TITOLO: La vera storia dei kamikaze giapponesi, la militarizzazione dell'estetica nell'Impero del Sol Levante
AUTORE: Emiko
Ohnuki-Tierney
CASA EDITRICE: Bruno Mondadori
PAGINE: 350
COSTO: 12 €
ANNO: 2004
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788861592711
Quando
il viceammiraglio Onishi Takijiro creò le operazioni tokkotai
(kamikaze) non un solo ufficiale di carriera delle accademie militari
si offrì volontario. I volontari furono i giovani piloti, quasi
tutti militari di leva, in gran parte (l'85%) provenienti dalle file
dei “soldati studenti”, universitari che passarono dalla scuola
alla coscrizione obbligatoria. Questi “soldati studenti” non solo
facevano parte dell'élite intellettuale, ma scrivevano diari (che
erano obbligatori) con le loro sensazioni e lettere alle famiglie.
Questi scritti sovente contestavano il regime militare, erano
“soldati intellettuali” che leggevano tantissimi libri, anche di
autori occidentali. Questi piloti erano anche cristiani, talvolta
marxisti. Il saggio cerca di rispondere alla domanda: i piloti
giapponesi si sacrificarono per l'Imperatore o per il proprio paese?
Il
saggio analizza anche la connessione tra i fiori di ciliegio e i
piloti kamikaze, cioè il simbolismo del sacrificio per l'Imperatore
equivalente alla caduta dei petali dei fiori di ciliegio.
Per
esempio il nipote della dea Amaterasu, mandato da lei sulla terra
(Giappone) per renderla fertile e civilizzata, si sposa con una
ragazza bella “come un bocciolo su un albero”, cioè una dea essa
stessa legata ai fiori di ciliegio. Inoltre nel Giappone antico la
divinità più importante era quella della montagna, identificata con
i fiori di ciliegio, che in quel periodo crescevano solo in montagna.
Quando i contadini iniziarono a fare le previsioni sul raccolto del
riso in base alla fioritura dei ciliegi di montagna, questi
iniziarono ad essere piantati nei cortili di casa, generando il
“culto” dei ciliegi in fiore.
Si
credeva che la divinità della montagna (in quel tempo la più
importante), trasportata dai petali dei fiori di ciliegio, arrivò
sulle risaie divenendo divinità delle risaie. Quindi il ciliegio (e
i suoi fiori) divenne sacro sia per gli abitanti delle montagne che
per i contadini. Col tempo il fiore di ciliegio, legato al riso,
divenne il simbolo della riproduzione femminile, infine della donna
stessa e dell'amore. Il collegamento tra i fiori di ciliegio e
l'amore risalta nell'analisi di tutti quei testi scritti che narrano
la “contemplazione dei fiori di ciliegio” (hanami). I fiori di
ciliegio, in definitiva, sono diventati il simbolo di vari processi
umani, il ciclo vita-morte-rinascita, ma anche delle forse produttive
(riso) e riproduttive ((la donna/l'amore).
Avendo
più valenze, i fiori di ciliegio, potevano essere usati per
rappresentare più concetti e, specialmente in un periodo
militaristico, anche difformi dalla loro natura originaria.
Nel
tardo medioevo (con accenni in periodi antecedenti) si sviluppo
l'estetica del pathos dell'impermanenza, simboleggiata proprio dai
petali di ciliegio che cadono. “Cadere come uno splendido petalo di
ciliegio” era la metafora militaristica per propagandare il
sacrificio dei soldati per l'imperatore.
I
fiori di ciliegio nel tempo hanno rappresentato anche le geishe,
quindi l'effimero e breve amore non riproduttivo, ma anche i “cigho”,
“i ragazzi del tempio”, quindi non solo l'amore eterosessuale.
I
simbolismi legati all'estetica dei fiori di ciliegio nacquero (e si
svilupparono nei secoli) proprio per identificare il “gruppo
sociale giapponese”. Specialmente per distinguerlo (e separarlo) da
quello che, allora, era l'unico altro “gruppo sociale non
giapponese”, la Cina, che come simbolo aveva il fiore di pruno. In
questo modo la classe aristocratica giapponese riuscì ad emanciparsi
culturalmente dalla Cina.
