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domenica 2 giugno 2013

Il mito dell'omogeneità giapponese, storia di Okinawa


TITOLO: Il mito dell'omogeneità giapponese, storia di Okinawa
AUTORE: Rosa Caroli
CASA EDITRICE: FrancoAngeli
PAGINE: 350
COSTO: 30 €
ANNO: 1999
FORMATO: 23 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788846418913
  
Questo saggio storico di Rosa Caroli è scritto benissimo e contiene un quantità enorme di dati ed informazioni, mai pesanti, ovviamente per chi è interessato al tema e alle letture del genere.
Per lungo tempo si affermò che la cultura Ryukyuana fosse una variante di quella giapponese, teoria che avallò l'invasione del 1609 fino all'annessione nipponica del 1879. Intorno al 1970, ma con anticipazioni (studi inascoltati) fin dal 1920, si fece largo l'idea che le isole Ryukyu non dovessero ai popoli nipponici la propria cultura, ma alle popolazioni cinesi.

La prima forma di governo delle Ryukyu risale intorno al X° secolo con la dinastia Tenson, che cedette il potere al primo re del regno delle Ryukyu, re Shunten, nel 1187. Durante il regno di Satto (1350-1395) giunsero gli emissari del primo imperatore cinese della dinastia Ming, Hongw, che chiese ai barbari di sottomettersi all'autorità imperiale celeste. La sottomissione inizio gli scambi commerciali ufficiali tra Cina e Ryukyu, facendo dell'arcipelago una stato tributario della Cina. Nel 1429 il primo regnante, Hashi, della dinastia Sho riunì le Ryukyu sotto un unico regno. Quindi si recò dall'imperatore cinese per farsi riconoscere regnante, negli annali cinesi fu investito con il cognome di Sho e fu registrato come “re delle Liuqiu”.
Nonostante il buddismo fosse già stato introdotto il culto più praticato era quello autoctono delle Noro. La sorella del capo tribale (quindi anche del re) diventava sacerdotessa e si incaricava di mantenere i rapporti con l'aldilà. Nel 1606, dopo che Tokugawa divenne shogun, venne richiesto dal feudo di Satsuma una formale sottomissione del regno delle Ryukyu. L'allora re Sho si rifiutò, e nel 1609 venne inviata una spedizione militare che occupò le Ryukyu. Il re Sho venne condotto a Edo e trattenuto lontano dal suo regno fino al 1611, quando Sho si sottomise allo shogun e pose il suo regno sotto l'amministrazione del feudo di Satsuma. Durante la sua permanenza a Edo il re Sho fu trattato come il re di un paese straniero, ed anche in seguito, nonostante l'accettazione del controllo di Satsuma, il regno delle isole Ryukyu mantenne lo status di paese straniero. In quanto il suo sovrano era investito della sua autorità dall'imperatore cinese. Inizio quindi, per circa 2 secoli e mezzo, la “duplice subordinazione” del regno delle Ryukyu. Il regno non faceva parte del Giappone, era riconosciuto dalla Cina e quindi era una nazione autonoma, ma era una sorta di possedimento privato di Satsuma. Il feudo di Satsuma permise ed incentivò questa ambiguità perché necessitava dei beni provenienti dalla Cina, tramite le Ryukyu (stato tributario), in un periodo di quasi totale chiusura del Giappone. Infatti le dinastie imperiali cinesi furono mantenute all'oscuro della sottomissione verso il Giappone, in modo da poter continuare ad incamerare i beni cinesi.
Il re ryukyuano Sai On (1682-1761) fu il promotore di una politica di neutralità, leale verso la Cina, ma realistica verso i giapponesi che stanziavano nel proprio regno. Alla fine del 700 sulle isole Ryukyu iniziarono ad arrivare i primi occidentali, che chiedevano la stipula di contratti commerciali e l'apertura dei porti del regno. Il sovrano delle Ryukyu, su ordine dei Tokugawa, si rifiutò sempre di instaurare rapporti con gli occidentali. Finché arrivo il commodoro Perry nel 1853, che, sapendo della “doppia subordinazione” delle Ryukyu, voleva usare l'arcipelago come ponte per arrivare al Giappone. Con la restaurazione Meiji iniziò la fine del regno delle Ryukyu, man mano il Giappone rivendicava con sempre maggiore forza la sua sovranità sulle isole. Nel 1879 ci fu l'annessione, che venne portata avanti anche con richieste giuridiche internazionali, ma che fu conclusa con l'invasione delle Ryukyu, che non possedevano né armi né un esercito, con la motivazione della omogeneità razziale tra il Giappone e le Ryukyu. Le Ryukyu cambiarono così nome in Okinawa, diventando una provincia, il re Sho Tai fu obbligato a risiedere a Tokyo. Queste misure presero il nome di “Ryukyu shobun”, e sancirono la fine del regno dopo 7 secoli.
