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domenica 2 giugno 2013

Occidentalismi, la narrativa storica giapponese


TITOLO: Occidentalismi, la narrativa storica giapponese
AUTORE: Toshio Miyake
CASA EDITRICE: Cafoscarina
PAGINE: 245
COSTO: 18 €
ANNO: 2010
FORMATO: 20 cm X 13 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788875432829

Saggio interessante, ma un po' ostico da leggere, in alcuni tratti necessita di una cultura accademica di base, sia per i concetti espressi che per la terminologia. Forse l'autore avrebbe potuto fare uno sforzo maggiore per rendere meno astruso (in alcune parti) il suo libro, specialmente se avesse tradotto le numerose parti lasciate in inglese...
Perché il Giappone è considerato orientale? Perché l'Italia è considerata invece occidentale? E. soprattutto, che cosa accomuna e giustifica queste due designazioni fra le più naturali, e quindi scontate, del senso comune?”
Inizia con queste domande il saggio di Toshio Miyake, nato in Giappone ma cresciuto in Germania e Italia, dove vive attualmente, dopo aver fatto ritorno per un periodo in Giappone. Vista la sua biografia l'autore si è dovuto spesso confrontare con gli stereotipi nazionali riguardanti il Giappone (quando era in Italia) e l'Italia (quando era in Giappone), oltre agli stereotipi più in generale su “oriente” e “occidente”. Orientalismo (e auto orientalismo) e occidentalismo saranno lungamente analizzati in questo saggio.
Questo è un libro per cercare di capire come i giapponesi ci vedono e, di riflesso, come percepiscono se stessi.
Negli anni 80 in Giappone iniziò la popolarità dell'Italia, che, proseguita negli anni 90, dura tutt'ora, ma fino agli anni 80 l'Italia era apprezzata solo artisticamente, i giapponesi la consideravano il “paese più stupido del mondo”. L'autore cerca di capire cosa è cambiato nella percezione giapponese dell'Italia per modificare tanto un giudizio da essenzialmente negativo a totalmente positivo. Per rispondere a ciò si analizzeranno gli scritti di narrativa storica di Shiono Nanami, che hanno fatto conoscere l'Italia a milioni di giapponesi.
La tesi sostenuta in questo libro è che ogni discorso identitario nel Giappone moderno e contemporaneo sia configurato dal rapporto con una nozione smisurata e tutt'ora egemone di Occidente. Quindi, una chiave di lettura importante del successo dell'Italia in Giappone diventa il ruolo strategico assunto dalle rappresentazioni del “Bel Paese” nel mediare il difficile e ambiguo rapporto con la modernizzazione euro-americana”.
L'orientalismo (e più recentemente il tecno-orientalismo) esaltano uno o più aspetti del Giappone per poi deformarli come negativi, in chiave di superiorità occidentale.
Per esempio la geisha (orientalismo) è considerata un emblema di femminilità, ma anche una aberrazione in quanto succube e sottomessa all'uomo. Oppure il samurai (sempre orientalismo) è visto come un super uomo per lealtà e marzialità, ma anche un sub uomo per crudeltà e fanatismo. Infine il sarariman (tecno-orientalismo) è un esempio di efficienza e produttività, ma diventato un robot alienato esso stesso, che sacrifica la famiglia e la salute per il lavoro.
L'auto orientalismo è lo stesso meccanismo dell'orientalismo (o del tecno-orientalismo), ma, invece che attuato dagli occidentali, è messo in atto più o meno inconsapevolmente dagli stessi giapponesi.