Nel
periodo Edo il Giappone divenne culturalmente e materialmente la
terra dei fiori di ciliegio. Oltre ad essere piantati per motivi
pratici, le radici del ciliegio consolidavano gli argini dei fiumi e
si credeva che i loro petali purificassero le acque, i daimyo che
soggiornavano a Edo (su ordine dello shogun) piantavano i ciliegi
dello loro province. Inoltre un famoso botanico, Kaibara Ekken, nel
1709 scrisse un trattato di botanica in cui affermava che il ciliegio
non esisteva in Cina, quindi, per esclusione, era un albero presente
solo in Giappone. Grazie a Kaibara Ekken la classe dirigente del
periodo poteva vantarsi della giapponesità del ciliegio.
La
seconda parte del libro si concentra sul Giappone moderno dell'era
Meiji, fino alle conquiste imperialiste e alla militarizzazione della
seconda guerra mondiale.
In
questo periodo storico i fiori di ciliegio vennero identificati nel
sacrificio dei sudditi per l'imperatore come splendidi fiori di
ciliegio. Per meglio illustrare questa evoluzione militarista dei
fiori di ciliegio l'autrice analizza in dettaglio vari passaggi
storici, come la creazione del culto dell'imperatore tramite “il
proclama imperiale ai soldati (gunin chokuyo), la costituzione del
Giappone imperiale (dai nippon teikoku kenpo), “il proclama
imperiale sull'educazione” (kyoiku chokugo).
Nel
primo articolo della nuova costituzione si affermava la falsità che
la stirpe imperiale era una dinastia ininterrotta dal primo
imperatore Jinmu.
Nello
spiegare alcuni cambi di costume avvenuti durante la Restaurazione
Meiji, l'autrice riporta anche quelli alimentari, che reintrodussero
nella dieta il consumo di carne, considerato fino ad allora impuro.
Una parte veramente interessante del libro.
Una
volta che gli oligarchi scelsero il sistema imperiale prussiano come
esempio di governo ed iniziarono a redarre la nuova costituzione
erano, però, necessari alti accorgimenti legislativi (e non solo)
per creare il legame imperatore/popolo, che non esisteva. Dal punto
legislativo vennero promulgati, tra gli altri, i due proclami
imperiali ai soldati e sull'educazione (rivolto agli studenti e alle
scuole), gli altri espedienti furono 3: l'adozione di un nome di
imperatore per ogni epoca, con l'obbligo della memorizzazione;
l'esecuzione di rituali (ex novo, inventati completamente) religiosi
e civili per commemorare l'origine millenaria della dinastia
imperiale (anche grazie all'introduzione dello shintoismo di Stato);
l'uso (pensato a tavolino) di termini arcaici per identificare
l'imperatore ai suoi sudditi.
Per
esempio gli oligarchi modificarono il concetto di “divinità-essere
umano” in “imperatore come dio in forma umana”. Per riferirsi
all'imperatore venne ripescato l'arcaico e dimenticato termine
“kimi”, usato nell'inno giapponese. Venne introdotto il prefisso
“ko” imperiale: “paese imperiale” (kokuko); “esercito
imperiale” (kogun); “pietà imperiale” (ko'on).
Utilizzando
i versi di antiche poesie, che narravano delle antiche guardie di
confine del periodo che va dal 600 al 800,gli oligarchi crearono il
mito del soldato che sa sempre s'immolava felice per l'imperatore.
Tra l'altro stravolgendone il senso reale, infatti queste poesie
erano in realtà dei testamenti in cui i soldati (non volontari)
scrivevano le loro ultime volontà prima di morire in battaglia. Gli
scritti erano pieni di dolore e rammarico per dover abbandonare la
vita e i familiari, lamentandosi di essere stati arruolati contro la
propria volontà. Il senso degli scritti di queste guardie di confine
assomigliano agli scritti dei piloto tokkotai.
Queste
poesie divennero l'esempio (falso) che i soldati si erano sempre
sacrificati per l'imperatore, anteponendo la fedeltà al Tenno a
quella verso i genitori, obblighi verso i genitori che era una delle
basi della società giapponese.