Una volta annesse le Ryukyu il governo di Tokyo iniziò ad assimilare culturalmente la popolazione, tramite 3 direttrici: La revisione del sistema educativo; la coscrizione obbligatoria; la riorganizzazione dell'ordine pubblico. I burocrati giapponesi inviati a Okinawa, oltre ad essere gli scarti dell'amministrazione imperiale, consideravano gli okinawani non giapponesi. In molti documenti dell'epoca gli okinawani vengono tacciati di scarsa devozione verso il tenno e il kokutai. Inoltre la popolazione non era considerata affidabile nel caso in cui si fosse dovuto difendere l'arcipelago da una guerra contro la Cina. Nella popolazione ryukyuana si svilupparono 2 correnti: quella (maggioritaria) detta “corrente degli ostinati” o bianchi, che sperava ad un ritorno alla Cina e considerava i giapponesi degli usurpatori, pur non opponendosi a loro militarmente. E la “corrente degli innovatori” o neri, che, accettando i cambiamenti moderni, sostenevano più o neo attivamente la causa nipponica. Con la sconfitta della Cina nella guerra contro il Giappone (1894-95) le speranze della “corrente degli ostinati” tramontarono, lasciando spazio alla rassegnazione. Una delle forme di protesta dei ryukyuani era quella di mantenere la classica acconciatura di capelli, la katakashira. La cultura dell'etica militare era sconosciuta alla popolazione di Okinawa, che fu sempre disarmata. Inoltre sotto il regno di Sho Shin (1477-1526) fu addirittura vietato per decreto reale l'atto di sacrificare la propria vita come atto di fedeltà verso il proprio capo. La diffidenza dei governanti Meji era così alta che, nonostante la coscrizione obbligatoria, vennero posti di vincoli fisici all'arruolamento, vincoli che tenevano fuori gran parte dei giovani okinawani. Questi vincoli decaddero nel 1907, quando, ormai, l'assimilazione tramite la scuola dei giovani era stata effettuata.
L'educazione scolastica riuscì ad indottrinare la popolazione verso principi a loro sconosciuti, l'unità razziale giapponese (di cui non avevano mai fatto parte), la devozione verso l'imperatore, il nazionalismo, il militarismo, la religione di stato shintoista.
Il dialetto Hogen, la lingua ryukyuana, fu vietato, e l'insegnamento del cinese fu sostituito col giapponese, che era sconosciuto alla quasi totalità della popolazione. L'indottrinamento diede i suoi frutti durante il secondo conflitto mondiale, quando gli okinawani pagarono un forte tributo di vite umane.
Il Giappone adottava verso gli abitanti di Okinawa la politica “della pace ad ogni costo”, con lo scopo di ridurre al minimo le frizioni con la classe dirigente e nobile ryukyuana. L'arcipelago non fu mai ricco, e la povertà continuò anche dopo l'annessione nipponica, il governo di Tokyo si limitava a foraggiare la classe dirigente per non avere noie. Dei 27 governatori di Okinawa dal 1879 al 1945 nessuno era dell'arcipelago, ed il numero dei funzionari pubblici era bassissimo.
Nel periodo fino alla fine del secondo conflitto mondiale l'inasprimento dell'ideologia nazionalista nipponica portò a creare il nesso tra diversità (i costumi di Okinawa) e dissenso, quindi gli okinawani era accusati di non sostenere il tenno e il kokutai, l'accusa contro di loro era quella di “hinohonteki” (non giapponesità). Il diverso trattamento verso Okinawa, rispetto al resto del Giappone, risaltò nel periodo successivo all'attacco di Pearl Harbour fino alla battaglia di Okinawa. Fin dal 1943, quando la vittoria della guerra lampo era fallita, Okinawa fu pesantemente fortificata, in previsione di uno sbarco americano. Per alcuni questa fu la prova che il governo di Tokyo aveva deciso di confinare il conflitto su terra in una zona sacrificabile del paese, sacrificabili anche gli okinawani. Infatti dal 1944 i familiari dei giapponesi furono “rimpatriati” in zone meno esposte, mentre gli okinawani venivano spostati in zone dove non intralciassero i militari giapponesi, zone, molto spesso, non rifornite o infestate dalla malaria (circa 3600 okinawani morirono per questo). Per ultimo, altro comportamento difforme rispetto ai giapponesi, gli okinawani, visto l'insufficienza delle truppe regolari, furono arruolati fuori dalle fasce di età consentite (meno di 15 ani per i maschi e meno di 17 per le femmine). Per difendere il sacro suolo nipponico questi soldati bambini (oppure vecchi ultra sessantenni) erano equipaggiati di bastoni di bambù.