Il primo capitolo, “Genealogia di seiyo (occidente) e toyo (oriente)”, analizza l'etimologia dei termini giapponesi per indicare oriente e occidente, che illustra come il Giappone per identificarsi sia passato dalla posizione sino centrica a quello euro centrica.
In questo capitolo è presente anche una interessante descrizione etimologica (comprensiva anche di kanji) sui termini yamato e nippon. Cercherò di illustrarla brevemente, ma la mancanza degli ideogrammi ne ridurrà la sensatezza. I cinesi (periodo Han 25-220 d.C.) chiamarono il Giappone “wo” (in giapponese “wa”, yamato), “persona dalla statura bassa” o ”nano”, che divenne “woguo” (in giapponese “wakoku”), cioè “Paese dei nani”. I giapponesi in seguito iniziarono a definirsi “yamato”, in quanto il carattere “wa” di nano era omofono al “wa” di armonia. A cui venne preposto il carattere “grande”, a formare la parola autoctona “ohoyamato”, che poteva significare sia “grande armonia” che “grande nano”. Intorno al VII e Viii secolo i giapponesi, che non riuscivano a far cambiare l'accezione cinese di “Paese dei nani” visto che l'impero cinese aveva un ruolo dominante, venne proposto un nome nazionale diverso, “nihon” o “nippon”, cioè “luogo di origine del sole” o “luogo dove sorge il sole”, anche in collegamento con la dea del sole Amaterasu.
Fino alla fine dell'era Tokugawa il Giappone era posto ad oriente da un'ottica sino centrica, ma col ritorno degli occidentali la prospettiva cambia in versione euro centrica. Gli stessi giapponesi di quel periodo (intorno al 1870) si definiscono come una civiltà semi primitiva, e mirano ad occidentalizzarsi nel sapere, nella tecnica e nella scienza, mantenendo, però, il proprio spirito nipponico, da qui il termine “wakon yosai”, “spirito giapponese, conoscenza occidentale”, coniato in era Meiji.

Il secondo capitolo, “L'Occidente moderno e i dilemmi dell'identità specchiata”, ricostruisce l'assunzione della geografia immaginaria euro-centrica, iniziata nella seconda metà del 800. Si illustra come il Giappone interiorizzò lo sguardo euro-centrico fino a condizionare il modo di vedere se stessi e gli altri.
Il Giappone è un ottimo esempio del potere egemonico dell'occidentalismo, e quindi dell'orientalismo o dell'auto-orientalismo, in quanto non fu mai colonizzato. Nonostante ciò la nostra visione occidentale del Giappone si è imposta, tanto da trasformare lo stesso paese del sol levante in una nazione imperialista e colonialista, ad immagine di Europa ed Usa.
Per il Giappone l'esistenza dell'occidente è indispensabile una propria identità nazionale, personale e collettiva.
Il Giappone fu l'unica nazione non euro-americana a portare a termine la modernizzazione, a combattere lo stesso occidente e ad assoggettare altre popolazioni asiatiche, creando una nuova posizione anti occidentale ma anche anti orientale.
Il Giappone per individuare se stesso ricorse allo sguardo dell'altro (l'occidente), che comportò la proiezione interna di una prospettiva altrui. Questo continuo rifarsi ed imitare l'occidente portò a numerose frustrazioni, nazionali ed individuali, in quanto l'Europa e gli Usa vedevano, nonostante gli sforzi giapponesi di modernizzarsi, nel Giappone sempre una nazione “non bianca”. Questo portò, verso l'inizio del 900, ad una inversione di tendenza, che vedeva nel ritorno alle origini giapponesi (nota come “kaiki”) il nuovo credo nazionale. Questo generò la “missione giapponese” di “liberare” gli altri paesi asiatici dalla dominazione occidentale (con il risultato di sostituire un colonizzatore bianco con uno asiatico), grazie alla nuova via giapponese, che univa modernizzazione alla tradizione. L'emblema di questa nuova missione giapponese fu la “Grande Sfera di Coprosperità dell'Asia Orientale”, “Daitoa Kyoeiken”.
La sconfitta bellica impose un nuovo occidentalismo, incentrato tutto sugli Usa, visti come nuovo modello da seguire. Di pari passo con il successo economico/industriale del dopo guerra nacque una neo retorica sulla unicità dell'identità giapponese, chiamata “Nihonjinron”, “Teorie sui giapponesi”. Un nuovo nazionalismo culturale e popolare che esalta i successi del Giappone in tutti i campi, dandone merito alle caratteristiche peculiari insite nella cultura e la tradizione giapponese, e nei giapponesi stessi. La nozioni più famose del “Nihonjinron” sono: “popolo omogeneo” (tan 'itsu minzoku), “amore passivo” (amae), “società verticale” (tate shakai), “gruppismo” (shudanshugi), “cultura della vergogna” (haji no bunka). Però anche questa volta la nuova visione del Giappone (elaborata in Giappone) nasce da un punto di vista occidentale, dato che è influenzata da autori statunitensi (come Ruth Benedict, “Il crisantemo e la spada”). Si ripropone la dualità di fine 800, dell'orientalismo euro-americano: modernità razionale (occidente) contrapposta a tradizione irrazionale (Giappone).