In
generale fu confezionato per le masse un sistema imperiale
completamente nuovo come se fosse sempre esistito.
Col
proclama imperiale sull'educazione la fedeltà all'imperatore (chu) e
quella ai genitori (ko) diventavano parte di un solo concetto, che
vedeva l'imperatore come “padre” di tutti i giapponesi, e quindi
beneficiario primo della fedeltà. La fedeltà verso l'imperatore
assorbiva quella verso i genitori. I passaggi per giungere a
convincere i sudditi a sacrificarsi per l'imperatore furono diversi,
l'istituzione del santuario ai caduti Yasukuni, la coscrizione di
leva, come i metodi per manipolare le masse tramite la religione,
l'informazione e la scuola.
Nel
proclama imperiale ai soldati c'era scritto: “...tale dovere
[quello di fedeltà all'imperatore] è più pesante delle montagne,
ma la morte è più leggera di una piuma”.
Per
secoli l'imperatore era solo uno dei tanti kami del panteon religioso
giapponese, la costituzione Meiji lo trasformò nel dio principale.
Molto
interessante la parte che riporta i gruppi sociali contrari ala nuova
costituzione: liberali, i leader cristiani,i sindacati, i comunisti.
Nel
proseguo della seconda parte del saggio vengono analizzati i
cambiamenti che il regime pose in atto per trasformare i fiori di
ciliegio in simbolo militare, e nel simbolo del sacrificio eroico per
l'imperatore. La militarizzazione dei fiori di ciliegio, che
raggiunse il topo con i piloti tokkotai, avvenne in un periodo lungo,
dall'inizio della Restaurazione Meiji alla fine della seconda guerra
mondiale.
Nel
primo periodo Meiji, l'inizio delle modernizzazione, gli alberi di
ciliegio erano visti come simbolo del Giappone feudale dello shogun,
ma anche come emblema del Giappone presente e futuro. Come simbolo
del passato gli alberi di ciliegio furono abbattuti in grande
quantità, mentre chi li considerava ancora il simbolo del Giappone
impediva gli abbattimenti e ne piantava di nuovi.
Successivamente,
pur non enfatizzando ancora il concetto di sacrificio, i fiori di
ciliegio iniziarono a venir elogiato per il fatto di non ostinarsi a
rimanere sui rami ad appassire, meglio era cadere a terra ancore in
fiore, piuttosto che marcire sui rami. La metafora, usata in
raffronto ad altri fiori (simboli di Cina e Corea), intendeva
elogiare il popolo nipponico e le sue virtù di fedeltà, docilità,
onestà ed ubbidienza. In pratica un soldato (ma anche il suddito in
generale) doveva essere pronto a morire senza rimanere attaccato alla
vita, ma ancora non veniva fatto un collegamento diretto tra i petali
di ciliegio caduti e i soldati. Nella trasformazione del significato
dei fiori di ciliegio il santuario di Yasukuni ai caduti ebbe un
ruolo importante. Inizialmente il santuario di Yasukuni fu eretto
solo per dare pace allo spirito dei soldati caduti in battaglia (per
l'imperatore, solo se morivano per l'imperatore avrebbero avuto
accesso al santuario), in seguito essere nel santuario divenne un
onore, proprio perché ci si era sacrificati per l'imperatore. I
primi ciliegi vennero piantati nello stesso periodo della costruzione
del santuario solo per motivi estetici,non furono piantati per una
propaganda politico/militare. Man mano, nelle stampe del periodo, si
vedevano sempre di più riprodotto i ciliegi, e la loro presenza era
enfatizzata. Fino a che i soldati caduti in battaglia divennero i
soldati caduti per l'imperatore, e vennero raffigurati come i petali
caduti dei ciliegi in fiore. I fiori di ciliegio che sbocciano come
le anime dei soldati custodite nel santuario, una rinascita in virtù
di un sacrificio.
All'inizio
della Restaurazione Meiji si fornì l'esercito e la marina di
uniformi militari in stile occidentale. Il fiore di ciliegio (nelle
variegato sue forme) fu sempre più usato per bottoni, mostrine,
stemmi, emblemi militari e anche medaglie.
