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domenica 2 giugno 2013

Memoria e rimozione, i crimini di guerra del Giappone e dell'Italia


TITOLO: Memoria e rimozione, i crimini di guerra del Giappone e dell'Italia
AUTORE: vari
CASA EDITRICE: Viella
PAGINE: 217
COSTO: 24 €
ANNO: 2010
FORMATO: 21 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788883344121

Il presente saggio affronta anche i crimini di guerra italiani, io riporterò solo la parte riguardante il Giappone, ed è formato da nove diversi contributi di sette studiosi giapponesi e di due italiani.
L'introduzione al libro inizia con questa frase: “Quanti anni sono necessari a una società, a un paese, per capire e fermarsi a riflettere sugli aspetti più laceranti del passato?”... “Poiché ci sono due modi di negare la verità dei fatti: nascondendola oppure inventando una verità alternativa”.
In Giappone coloro i quali si sono spesi ed esposti per difendere le vittime della guerra, ed alcuni sono fra gli autori di questo saggio, hanno trovato ostacoli ed una totale chiusura da parte delle autorità nipponiche. La pubblica opinione è poco informata sui crimini di guerra nipponici, specialmente perché i libri di scuola non trattano mai l'argomento. Quindi nessuna delle nuove generazioni che si sono susseguite in questi decenni ha potuto sapere cosa fece il Giappone imperiale prima e durante la guerra.
Ken Ishida affronta la seguente tematica: “Il problema dei crimini di guerra in Giappone e in Italia, tre punti di vista comparati”.
Il primo punto di osservazione tra Italia e Giappone riguarda la tipologia dell'espansionismo coloniale, il Giappone si considerava il “fratello maggiore” dei vicini asiatici, e pretendeva che questi accettassero di buon grado la sua dominazione. Quando ciò non capitava si sentivano autorizzati (e “offesi”) ad usare il pugno di ferro per schiacciare qualsiasi rivolta. L'Italia soffriva di senso d'inferiorità verso le altre potenze coloniali, quindi ogni opposizione causava una reazione violenta.
Il secondo punto riguarda come gli intellettuali italiani e giapponesi negli anni 30 giustificarono e appoggiarono le guerre d'aggressione. La differenza sostanziale tra i due paesi si sviluppa quando in Italia nasce un movimento nazionale antifascista, mentre in Giappone no. E poi nel dopo guerra quando gli intellettuali italiani si rifacevano quasi tutti ad una ideologia antifascista, mentre non avvenne lo stesso per quelli nipponici.
Il terzo punto riguarda il perché i due paesi, dopo la fine dei rispettivi regimi, non iniziarono i processi contro i criminali di guerra, cosa fatta dai tedeschi. I funzionari epurati dai rispettivi ministeri della giustizia furono pochi, quindi gli eventuali istruttori dei processi erano i medesimi che fino a poco prima opprimevano la libertà. Alle nazioni vincitrici della guerra faceva comodo non enfatizzare le colpe dei nuovi alleati anticomunisti. In Italia vennero perseguiti più partigiani che si fecero giustizia da soli che gerarchi fascisti o semplici iscritti al partito fascista.
Infine ci furono due fatti che aiutarono l'auto assoluzione delle due nazioni, l'Italia partecipò alla lotta contro il regime fascista e contro i tedeschi, il Giappone subì il bombardamento atomico, facendo nascere l'idea di essere statti essi stessi “vittime della guerra”.

