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sabato 1 giugno 2013

Giappone perduto, viaggio di un italiano nell'ultimo Giappone feudale


TITOLO: Giappone perduto, viaggio di un italiano nell'ultimo Giappone feudale
AUTORE: Enrico Hillyer Giglioli
CASA EDITRICE: Luni Editrice
PAGINE: 243
COSTO: 18 €
ANNO: 2005
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788874350520

Nel 1866 la pirocorvetta Magenta della Regia Marina italiana partiva per un viaggio lungo 3 anni, con lo scopo di instaurare rapporti diplomatici ed economici con le nuove nazioni dell'oriente. Inoltre il viaggio si prefiggeva il fine di raccogliere dati scientifici, campioni naturalistici per supportare la nuova teoria darwiniana.
Questo viaggio fu raccontato da Enrico Hillyer Giglioli, naturalista ed etnologo, e testimoniano di un Giappone alla fine del suo periodo feudale e dei samurai, dove la spedizione diplomatica/commerciale sostò due mesi, luglio e agosto del 1866. 
Il libro è scritto come un diario, però l'ordine cronologico dei fatti non è sempre rispettato. Giglioli descrive minuziosamente, come uno scienziato può fare, tanti aspetti di quel Giappone, i capitoli sono abbastanza corti, sempre piacevoli ed interessanti. La lettura e resa piacevole anche dal tipo di italiano scritto, termini ormai desueti, ma belli da leggere.
Di seguito ne darò conto senza un ordine ben preciso, riporterò alcuni fatti più curiosi, ma molti altri ne contiene questo libro.
Al primo impatto Giglioli è sorpreso dalla pulizia ed ordine della case (scrive: “Neppure in Olanda si giungeva ad una tale perfezione”), oltre che della pulizia personale dei giapponesi. Racconta dei bagni pubblici, è imbarazzato dal fatto che le persone restino nude, anche in presenza dell'altro sesso. Nota acutamente che le nozioni di decenza e pudore inculcate a noi europei per i giapponesi non valgono.
Rimane affascinato dal suono del giapponese, che considera molto simile a quello dell'italiano.
La polizia giapponese era efficiente anche nel 1866, Un membro dell'equipaggio riuscì a farsi vendere una piccola spada da un giapponese. Un mese dopo, in un altra città, 2 yakunin (poliziotti) salirono a bordo del Magenta mostrando i 3 napoleoni d'oro usati per la compravendita, e chiedendo la restituzione dell'arma, in quanto era un reato vendere armi agli stranieri.
Descrive gli stabilimenti termali, l'industria della carta, l'agricoltura, il riso, il baco da seta, e tutto ciò che ruota intorno a queste attività.
Giglioli, accennando all'arrivo del commodoro Perry nel 1854, che obbligò lo shogun ad aprire al commercio il Giappone, non nasconde un comprensibile (per i suoi tempi) orgoglio per la potenza dell'occidente.
Passa quindi alla descrizione di Yokohama, il porto di libero commercio con gli stranieri, il quartiere europeo, le concessioni, l'amministrazione della città e della giustizia da parte degli occidentali. Rende conto delle violenze contro gli europei da parte dei samurai che non accettarono l'arrivo degli stranieri (e quindi alla fine della loro casta guerriera), riportando i fatti del tempo: “Tutti [gli occidentali] furono attaccati per di dietro e a tradimento; tutti erano [sempre gli occidentali], forse, armati, ma non ebbero tempo di resistere: il primo fendente [dei samurai] era quasi sempre mortale”. A causa di ciò, prosegue Giglioli, visto che il governo giapponese non fu in grado di proteggere gli occidentali, questi furono “obbligati” a far stanziare truppe militari (inglesi e francesi) a Yokohama. Riporto una frase che rende l'idea di come la pensassero gli occidentali a quei tempi: “... il governo di Edo [non avendo protetto gli occidentali né catturato gli assassini]... aveva attirato sopra il proprio paese il disonore di una occupazione armata per parte straniera”.
Raccontando dell'arrivo della stampa straniera a Yokohama accenna ad un settimanale storico per i giapponesi, pubblicato dagli inglesi, era il Japan Punch. Settimanale di caricature umoristiche, di cui anche la Magenta fu vittima, e fumetti (non come gli attuali), probabilmente l'antesignano dei manga.