Inoltre
vennero composte due canzoni popolari, una per i “soldati ragazzini
dell'aeronautica” ( shonene kokuhei) e l'altra per i fanti, nel
cui testo li si esortava a cadere come i petali per l'imperatore. La
canzone per i “shonene kokuhei” (o “shonene hikohei”) li
presentava come petali cadenti che sarebbero rinati come fiori di
ciliegio nel santuario di Yasukuni, dove l'imperatore gli avrebbe
reso omaggio.
Si
iniziò ad usare termini che identificavano i soldati coi petali di
ciliegio, per esempio la parola “sange”, che significava
“disperdersi come fiori” in riferimento alla morte in battaglia,
Senonché “sange” era un termine riguardante il buddhismo e con
un significato completamente diverso.
Venne
modificato il concetto di “gn shin”, che da “divinità di
guerra”, cioè gli dei che proteggevano i samurai, divenne “soldati
deificati”. Soldati morti valorosamente in battaglia per
l'imperatore (anche nelle ere passate) venivano eletti a rango di
dei, come esempio per tutti si soldati dell'impero. Eroi di guerra
antichi e recenti (della guerra russo-giapponese) divennero il mito
da seguire e le loro gesta da ripetere.
Un
altro termine per estetizzare la morte in battaglia fu “gyokusai”,
“una sfera di cristallo che va in frantumi”, cioè i suicidi di
massa di soldati e civili allo scopo di arrecare maggiori danni ai
nemici o di non essere presi come prigionieri.
Anche
gli intellettuali fecero la loro parte. Nitobe Inazo, per esempio,
scrisse una rielaborazione del bushido, collegandolo all'anima
giapponese, e i fiori di ciliegio come simbolo del Giappone, Infine
sostituì la fedeltà al signore feudale con la fedeltà
all'imperatore, equiparandolo al padre. Con la rielaborazione del
bushido i fiori di ciliegio divennero le anime dei giapponesi,
militari in primis. I militari trasformarono i fiori di ciliegio che
sbocciavano in soldati deificati nel tempio di Yasukuni.
A
questo punto si era invertito il significato religioso originario,
dove il dio della montagna scendeva sulle risaie su petali di
ciliegio per dare la vita, offrendo la propria anima. Quindi un dio
che si sacrificava per gli uomini, ora, invece, erano gli uomini che
i sacrificavano (simboleggiati dai fiori di ciliegio) per un dio,
l'imperatore.
Assieme
alla vittoria della guerra sino-giapponese i militari iniziarono la
campagna per la diffusione degli alberi di ciliegio. Vennero piantati
ovunque, e seguirono le conquiste territoriali giapponesi in Cina,
Corea e Taiwan.
Nel
finale di questa seconda parte l'autrice spiega come le masse
giapponesi vennero militarizzate, considerando sempre il simbolismo
dei fiori di ciliegio. Sono presi in esame alcuni libri di testo di
scuola elementare di vari periodi (1990; 1903; 1905; 1932). Sempre
nelle scuole, anche materne, venne introdotta l'educazione musicale
tramite le canzoni, i cui testi erano in varie misure di propaganda
politico/militare nazionalistica. Anche con le canzoni, come per i
testi scolastici, il simbolismo dei fiori di ciliegio era sempre
presente. Viene dato conto anche della canzoni popolari con il
medesimo contenuto propagandistico.
Eccone
un esempio, il testo di una canzone molto popolare del 1905: ”L'onore
della patria è l'onore per se stessi/ un uomo giapponese trova un
senso nel cadere/ il profumo è per la vita dopo la morte/ Kudanzaka
carica del profumo dei fiori di ciliegio”. Dove Kudanzaka è la
località dove si trova il santuario di Yasukuni.
Anche
il teatro fece la sua parte nell'identificazione dei petali di
ciliegio con la morte dei soldati per l'imperatore. In particolare
nella rappresentazione teatrale “Dei 47 ronin fedeli”, che venne
ampiamente modificata nelle ere Meiji, Taisho e Showa. Creando il
sacrificio per l'imperatore (inesistente nell'originale) ed esaltando
il simbolismo dei ciliegi.