I libri di testo attuali giapponesi sono superficiali su vari aspetti della seconda guerra mondiale, in particolare sulla battaglia di Okinawa. Ci si limita a scrivere che la popolazione oppose una “accesa resistenza” in una “terribile battaglia che durò circa 3 mesi” dove trovarono la morte “numerose persone” e l'esercito venne annientato. Nulla sui metodi di arruolamento della popolazione. Nulla sull'evacuazione della zona, che più che proteggere gli abitanti, mirava a ridurre le bocche da sfamare e di quanti non fossero arruolabili. Nulla sulle centinaia di okinawani giustiziati perché ritenute spie, solo per aver parlato in okinawaese. Nulla sui “suicidi di gruppo”, spesso forzati dai militari giapponesi. Nulla sui civili uccisi perché cercavano di arrendersi agli americani.
I militari giapponesi erano, per esempio, autorizzati ad uccidere i bambini di Okinawa, se col loro pianto rischiavano di farli scoprire. A questo punto i genitori avevano solo 2 possibilità per potersi salvare, uccidere il nemico oppure i propri figli.
Secondo dati giapponesi le vittime della battaglia di Okinawa furono 200 mila e 12 mila gli americani. Altri dati indicano solo trai civili di Okinawa tra i 150 mila e i 200 mila morti. Okinawa era stata sacrificata per rallentare per 3 mesi l'avanzata Usa.
Alla fine della battaglia di Okinawa l'arcipelago fu posto sotto amministrazione Usa. Il territorio era devastato, l'agricoltura azzerata, senza contare i feriti e le malattie. Sorse anche il problema dei rimpatriati okinawani dai territori invasi ed ora persi dai giapponesi. Gli Usa iniziarono la distribuzione di cibo e la ricostruzione dell'isola, nel contempo i militari americano requisirono 30000 acri fertili (un terzo delle terre coltivabili) per destinarle ad uso militare, ciò compromise la già precaria autosufficienza alimentare okinawana.
Quando il Giappone si arrese iniziò la smilitarizzazione della nazione nipponica, ma non per Okinawa, che vide l'occupazione Usa fino al 1972. Nel 1946 gli usa rinominarono l'arcipelago col nome originale, Ryukyu, e lo separarono dall'amministrazione giapponese. Verso il 1949, la mutata situazione geopolitica della regione, portò alla trasformazione di Okinawa in una base militare permanente contro l'espansione comunista. Gli Usa requisirono terreni sempre più vasti (furono 150 mila i contadini espropriati) e trasformarono Okinawa in una retrovia della guerra in Corea e poi in Vietnam. La popolazione iniziò a protestare contro la presenza americana, nacquero i primi movimenti popolari per il ritorno al Giappone (fukkikyo). Ma anche Tokyo ebbe dei vantaggi dalla militarizzazione di Okinawa, riuscì così a scaricare sull'arcipelago il grosso delle truppe Usa, con annessi proteste della popolazione. Evitò di avere sul suolo giapponese le basi nucleari americane, che vennero, invece, costruite ad Okinawa.