Un occidentale, quasi sempre single, nella sua casa a Yokohama aveva vari servitori: la musume (una via di mezzo tra una moglie ed una concubina), il kotsukai (servitore personale), il betsuto (il palafreniere, questi formano una corporazione speciale e tutti sono coperti di tatuaggi, degli yakuza???), un cuoco e un compratore (solitamente cinesi), l'ultimo è in pratica il maggiordomo.
Giglioli passa a descrivere il quartiere giapponese di Yokohama. A proposito dei bottegai giapponesi racconta che si può stare nei loro negozi quanto si vuole, spostare la merce, esaminarla, criticarla, non comprare nulla, e, nonostante ciò, si verrà salutati con un gentile “sayonara”. Scrive: “Quanto non avrebbero da imparare i nostri bottegai e piccoli commercianti!”. Pare che la cortesia giapponese verso i clienti abbia radici molto antiche, come antiche paiono essere le radici della scortesia dei negozianti italiani verso i loro clienti...
Descrive il quartiere notturno di Yokohama, gankiro, con le sue case di prostituzione, che lo rattristano molto, in quanto le giovani fanciulle vengono esposte come delle merci.
Fa un accenno al culto dei o-conco sama e o-manco sama, e al fatto che gli europei fossero scandalizzati da tanta immoralità, visto che erano usati pure come giocattoli per i bambini. Gilgioli si chiede se, invece di scandalizzarsi, non sarebbe stato più saggio indagare sull'origine di quel culto. Peccato che alla fine non spieghi per nulla cosa fossero questi oggetti osceni. Forse il periodo non lo permetteva, si poteva solo sottintenderlo.
Giglioli rimane sorpreso dalla quantità di giocattoli per bambini che si trovano nelle botteghe, e del loro esiguo prezzo. Suggerisce che sarebbe interessante farne uno studio psicologico.
Passa quindi a rendere la parte della trattativa diplomatica tra il plenipotenziario italiano e il rappresentante dello shogun, allo scopo di aprire un trattato italo-giapponese simile quello “accettato” dai giapponesi con Francia, Usa ed Inghilterra.
Spiega in maniera abbastanza dettagliata le vicende (pre e post) che portarono all'apertura forzosa del Giappone nel 1854. Interessante perché è uno stralcio del punto di vista di un occidentale di allora.
Segue la parte in cui descrive Yedo (Tokyo), quando la delegazione italiana vi si sposta per concludere il trattato.
Durante uno spostamento a cavallo, Giglioli e i suoi compagni, incontrano un daimyo ostile allo shogun e agli stranieri. Dopo dei momenti di tensione gli italiani galopparono via (sic...), i samurai, oltre a scagliare loro contro alcune pietre, li apostrofarono con: “To-gin, to-gin! Baka! Baka!” To-gin sarebbe gaijin (straniero), mentre baka è abbastanza ovvio. Era usato anche nel 1866!
Prima di partire definitivamente da Yedo, Giglioli vide una delle spianate dove si eseguivano le sentenze capitali, suzukamori. “Su una rozza tavola di legno, alzata di circa l'altezza d'un uomo da terra su due pali, era una testa recisa, sostenuta in posizione naturale da una base di argilla sanguinolenta”. Su una tabella c'erano le motivazioni della condanna.
Descrive la passione dei giapponesi per i fiori degli alberi da frutto: susini, peschi, mandorli e ciliegi. Durante il periodo primaverile della fioritura i “buoni borghesi” andavano ad ammirarli con le famiglie.
Nel penultimo capitolo del libro Giglioli analizza i giapponesi dal suo punto di vista di studioso di etnologia. Nel valutare l'origine dei giapponesi si dilunga molto (in maniera interessante) sugli Ainu, che lui chiama Aino. Informazioni sul popolo di Yeso del 1870, che lui nel suo viaggio non ha mai visto, riporta notizie di altri studiosi e dei giapponesi. Si sofferma su vari aspetti dei costumi e della società giapponese: il vestiario, l'acconciatura, la nascita, il matrimonio, l'adulterio, l'amore per la prole, le classi sociali, il carattere e il seppuku.
L'ultimo breve capitolo si occupa degli accadimenti in Giappone dopo la partenza della Magenta, il 1° settembre 1866, la caduta dello shogunato o bakufu nel 1868 e la restaurazione Meiji.


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