Dalla
terza parte del libro inizia l'analisi diretta del fenomeno delle
operazioni tokkotai (i piloti kamikaze). I temi trattati sono molti:
verifica della propaganda, se questa riuscì a convincere i piloti a
morire felici; esempi sul simbolismo dei fiori di ciliegio in
connessione con il sacrificio dei piloto; la creazione e la messa in
opera dell'operazione tokkotai; la vita dei piloti in caserma; le
numerose lettere e i diari di cinque piloti tokkotai, dalle quali si
comprende cosa li avesse mossi, i dubbi e le paure; le testimonianze
dei familiari sullo stato d'animo dei piloto tokkotai.
“Tokkotai”
è l'abbreviazione di “tokubetsu kogekitai” (corpi speciali
d'attacco), anche se in occidente sono più conosciuti come kamikaze.
L'operazione tokkotai fu ideata dall'ammiraglio Onishi Takijiro, ed
istituita nell'ottobre del 1944, quando la sconfitta era sentita come
inevitabile. Il loro scopo era di carattere difensivo contro
l'imminente invasione statunitense. Fu deciso che il corpo dovesse
avere carattere “volontario”, visto che implicava la morte certa,
anche se i volontari (se si possono chiamare così) furono solo due
terzi del totale. Nelle operazioni tokkotai, oltre agli aerei,
vennero usati anche i siluri (in realtà mini sommergibili) pilotati
da uno o due militari, erano chiamati “siluri umani” (ningen
gyorai). Vennero utilizzati anche altri mezzi, come alienati, barche
e razzi, ma gli aerei e i siluri furono le armi umane principali.
Durante il primo attacco, il 25 ottobre 1944 e Leyte, l'efficacia
degli attacchi fu ottima(il 20% di navi affondate rispetto agli
attacchi), ma ben presto gli usa adottarono valide contromisure,
facendone crollare l'efficacia (5% di navi affondate rispetto agli
attacchi).
I
riferimenti ai fiori di ciliegio erano onnipresenti, i piloti
portavano con se ramoscelli di ciliegio fioriti, venivano dipinti
sulle carlinghe degli aerei, i nomi degli squadroni vi facevano
riferimento, lo stesso simbolo scelto per l'operazione tokkotai (da
dipingere sugli aerei) era un fiore di ciliegio.
In
caserma i “soldati studenti”, che “accettando” di divenire
volontari sarebbero entrati a far parte dell'operazione tokkotai,
subivano umiliazioni e violenze fisiche da parte dei lori superiori,
che erano militari di carriera. Questi militari di carriera non
perdonavano ai “soldato studenti” di aver potuto studiare
all'università (cosa che a loro era stata preclusa), e di provenire
(molti di loro) da famiglie agiate, sfogavano così sui militari di
leva la gelosia e le frustrazioni accumulate. I maltrattamenti
continuavano anche quando i “soldati studenti” diventavano
“volontari” kamikaze in attesa solo di partire per la morte.
Del
gruppo degli ufficiali che partecipò alla creazione dell'operazione
tokkotai solo 2 partirono in volo per attacchi suicidi. Inoltre tra
tutti i piloti che erano militari dio carriera nessuno si offrì
volontario, nessuno. I volontari erano scelti tra le file dei
“soldati studenti”, che erano tutti coscritti. Arrivati alle basi
i “soldati studenti” si sentivano chiedere di “offrirsi
volontari”. In una grande sala, dopo un discorso nazionalistico,
veniva detto ai volontari di fare un passo avanti. La pressione
psicologica a fare quel passo avanti era fortissima (senza contare
cosa avrebbero dovuto subire se non avessero fatto quel passo), ma
ancor di più era il senso di colpa di salvaguardare la propria vita,
mentre gli amici accettavano di sacrificare la propria, che li
spingeva ad accettare di essere volontari. Comunque i piloti tokkotai
erano convinti che i militari usa, dopo aver vinto la guerra, li
avrebbero uccisi tutti, tanto valeva morire da eroi. Ci furono lo
stesso casi di soldati che non si offrirono come volontari, ma a quel
punto era il comandante della base ad accettare per loro, non volendo
sfigurare davanti al loro superiore diretto. Alcuni soldati che si
rifiutarono di far parte dell'operazione tokkotai riuscirono a
sopravvivere.
