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domenica 2 giugno 2013

Generazione Otaku, uno studio della postmodernità


TITOLO: Generazione Otaku, uno studio della postmodernità
AUTORE: Hiroki Azuma
CASA EDITRICE: Jaca Book
PAGINE: 184
COSTO: 19€
ANNO: 2010
FORMATO: 23 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788816409200

Questa recensione sarà limitata dalle mie scarse conoscenze in materia di filosofia e sociologia. Probabilmente alcuni parte sono abbastanza ostiche per chi non ha studiato tali materie, specialmente filosofia moderna. Il saggio fu scritto nel 2001, descrive il mondo otaku degli anni 90, che non c'è più, rimane comunque molto interessante, almeno le parti che ho compreso.
La prefazione è di Marco Pellitteri, e alcune note al saggio sono sempre sue, l'edizione italiana è stata aggiornata e arricchita di spiegazioni aggiuntive per far meglio comprendere alcune problematiche tipicamente giapponesi. 
Questo è un trattato filosofico sulla postmodernità della sub cultura otaku, dove sub cultura non è da valutare come termine dispregiativo. Azuma non si focalizza sugli otaku giapponesi, ma sulla loro cultura, che ritiene essersi espansa sia oltre i manga e gli anime che oltre il Giappone. Azuma non analizza gli otaku come persone, ma gli interessi degli otaku: manga, anime, videogiochi, modellistica. E su come ne usufruiscono, con quale modalità.
Il termine otaku in Giappone ha un'accezione negativa, indica una maniacalità di settore, oltre ad una solitudine di fruizione.
Otaku” significa “presso la vostra casa”, ed è un modo di rivolgersi simile al nostro “voi”. Secondo gli esperti il termine otaku è nato quando i vari appassionati chiedevano di scambiare le proprie collezioni/informazioni: “Per favore, mostratemi la vostra (otaku) collezione”. Alla metà degli anni 80 un'autrice di fantascienza , Motoko Arai, scrisse un libro in cui si rivolgeva ai lettori con la formula otaku, la cosa fu gradita così tanto che i lettori iniziarono a interloquire tra di loro usando questa forma. Nel 1991 fu prodotto dallo Stdudio Gainax il film d'animazione “Otaku non video”, che aumento la diffusione del termine.
Il termine otaku fu veicolato anche da 2 autori della serie Macross, Shoji Kawamori e Haruhiko Mikimoto, che tra loro usavano questa forma. I fan della serie, per rispetto verso i loro autori preferiti, iniziarono ad imitarli. Infine il protagonista stesso di Macross si rivolgeva agli altri con la stessa deferenza della forma otaku.
Secondo Azuma la cultura otaku è l'emblema della società postmoderna giapponese dell'informazione, comprendendo meglio la cultura otaku si può capire dove la società è diretta.
Le generazioni otaku sono 3:
La prima è quella di chi nacque negli anni sessanta e hanno visto in tv la Corazzata spaziale Yamato o Gundam;
La seconda è della generazione nata negli anni 70, che nei primi anni 80 avevano 10 anni e poterono vivere il periodo più florido della cultura otaku;
La terza è nata negli anni 80 ed andava alla scuola media o al liceo quando venne trasmesso Evangelion.
Questo saggio è incentrato sugli otaku maschi della terza generazione. Gli effetti della cultura postmoderna (cioè della cultura successiva agli anni 60/70) si evidenziano nella cultura otaku giapponese, ma il fatto che i perni della cultura otaku siano stati accettati e divulgati anche al di fuori del Giappone indica chiaramente che questo fenomeno ha un effetto mondiale.