Il terzo capitolo, “L'Italia made in Japan”, in cui viene introdotto il ruolo sui generis delle rappresentazioni sull'Italia.
Fin dai primi contatti tra Italia e Giappone agli anni 80 del 900 i giapponesi ricevevano informazioni dell'Italia tramite studiosi di altre nazioni europee, praticamente mai da una fonte italiana, quindi “l'italianismo” fu sempre marginale. Il boom del made in Italy avviene nei primi anni 90, trasformando l'Italia da “paese più stupido del mondo” a paese più amato. Furono le riviste femminili di moda a generare questo boom, iniziò tutto con uno speciale sulla rivista Hanako (nell'aprile 1990) riguardo il tiramisù. Seguì il calcio (con la nascita della J-League e con l'arrivo in Italia di Hidetoshi Nakata), le auto, la moda, la lingua italiana (viene spiegato brevemente il successo di Girolamo Panzetta). E in quest'ottica di successo dell'Italianismo ha avuto un grande ruolo la scrittrice Shiono Nanami, con la sua narrativa storica sull'impero romano e il Rinascimento, ma anche sulla società contemporanea italiana. La fascinazione verso l'Italia nasce e si afferma stabilmente anche perché il Bel Paese è visto si come la culla dell'occidente, ma non è temuta come gli Usa o altre nazioni europee, in quanto è considerata arretrata rispetto al Giappone. Quindi un Italia con un passato superiore ed un presente inferiore, un paese occidentale ma “orientalizzato”. “L'altro” italiano è seducente perché permette al giapponese di vedere se stesso in posizione di superiorità, cosa che non capiterebbe con altri paesi occidentali.

Il quarto capitolo, “La narrativa storica di Shiono Nanami”, introduce la figura della scrittrice giapponese. Shiono Nanami, che vive in Italia da 40 anni, è l'autrice che in assoluto si è dedicata di più ad illustrare l'Italia ai giapponesi. Tutti i giapponesi che si sono appassionati all'Italia hanno letto i suoi libri, come “Romajin monogatari” (Storie dei romani), sull'Impero romano, che in Giappone ha venduto 9 milioni di copie.
Nel 2002 il Presidente Ciampi le conferì l'onorificenza di “Gran Ufficiale dell'Ordine al Merito”, per la sua opera di divulgazione della cultura italiana.
L'autore passa ad elencare le opere di Shiono e la sua vita.
Il genere letterario di Shiono è una via di mezzo tra il romanzo e il saggio storico, non è uno studio accademico storico, ma qualcosa di più informale e leggero, chiamato “rekishi shosetsu” (romanzo storico), che mischia storiografia, saggistica e narrazione letteraria.

Il quinto capitolo, “Dal Rinascimento all'Italia”, analizza le tematiche e lo stile degli scritti di Shiono. Tutta la parte sulle opere letterarie sarà maggiormente apprezzabile da chi avrà letto i libri di Shiono. C'è una parte di questo capitolo che illustra anche gli articoli da opinionista che Shiono a scritto sull'Italia (dagli ani 70 all'attualità). Nell'analisi di questi articoli si nota che Shiono descrive un paese esotico, con tutti gli stereotipi classici, quindi inferiore al Giappone, una nazione museale e decadente, con una popolazione allegra ma irrazionale. Quando poi Shiono descrive il sud Italia e la Sicilia, in particolare, si notano descrizioni da classismo razzista.

Il sesto capitolo, “Dall'antica Roma al Giappone”, è dedicato al ciclo romano “Romajin monogatari”, che portò alla definitiva consacrazione di Shiono. Secondo Shiono i giapponesi capirebbero meglio degli occidentali i romani dell'Impero Romano in quanto entrambi i popoli erano e sono politeisti. Le considerazioni dell'autore su questa opera di Shiono sono, comunque, molto più approfondite di quello che posso riportare io.

Il settimo capitolo, “Italianismo e Occidentalismo”, analizza la produzione saggistico/giornalistica più attenta ai temi di attualità geopolitica. In questa parte c'è una riabilitazione dell'Italia, da paese arretrato a paese esemplare, in concomitanza delle missioni militari italiane nel mondo, dove il Giappone, invece, non vi partecipa mai. Quindi l'Italia viene elogiata allo scopo di criticare la classe politica giapponese, e la stessa costituzione (pacifista) giapponese , che impediscono al Giappone di avere un ruolo attivo nel mondo.




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