Era
prassi che i figli dei politici importanti, di un ufficiale di alto
grado, di un uomo di affare potente o di un membro della famiglia
imperiale potessero offrirsi come volontari, ma non avrebbero mai
ricevuto l'ordine di partire in missione. Inoltre, entro un certo
limite (e fino ad un certo periodo), venivano esentati i primogeniti,
indipendentemente dallo status sociale, perché ai primogeniti era
demandato il compito di occuparsi dei genitori.
Oltre
al fervore patriottico e alla pressione cameratesca, un altro motivo
spingeva i “soldati studenti” ad accettare di diventare
“volontari”, erano gli incentivi ed indennizzi economici di cui
avrebbero usufruito i familiari dopo la loro morte “eroica”. Un
soldato che accettava di sacrificare la vita in battaglia riceveva la
promozione di 2 gradi immediatamente, con relativi benefici
economici.
Negli
scritti dei piloti tokkotai i riferimenti ai fiori di ciliegio che
cadono, come metafora della propria morte, sono continui.
I
genitori giapponesi erano terrorizzati dalla “akagami”, “carta
rossa”, la cartolina precetto. Non rispondere alla chiamata di leva
voleva dire essere uccisi dalla polizia militare. Capitava che le
madri dei piloti tokkotai, saputo l'incarico suicida del figlio, si
suicidassero addirittura prima della morte del figlio.
Nell'ultimo
capitolo di questa terza parte sono riportate le lettere e i diari di
5 piloti tokkotai, ma anche le loro letture di libri (per meglio
comprendere il loro alto grado di istruzione e auto consapevolezza),
oltre a numerose testimonianze sulla loro vita. L'analisi non è
limitata al periodo precedente la loro partenza in missione, ma parte
anche dal periodo scolastico. Questi diari erano sottoposti alla
censura militare, di cui gli stessi Piloti si lamentano, nonostante
ciò riuscirono a far pervenire i propri diari alle famiglie, anche
auto censurandosi.
I
nomi dei cinque piloti sono:
Sasaki
Hachiro
Hayashi
Tadao (non mori come pilota tokkotai, ma come pilota volontario di un
ricognitore)
Wada
Minoru (era un pilota di un “siluro umano”, morì soffocato
dentro il siluro per un'avaria. L'aria nel siluro durò 10 ore prima
di esaurirsi...)
Hayashi
Ichizo (era di religione cristiana e di una fervente famiglia
cristiana)
Nakao
Taketoku
Questo
capitolo non può in alcun modo essere riportato in nessuna misura,
deve essere letto totalmente.
La
quarta parte del saggio si occupa del nazionalismo e del patriottismo
giapponese.
Il
regime giapponese riuscì a creare il valore che chi moriva per
l'imperatore avrebbe meritato la glorificazione della sua anima. Con
la connessione tra i petali dei fiori di ciliegio e le anime dei
soldati morti lo Stato estetizzò l'obbligo del sacrificio,
sfruttando l'assenza del corpo nell'aldilà giapponese, aldilà
anch'esso vago.
Esistono
delle similitudini tra nazismo e fascismo giapponese, ma per i
tedeschi uccidere il nemico era prioritario, per i giapponesi divenne
il sacrificio dei soldati nipponici la priorità.
I
concetti di nazionalismo e patriottismo sono analizzati nell'ottica
degli scritti dei 5 piloti tokkotai.
I
piloti tokkotai non andarono incontro alla morte felici, né lo
fecero per l'imperatore. Erano patrioti, e il loro sacrificio era
attuato credendo che avrebbe portato alla nascita di un Giappone
nuovo. Ovviamente c'era anche il desiderio di difendere il Giappone,
e le proprie famiglie, dagli invasori statunitensi. Tutte queste
considerazioni dell'autrice sono basate sulla lettura di numerosi
diari (che dovevano essere compilati obbligatoriamente dai piloti
tokkotai).
Il
quarto capitolo è quello che ho trovato più difficile da leggere,
chi avesse conoscenze di filosofia e sociologia non incorrerà di
certo nelle stesse mie difficoltà.
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