ed
etnologo, e testimoniano di un Giappone alla fine del suo periodo
feudale e dei samurai, dove la spedizione diplomatica/commerciale
sostò due mesi, luglio e agosto del 1866.
Di
seguito ne darò conto senza un ordine ben preciso, riporterò alcuni
fatti più curiosi, ma molti altri ne contiene questo libro.
Al
primo impatto Giglioli è sorpreso dalla pulizia ed ordine della case
(scrive: “Neppure in Olanda si giungeva ad una tale perfezione”),
oltre che della pulizia personale dei giapponesi. Racconta dei bagni
pubblici, è imbarazzato dal fatto che le persone restino nude, anche
in presenza dell'altro sesso. Nota acutamente che le nozioni di
decenza e pudore inculcate a noi europei per i giapponesi non
valgono.
Rimane
affascinato dal suono del giapponese, che considera molto simile a
quello dell'italiano.
La
polizia giapponese era efficiente anche nel 1866, Un membro
dell'equipaggio riuscì a farsi vendere una piccola spada da un
giapponese. Un mese dopo, in un altra città, 2 yakunin (poliziotti)
salirono a bordo del Magenta mostrando i 3 napoleoni d'oro usati per
la compravendita, e chiedendo la restituzione dell'arma, in quanto
era un reato vendere armi agli stranieri.
Descrive
gli stabilimenti termali, l'industria della carta, l'agricoltura, il
riso, il baco da seta, e tutto ciò che ruota intorno a queste
attività.
Giglioli,
accennando all'arrivo del commodoro Perry nel 1854, che obbligò lo
shogun ad aprire al commercio il Giappone, non nasconde un
comprensibile (per i suoi tempi) orgoglio per la potenza
dell'occidente.
Passa
quindi alla descrizione di Yokohama, il porto di libero commercio con
gli stranieri, il quartiere europeo, le concessioni,
l'amministrazione della città e della giustizia da parte degli
occidentali. Rende conto delle violenze contro gli europei da parte
dei samurai che non accettarono l'arrivo degli stranieri (e quindi
alla fine della loro casta guerriera), riportando i fatti del tempo:
“Tutti [gli occidentali] furono attaccati per di dietro e a
tradimento; tutti erano [sempre gli occidentali], forse, armati, ma
non ebbero tempo di resistere: il primo fendente [dei samurai] era
quasi sempre mortale”. A causa di ciò, prosegue Giglioli, visto
che il governo giapponese non fu in grado di proteggere gli
occidentali, questi furono “obbligati” a far stanziare truppe
militari (inglesi e francesi) a Yokohama. Riporto una frase che rende
l'idea di come la pensassero gli occidentali a quei tempi: “... il
governo di Edo [non avendo protetto gli occidentali né catturato gli
assassini]... aveva attirato sopra il proprio paese il disonore di
una occupazione armata per parte straniera”.
Raccontando
dell'arrivo della stampa straniera a Yokohama accenna ad un
settimanale storico per i giapponesi, pubblicato dagli inglesi, era
il Japan Punch. Settimanale di caricature umoristiche, di cui anche
la Magenta fu vittima, e fumetti (non come gli attuali),
probabilmente l'antesignano dei manga.
Un
occidentale, quasi sempre single, nella sua casa a Yokohama aveva
vari servitori: la musume (una via di mezzo tra una moglie ed una
concubina), il kotsukai (servitore personale), il betsuto (il
palafreniere, questi formano una corporazione speciale e tutti sono
coperti di tatuaggi, degli yakuza???), un cuoco e un compratore
(solitamente cinesi), l'ultimo è in pratica il maggiordomo.
Giglioli
passa a descrivere il quartiere giapponese di Yokohama. A proposito
dei bottegai giapponesi racconta che si può stare nei loro negozi
quanto si vuole, spostare la merce, esaminarla, criticarla, non
comprare nulla, e, nonostante ciò, si verrà salutati con un gentile
“sayonara”. Scrive: “Quanto non avrebbero da imparare i nostri
bottegai e piccoli commercianti!”. Pare che la cortesia giapponese
verso i clienti abbia radici molto antiche, come antiche paiono
essere le radici della scortesia dei negozianti italiani verso i loro
clienti...
Descrive
il quartiere notturno di Yokohama, gankiro, con le sue case di
prostituzione, che lo rattristano molto, in quanto le giovani
fanciulle vengono esposte come delle merci.
Fa un
accenno al culto dei o-conco sama e o-manco sama, e al fatto che gli
europei fossero scandalizzati da tanta immoralità, visto che erano
usati pure come giocattoli per i bambini. Gilgioli si chiede se,
invece di scandalizzarsi, non sarebbe stato più saggio indagare
sull'origine di quel culto. Peccato che alla fine non spieghi per
nulla cosa fossero questi oggetti osceni. Forse il periodo non lo
permetteva, si poteva solo sottintenderlo.
Giglioli
rimane sorpreso dalla quantità di giocattoli per bambini che si
trovano nelle botteghe, e del loro esiguo prezzo. Suggerisce che
sarebbe interessante farne uno studio psicologico.
Passa
quindi a rendere la parte della trattativa diplomatica tra il
plenipotenziario italiano e il rappresentante dello shogun, allo
scopo di aprire un trattato italo-giapponese simile quello
“accettato” dai giapponesi con Francia, Usa ed Inghilterra.
Spiega
in maniera abbastanza dettagliata le vicende (pre e post) che
portarono all'apertura forzosa del Giappone nel 1854. Interessante
perché è uno stralcio del punto di vista di un occidentale di
allora.
Segue
la parte in cui descrive Yedo (Tokyo), quando la delegazione italiana
vi si sposta per concludere il trattato.
Durante
uno spostamento a cavallo, Giglioli e i suoi compagni, incontrano un
daimyo ostile allo shogun e agli stranieri. Dopo dei momenti di
tensione gli italiani galopparono via (sic...), i samurai, oltre a
scagliare loro contro alcune pietre, li apostrofarono con: “To-gin,
to-gin! Baka! Baka!” To-gin sarebbe gaijin (straniero), mentre baka
è abbastanza ovvio. Era usato anche nel 1866!
Prima
di partire definitivamente da Yedo, Giglioli vide una delle spianate
dove si eseguivano le sentenze capitali, suzukamori. “Su una rozza
tavola di legno, alzata di circa l'altezza d'un uomo da terra su due
pali, era una testa recisa, sostenuta in posizione naturale da una
base di argilla sanguinolenta”. Su una tabella c'erano le
motivazioni della condanna.
Descrive
la passione dei giapponesi per i fiori degli alberi da frutto:
susini, peschi, mandorli e ciliegi. Durante il periodo primaverile
della fioritura i “buoni borghesi” andavano ad ammirarli con le
famiglie.
Nel
penultimo capitolo del libro Giglioli analizza i giapponesi dal suo
punto di vista di studioso di etnologia. Nel valutare l'origine dei
giapponesi si dilunga molto (in maniera interessante) sugli Ainu, che
lui chiama Aino. Informazioni sul popolo di Yeso del 1870, che lui
nel suo viaggio non ha mai visto, riporta notizie di altri studiosi e
dei giapponesi. Si sofferma su vari aspetti dei costumi e della
società giapponese: il vestiario, l'acconciatura, la nascita, il
matrimonio, l'adulterio, l'amore per la prole, le classi sociali, il
carattere e il seppuku.
L'ultimo
breve capitolo si occupa degli accadimenti in Giappone dopo la
partenza della Magenta, il 1° settembre 1866, la caduta dello
shogunato o bakufu nel 1868 e la restaurazione Meiji.
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