La legittimità internazionale della separazione dal Giappone di Okinawa poggiava su basi labili. L'articolo 3 del trattato di San Francisco sanciva la separazione di Okinawa. Nel 1962 Kennedy dichiarò che Okinawa sarebbe stata restituita al Giappone quando le garanzie per il mondo libero lo avrebbero permesso. Il governo di Tokyo non si oppose mai allo status quo, che manteneva su Okinawa e su i suoi abitanti solo una “sovranità residua”, che era sconosciuta nel diritto internazionale. I ryukyuani rimanevano cittadini giapponesi, ma l'unico diritto del Giappone, in base alla “sovranità residua” era che gli usa non avrebbero trasferito l'arcipelago ad un paese terzo. In base all'articolo 3 gli usa avrebbero dovuto presentare una richiesta di amministrazione per le Ryukyu all'Onu, col parere del Giappone, ma gli usa, in più di 2 decenni, non fecero mai tale richiesta. Mantenendo, così, l'amministrazione totale delle Ryukyu. Comunque, anche in questo caso, il Giappone non protestò mai ufficialmente con gli usa o con l'Onu. Sempre l'articolo 3 trasformava le Ryukyu e i suoi abitanti in una non-nazione, non veniva applicata né la costituzione giapponese né quella statunitense. Un tribunale ryukyuano poteva essere sostituito da uno Usa a discrezione degli americani. Questo capitava nei numerosi casi di crimini, anche gravi, commessi dai militari americani contro ryukyuani, fatto che generava un forte malcontento tra la popolazione contro gli americani. Il vertice di comando Usa nelle Ryukyu aveva il diritto di veto sull'attività dell'assemblea legislativa, emanare ordinanze, introdurre emendamenti, inoltre nominava il capo dell'esecutivo, i giudici, e poteva rimuovere i funzionari pubblici.
Nel 1951 fu costituita l'associazione per la promozione del ritorno al Giappone, che si batté per 20 anni. All'interno dell'associazione spiccava l'opera dell'associazione degli insegnanti di Okinawa. Man mano il movimento si spostava su posizioni antiamericano, a causa della frustrazione per non riuscire ad ottenere nessun riconoscimento alle proprie richieste.
E' curioso notare che durante l'annessione giapponese del 1879 i ryukyuani non usavano il nuovo nome Okinawa, per mantenere le proprie tradizioni. Così, durante l'occupazione Usa, che avevano rinominato Okinawa in Ryukyu, si continuava ad usare il nome Okinawa imposto dai giapponesi, per rimarcare la non annessione americana, perdendo così lo spirito d'indipendenza ryukyuano.
L'amministrazione americana considerava l'associazione per il ritorno al Giappone, specialmente quella degli insegnanti, uno strumento del comunismo internazionale, in particolare di Pechino.
Il dibattito sulla riunificazione di Okinawa verteva principalmente sulle basi militari Usa. Gli americani erano disposti a restituire l'amministrazione al Giappone mantenendo le basi, che erano la fonte primaria di reddito per i ryukyuani, ma il problema più grosso erano le basi militari nucleari e chimiche, vietate dalla costituzione giapponese. Ben presto si delineò uno scambio, la restituzione delle Ryukyu al Giappone in cambio del mantenimento delle basi usa, anche quelle nucleari. La firma nel 1971 a Washington che sanciva il ritorno di Okinawa al Giappone non fermò le proteste della popolazione, dato che fu confermato il carattere militare dell'arcipelago, la presenza di tutte le basi Usa, e la sostituzione con militari giapponesi di quelle poche unità americane rimpatriate. Nel 1970 a Koza ci furono gravi scontri tra la popolazione e le truppe Usa.
Il 15 maggio 1972 le Ryukyu tornarono ad essere territorio giapponese, ricambiando nome in Okinawa. L'insoddisfazione degli okinawani per gli accordi tra Usa e Giappone lasciò spazio alla felicità per la riunificazione e la fine dell'amministrazione americana, ma questa euforia durò poco. I problemi dovuti al sottosviluppo economico/industriale dell'arcipelago non tardarono a farsi sentire. Tokyo iniziò un piano decennale per lo sviluppo di Okinawa, che non era ai livelli economici del resto del Giappone. Già nel 1975 la situazione economica di Okinawa era peggiorata, più inflazione, più disoccupazione, aumento dei costi dei terreni, si era in pratica passati da un dominio economico Usa ad uno dei capitali giapponesi. Non erano state incentivate le poche industrie di Okinawa, che fallirono ben presto a causa della concorrenza di quelle della madrepatria, ed in più iniziò lo sfruttamento selvaggio dei siti ambientali, rimasti fino ad allora abbastanza integri. Inoltre le problematiche legate alle basi Usa continuavano come prima del 1972, i soprusi e le violenze dei militari americani non diminuirono. In più la riunificazione riportò i militari giapponesi sul suolo di Okinawa, riesumando i ricordi ancora freschi dei loro soprusi durante la battaglia di Okinawa. Il governo di Tokyo cercò di far rientrare gli okinawani all'interno dello spirito di rispetto verso l'imperatore, cosa che, invece, scatenò un forte dibattito (solo a Okinawa) sulle responsabilità di Hirohito sia sulla guerra che sulla battaglia di Okinawa. Durante la prima visita di un esponente della casa imperiale nel 1975, il principe ereditario Akihito dovette essere protetto da più di 300 saldati e subire numerose proteste da parte degli okinawani. Contro Akihito e la consorte Michiko fu addirittura lanciata una bomba molotov. Questo fatto avvenne durante la visita al monumento commemorativo di Himeyuri, eretto per le 200 studentesse, facenti parte del corpo di giovani volontarie, morte durante la battaglia di Okinawa. Di quel corpo di volontarie ben 40 erano ancora vive, di queste 40 solo 3 accettarono di incontrare la coppia imperiale, le altre si rifiutarono adducendo i legami tra Akihito ed Hirohito, il responsabile ultimo di quelle morti.