La cultura otaku di prima generazione (anni 60/70) nacque sulla scia dei fumetti e dei cartoni animati Usa, poi rielaborati da Osamu Tezuka in manga ed anime. Quindi il Giappone americanizzato dal consumismo statunitense degli anni 50/60 fece propri quei contenuti trasformandoli in nipponici, anche tramite manga ed anime. Vennero introdotti personaggi e storie appartenenti al folklore giapponese, generando una subcultura nuova. Subcultura che non tutti i giapponesi accettarono, per molti di loro vedere i simboli del Giappone contaminati da dalla fantascienza o dalla commedia non era accettabile. Se si accetta che questo immaginario ibrido (simboli nipponici + modernità) sia tipicamente giapponese, allora si è pronti per accettare la cultura otaku. La cultura otaku non si basa sulla tradizione, ma sul suo annientamento. Il trauma per la sconfitta nella seconda guerra mondiale ha avuto come effetto anche la cultura otaku. Nei decenni in senso di inferiorità verso i vincitori americani hanno spinto il Giappone ad affermarsi in svariati campi, anche in quello culturale di intrattenimento, quindi pure i manga i gli anime della cultura otaku. Di conseguenza su manga ed anime si generò un nuovo pseudo Giappone, con nuove tradizioni, nuovi eroi, nuovi nemici, in cui il paese del sol levante era il protagonista indiscusso. In pratica un ritorno strisciante alle tematiche nazionalistiche di destra.
Gli anni 80 furono un decennio di fittizio benessere, di finzione, però rassicurante (e rimpianto ancora da tutti). Ed è in questo decennio che si consolida la cultura otaku, un'accumulazione di informazioni e prodotti legati a manga, anime, e videogiochi, in pieno boom consumismo. Quando nel 1990 la bolla speculativa economica giapponese esplose, ed iniziò la crisi economica, anche gli altri problemi sociale vennero a galla (bullismo, enjo kosai, crisi della scuola), inoltre l'attentato col gas sarin alla metropolitano di Tokyo e il terremoto di Kobe gettarono la popolazione nello sconforto. Solo gli otaku rimanevano fuori da questa depressione nazionale, ancora immersi, per certi versi, nei loro anni 80.
Per gli otaku il periodo Edo è un'era particolarmente positiva, durante il decennio prospero degli anni 80 si voltarono al passato e considerarono il 1600 come un periodo altrettanto florido, pacifico e culturalmente progredito. Ovviamente non potevano prendere in considerazione il periodo Meji, il periodo prebellico e bellico, quindi rimaneva il periodo Edo. Ed in questo contesto di doppia valutazione positiva degli anni 80 e del periodo Edo, Azuma considera l'anime Seiba Marionetto Jei l'emblema del sentimento otaku.
La postmodernità della cultura otaku ha 2 caratteristiche particolari.
La prima sono le “opere derivate”. Cioè tutti quei prodotti costituenti reinterpretazioni di opere originali (manga, anime, videogiochi). Per la cultura otaku sono importanti non solo gli oggetti prodotti ufficialmente su licenza, ma anche quelli creati dai fan, di carattere prettamente amatoriale. Un otaku considera di pari valore sia l'originale che la copia, creando una terza categoria dell'oggetto, “il simulacro”. Inoltre gli stessi autori e produttori, consci di ciò, mettono in commercio materiale “derivato” dall'originale.
La seconda caratteristica è l'importanza che l'immaginario ha nella vita di un otaku. Per i critici gli otaku non distinguono la realtà dalla finzione. In realtà gli otaku preferiscono l'immaginario come identità e come chiave per rapportarsi col prossimo e la società. Creano dei gruppi omogenei e socializzano tra di loro.
A questo punto Azuma approfondisce il tema dei simulacri dei prodotti originali, cioè le opere derivate e i suoi prodotti derivati. Semplificando molto si può affermare che gli otaku hanno sostituito le “grandi narrazioni” (storie, trame, prodotti credenze, ideologie) con la passione per le “piccole narrazioni” (cioè oggetti e storie derivate dagli originali).
In particolare la cultura otaku ha creato il kyara-moe, quel consumo di prodotti legati ai sentimenti positivi/feticistici (moe) verso un personaggio (chara = kyara) di anime, manga, videogiochi.
Pare che il termine “moe” derivi dal verbo “moeru” (ardere, brillare) riguardo le aidoru (idols), con un significato che è “affetto bruciante per”.
L'otaku tralascia la vicenda narrata o i messaggi che la costituiscono, accontentandosi di consumare solo i dati, le informazioni legate alla struttura dell'opera.
In questo contesto Azuma utilizza come esempio concreto 2 anime robotici tipicamente otaku: Gundam (della prima generazione) versus Evangelion (della terza generazione).