Tokushi Kasaharo si sofferma sul massacro di Nanchino e, soprattutto, sul negazionismo politico giapponese, anche attuale. L'autore spiega brevemente, ma in maniera esauriente, cosa accadde a Nanchino e di quali tipi di crimini si macchiarono i militari giapponesi. Quindi inizia ad analizzare i motivi per i quali questa vicenda storica non è conosciuta dalla popolazione giapponese.
Che sono:
a) Il tentativo da parte di esponenti del LPD di rimuovere o minimizzare i riferimenti storici nei testi scolastici. In particolare degli esponenti degli esponenti del LPD che sono figli, nipoti o pronipoti di criminali di guerra o esponenti del regime fascista. Questi esponenti politici (Shinzo Abe, Takeo Hiranuma, Taro Aso, Nobutaka Mavhimura, Masahiro Komura, Yasuo Fukuda, Kunio Hatoyama, Yukio Hatoyama, Hirofumi Nakasone, in gran parte del LPD ma anche del PD) svolgono la propria opera revisionista non solo sui manuali scolastici, che alla fine hanno mantenuto un minimo di veridicità storica, ma anche sui mass media.
b) Più di 40 ex membri della polizia segreta Tokko del regime imperiale fascista, dopo la guerra divennero parlamentari e molti altri occuparono alti incarichi presso la polizia e l'agenzia di difesa nazionale.
c) L'esistenza di gruppi che palesemente si ripropongono la revisione storica su Nanchino, ma non solo, come i gruppi “Gruppo dei Giovani Deputati che Pensano al Futuro del Giappone e all'Insegnamento della storia”, e la “Commissione per l'esame della storia. Queste organizzazioni, assieme alla Japan Conference, riuscirono a far fallire la “Deliberazione per la riflessione e le scuse sulla guerra d'invasione”, promossa nl 1995 dal primo ministro socialista Murayama. Infine hanno fondato “il movimento conservatore di base”, che si prefigge lo scopo di impedire una condanna del Giappone perché questo sarebbe “una profanazione dei caduti (eirei)”.
Hisashi Yano affronta il tema dei “Lavoratori forzati nelle colonie giapponesi in confronto con il caso tedesco”. L'autore precisa subito che il raffronto è difficile per la mancanza di dati e studi giapponesi rispetto alla mole di quelli tedeschi. Infatti in Germania i documenti riservati vengono resi pubblici dopo 30 anni, mentre in Giappone non ci sono documenti resi accessibili. In particolare l'autore affronta la differenza di trattamento tra i lavoratori deportati coreani, che erano ufficialmente facenti parte dell'impero nipponico, e quelli cinesi, che erano i nemici.

Aiko Kurasawa affronta il tema “Romusha, la memoria più crudele dell'occupazione giapponese in Indonesia”.
Romusha vuol dire “lavoratore manuale non specializzato”, ma nell'Asia sud orientale indicavano i lavoratori forzati dell'esercito giapponese. Circa 300 mila persone furono deportate da Giava come romusha, a cui vanno sommati quelli che “lavorarono” in loco come romusha. I romusha erano teoricamente arruolati come normali lavoratori e retribuiti, poi spediti in tutte le zone dove si svolgevano opere belliche, ma le condizioni di lavoro, le modalità di reclutamento e l'impossibilità di tornare a casa li rendevano degli schiavi. L'autore prende in esame i romusha che furono deportati in Siam per costruire la ferrovia tra la Thailandia e la Birmania, la cui costruzione iniziò nel dicembre del 1942 e terminò nell'ottobre del 1943. Furono impiegati 60 mila prigionieri di guerra e circa 100 mila romusha, morirono 15 mila prigionieri di guerra e almeno 50 mila romusha. L'autore racconta la storia di Sastro Dibuyo (e di altri suoi ex colleghi), un ferroviere, che pur non essendo un romusha (in quanto era un lavoratore specializzato) condivise la stessa loro storia, dall'inizio dei lavoro fino al suo rientro a casa.

Takao Matsumara si occupa de “l'unità 731 e la guerra batteriologica dell'esercito giapponese”. L'autore ripercorre brevemente, ma in maniera esaustiva, la storia delle varie Unità 731, degli esperimenti in Cina su esseri umani, dell'uso in Cina di armi batteriologiche sulla popolazione, sul patto tra MacArthur e Ishii (il creatore dell'Unità 731) che permise a tutti i membri delle Unità 731 di non essere processati in cambio dei dati scientifici su quegli atroci esperimenti “sul campo”. Infine Takao Matsumara ci informa sui processi degli ultimi 15 anni intentati dalle vittime cinesi di quegli esperimenti contro lo Stato giapponese, che pur essendo tutte state rigettate dai giudici, hanno obbligato gli stessi giudici giapponesi ad ammettere i fatti 8crimini) accaduti.

Nel contributo di Guido Samarani, dal titolo “Il massacro di Nanchino e la guerra di resistenza cinese (1937-1945)”, si evidenziano alcuni elementi relativi al massacro di Nanchino (nella prima parte) e altri più generali sulla resistenza cinese all'invasione giapponese (seconda parte).