Nel 1979 vennero pubblicate, da fonte Usa, alcune lettere (documenti Sebald) intercorse tra MacArthur e la casa imperiale, cioè Hirohito, il cui contenuto ebbe l'effetto di approfondire il solco tra okinawani e yamatonchu (come gli okinawani chiamano i giapponesi). Nelle lettere si evinceva che Hirohito aveva caldeggiato la cessione di Okinawa agli usa (anche per 50 anni!) pur di salvare la sua figura e il sistema imperiale.
Nel 1987 venne annunciata la prima visita di Hirohito ad Okinawa (in assoluto la prima visita di un imperatore giapponese nell'arcipelago), nonostante l'appoggio delle autorità di Okinawa alla visita iniziarono le polemiche sulle responsabilità di Hirohito e le manifestazioni contro la sua venuta. Ad un mese dall'arrivo di Hirohito la casa imperiale annunciò che, a causa di un piccolo intervento chirurgico, l'imperatore sarebbe stato sostituito da Akihito. In fondo, togliendo i 27 anni di occupazione Usa, Okinawa era stata giapponese per neppure un secolo, forse troppo poco per infondere nella popolazione quel senso di fedeltà, almeno nelle manifestazioni pubbliche, che animava il resto dei giapponesi.
Il 1989 vide 2 eventi importanti per Okinawa e il Giappone. La morte di Hirohito e l'ascesa al trono di Akihito, non coinvolto nei fatti della seconda guerra mondiale. E la caduta del muro di Berlino, con la fine della guerra fredda, ciò fece sperare agli okinawani un forte ridimensionamento dello schieramento militare americano. Ma fino al 1996 nulla cambiò, Okinawa, col suo 0,6% del territorio nazionale, continuò ad ospitare il 75% della basi Usa in Giappone.
Il 4 settembre 1995 una studentessa dodicenne fu violentata da 3 militari americani. La violenza fu la classica goccia che fa traboccare il vaso. A seguito delle proteste della popolazione e della preoccupazione della autorità di Tokyo e Washington che l'ostilità degli okinawani raggiungesse il punto del non ritorno, nel 1996 fu firmato l'accordo per la prima riduzione di basi e militari Usa ad Okinawa.
Sempre nel 1995 il governatore di Okinawa Ota Masahide sollevò un contenzioso legale cn Tokyo sugli affitti ai proprietari dei terreni espropriati dagli americani. Il conflitto legale, cosa mai accaduta prima, fu portato fino all'Alta Corte giapponese, che diede torta a Ota e agli okinawani, ma fu la prima volta che Okinawa si Ribellava apertamente a Tokyo. Per una volta un politico di Okinawa non era accusabile di Jidaishugi, “servilismo ed adulazione dei potenti”. Caratteristica della classe dirigente okinawana (e ryukyuana prima) che nei secoli, e anche alla fine degli anni 90, li aveva contraddistinti.
Fino alla fine degli anni 90 Okinawa, nonostante i passi in avanti in economia, è rimasta la provincia giapponese meno ricca e col tasso di disoccupazione più alto.
Il mito della omogeneità giapponese, che pervade gli abitanti della madrepatria, genera discriminazione verso le minoranze, e gli okinawani, con la loro scarsa fedeltà alla casa imperiale, continuano a dimostrare la loro unicità ai giapponesi.


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