Gli otaku di Gundamerano comunque interessati alla “grande narrazione” degli eventi di Gundam, oltre ad interessarsi ai particolari del mecha. Gli otaku di Evangelion si concentrano fin da subito su 3 elementi: ambientazione; il disegno dei personaggi; il moe legato ai personaggi.
I fan di Gundam si appassionano all'universo di Tomino, a tutte le vicende, particolarmente alla cronologia delle varie serie. I fan di Evangelion si appassionano ai personaggi, ai particolari, tralasciando la storia globale. Questa caratteristica vale anche per i creatori delle 2 serie. Dove ad una precisione cronologica di Tomino (in virtù delle numerose serie prodotte) si contrappone un certo caos narrativo di Anno (che per Evangelion ha creato una unica serie, la cui trama è stata modificata per il film), una non-narrazione formata da dati da consumare.
Per spiegare l'importanza del moe nel successo di un personaggio, anche in assenza di una ben che minima narrazione, Azuma analizza il personaggio di Digiko (De-Gi Kyaratto oppure Di Gi Charat). Un personaggio femminile creato per pubblicizzare prodotti di largo consumo e, dopo essere diventato “moe”, usato per una serie animata. Serie animata che non è più un qualcosa che ha un valore aggiunto, ma è dello stesso valore del modellino.
Quindi non è più la qualità della narrazione a rendere importante un personaggio, ma le sue caratteristiche moe, studiate a tavolino appositamente per la cultura otaku, che la “consumerà” acquistandone i prodotti.
Negli anni 90 la storia (grande narrazione) ha lasciato spazio ai personaggi (piccola narrazione) legati al moe, che in realtà significa solo un consumo di archivi di dati.
La cultura otaku ha influenzato anche i romanzi, con la nascita di un nuovo filone (inizialmente di giallistica e polizieschi) che si incentra più sulle caratteristiche moe dei personaggi che sulla trama del romanzo. Gli autori che hanno iniziato questo filone narrativo sono Ryusui Seiryoin, Natsuhiko Kyogoku, Hiroshi Mori.
Anche se la cultura otaku ha superato il binomio originale/copia creandosi i simulacri (cioè opere derivate da un originale), non vuol dire che qualsiasi simulacro sia considerato valido. Gli “archivi dati” permettono agli otaku di avere un mezzo per distinguere un simulacro (prodotto amatoriale) buono da uno scadente.
Prima una copia si valutava raffrontandola con l'originale, ora il simulacro (una copia modificata) la si raffronta con gli “archivi dati” di quella tipologia di prodotto.
Azuma approfondisce il tema dei giochi per PC con ragazze (gyaru ge o bishojo games), che hanno una valenza molto importante nella cultura otaku. In particolare analizza il sottogenere “novel game” (“romanzo gioco”). Questi novel game, oltre che su tematiche moe, fanno leva su una trama che spinge l'otaku (maschio) a piangere (in Giappone il pianto maschile non ha la valenza negativa che ha in occidente), la parte erotica può anche essere inesistente. Il loro successo risiede nell'attingere all'archivio dati della cultura otaku, utilizzando singoli aspetti moe e ricombinandoli tra loro.
Alcuni potrebbero contestare il profilo dell'otaku giapponese solitario e asociale, chiuso nel suo mondo immaginario, facendo notare che gli otaku sono attivi sul web (in forum e chat), nelle fiere tematiche, nella vendita e scambio di materiale. In realtà questa socializzazione è funzionale allo scambio e l'accumulo di dati. La frequentazione o l'amicizia possono essere interrotte appena si ottiene l'informazione voluta oppure, all'opposto, non la si possa ottenere. Consuetudine, questa (cioè lo sfruttamento delle amicizie virtuali), che si estesa in generale a tutte le frequentazioni nate su internet. La possibilità di “disconnettersi” in qualsiasi momento, quando si vuole troncare un rapporto col prossimo, non è né possibile né agevole con i rapporti diretti.
Tutte queste considerazioni fanno affermare ad Azuma che la cultura postmoderna otaku ha trasformato l'essere umano in un “animale accumuladati”.
Nell'ultimo capitolo Azuma evidenzia la similitudine tra come è strutturato il web e la cultura otaku, entrambi permettono l'accumulo dei dati e sono generati dallo stesso accumulo di dati.


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