Il contributo di Rosa Caroli (autrice di ottimi saggi storici sul Giappone) s'intitola “Storia e storiografia in Giappone, dai crimini di guerra ai criminali di guerra”.
Inizialmente l'autrice analizza la differenza tra il colonialismo italiano (e occidentale), indirizzato verso paesi lontani e considerati razzisticamente inferiori, e quello nipponico, rivolto contro paesi che li stessi giapponesi chiamavano “fratelli”, che nel caso della Cina era stata l'esempio culturale da seguire fino ad allora. Il Giappone si pose come il “fratello maggiore” che cercava di “liberare” questi paesi dalla dominazione bianca, ovviamente per sostituirla con la propria, ma in seguito le fratture con gli altri popoli asiatici non tardarono ad arrivare. Per primo con i crimini di guerra di cui il Giappone si macchiò, crimini non conosciuti dalla stessa popolazione giapponese. Come esempio più lampante di questa ignoranza si può portare la commemorazione del 15 agosto per la fine della guerra, che è divenuto un lutto nazionale per le vittime (atomiche) giapponesi, senza nessuna considerazione per le vittime causate dal Giappone. La sconfitta giapponese può considerarsi totale, in quanto non ci fu nessun gruppo di resistenza interno (a differenza dell'Italia, aggiungo io). La guerra fu appoggiata da tutta la popolazione, infatti al momento della resa c'erano solo 2500 prigionieri politici in carcere. A ciò si sommò la volontà dell'occupante/alleato americano a far passare in secondo piano il più possibile le responsabilità nipponiche (collettive e personali). In questo contesto va apprezzata l'opera antirevisionista di Kasahara Tokushi, presente anche in questo saggio, che ha impedito che in Giappone le associazioni “Atarashii rekishi kyokasho o tsurukai” (Associazione per la revisione dei libri di testo) e “Jiyushugi shikan kenkyukai” (Gruppo di ricerca per una concezione liberale della storia) cancellassero dai libri di storia i pur minimi accenni alle colpe nipponiche. Prima del 1996, anno di fondazione delle due associazioni, c'erano state altre dichiarazioni di carattere revisionistico, ma erano iniziative isolate. Queste due associazioni, invece, portarono (e portano) avanti una strategia più articolata, usando mezzi diversificati (tv, giornali, saggi, letteratura, film, manga) e indirizzandoli anche ai giovani, inoltre utilizzano toni accesi e osano ciò che fino ad allora nessuno prima aveva tentato di fare.
Tutti gli studiosi giapponesi che hanno scritto su questo saggio hanno il merito di essersi opposti, oltre al revisionismo storico, all'oblio dei crimini commessi, in modo che le nuove generazioni possano avere una possibilità di sapere la verità. Questi studiosi hanno anche contrastato il tentativo di tranquillizzare la coscienza collettiva giapponese portata avanti creando una storia di cui andare fieri. Questi studi sono importanti, oltre che per impedire il revisionismo storico, per cercare di capire come l'esercito giapponese poté diventare tanto spietato. Infatti fino ai primi del 1900 l'esercito giapponese era considerato un modello di rispetto dei diritti dei prigionieri di guerra. Fu la coercizione psicologica estesa a tutto il popolo, per svariati anni, a permettere che tali atti atroci venissero accettati. Era lo Stato giapponese a decidere per tutti ciò che fosse moralmente accettabile, non era più una questione di coscienza personale. L'inferiore doveva attenersi alle regole imposte dal superiore, e se ciò non succedeva qualsiasi punizione era moralmente lecita, in quanto approvata dallo Stato. Di seguito l'autrice cerca di individuare altre cause di questa degenerazione: l'ideologia militare, la convinzione di discendere da essere superiori, la “legge per la tutela dell'ordine pubblico” del 1925, le associazioni di riservisti, le violenze della polizia segreta Tokko, il sistema della abiura politica (tenko), la violenza in tutti i gradi dell'esercito. Secondo Rosa Caroli bisognerebbe indagare sui singoli diari dei soldati per capire meglio il perché essi perpetrarono tali atrocità. Va infine menzionato l'impegno degli studiosi e giuristi che, ancora oggi, si spendono per far ottenere i risarcimenti (e le scuse ufficiali) alle vittime dei crimini di guerra giapponesi, senza il loro impegno numerosi documenti e testimonianze sarebbero andate perdute.

Harumi Watanabe nel suo contributo dal titolo “Come condividere in modo razionale la memoria dei fatti storici, considerazioni sul massacro di Nanchino”, analizza i processi intentati negli anni 90 dalle vittime dei crimini di guerra giapponesi, e le tesi specifiche dei negazionisti durante questi processi. In particolare si sofferma sul processo di una vittima del massacro di Nanchino, e sul processo portato avanti dal professore Ienaga contro il ministero della pubblica istruzione che voleva censurare un suo libro scolastico, che parlava esplicitamente dei crimini giapponesi a Nanchin (processo poi vinto da Ienaga).

L'ultimo intervento (riguardante il Giappone) è di Hiroshi Oyama, s'intitola “Responsabilità di guerra e coscienza dei giapponesi”, e si chiede perché i giapponesi non riescono ad affrontare il proprio passato. Il Giappone si convinse della propria superiorità verso gli altri paesi, prima gli asiatici e poi verso quelli occidentali, coltivando il disprezzo per l'inferiorità di questi popoli non eletti. La sconfitta della seconda guerra mondiale ha distrutto la sua superiorità, ma solo dall'esterno, non hanno mai superato quella presunzione di superiorità verso gli altri paesi asiatici. Il successo economico e industriale del dopo guerra ha fatto rinascere quel sentimento (mai scomparso) di superiorità. Di conseguenza i giapponesi trovano inconcepibile ed umiliante scusarsi e risarcire i paesi occupati e le sue vittime. Da qui nasce il tentativo di glorificare il passato, e il revisionismo storico si diffonde, additando di “autolesionismo storico” chi cerca di raccontare la storia nei suoi giusti termini.
Quando il revisionismo storico incontra il nazionalismo degli anni 90 si ottiene una chiusura totale verso le rivendicazioni delle vittime dei crimini di guerra. Un altro fattore è dato dalla tendenza che i giapponesi hanno a reagire emotivamente ai problemi politici. Per esempio le visite dell'ex premier Koizumi al santuario di Yasukuni aumentavano la sua popolarità interna, ma indebolivano l'immagine del Giappone all'estero. I giapponesi appoggiavano le visite di Koizumi senza riflettere sui danni che questo portava alla politica estera giapponese.
L'ultimo fattore è dato dal fatto che la maggioranza dei giapponesi è totalmente ignorante della sua storia recente.
Nell'ultima parte Hiroshi Oyama si chiede cosa debba fare il Giappone per superare il suo revisionismo storico e affrontare il proprio passato, semplificando:
  • eliminare il disprezzo verso gli altri paesi asiatici
  • affrontare il passato per non mettere a rischio il futuro
  • comprendere che accettare le proprie colpe e chiedere scusa fa parte dell'idea di democrazia
  • chiedere scusa e risarcire i paesi e le vittime senza aspettare richieste dai diretti interessati
  • combattere ed isolare i revisionisti storici


5 commenti:

  1. grazie per la sua riflessione... sto svolgendo una ricerca che tratta della diffusione nel mercato web di cartoni animati giapponesi in Italia con disastrose conseguenze per le giovanissime generazioni di migranti cinesi, divorate nel corpo da questi modelli di donne rappresentate magre e succinte... i manga , i pokemon. Sono una mediatrice culturale, lavoro in contesti di migrazione, stavo perdendo una ragazza per anoressia stimolata e nutrita da questi videogiochi .... Sarei interessata a conoscere le case di distribuzione di questi cartoni animati e qual'è la classe dirigente di medici, educatori, sociologi in Italia che ha favorito
    questo ingresso. Grazie comunque, anche se non mi può rispondere

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    1. Mi perdoni, ma intanto non ho capito il nesso tra il saggio storico che ha commentato e la tematica che la interessa.
      Poi non capisco la seconda questione, ricercare chi ha permesso cosa?! O_o
      Non siamo più in una dittatura, l'autoarchia è finita da qualche decennio...
      Mi pare che lei facia un po' di confusione, se deve fare una ricerca e non conosce la differenza tra i manga, anime e i videogiochi, citando i Pokemon, forse è meglio che cerchi tra i titoli dell'indice della saggistica che ho qui sul blog. Mi pare che metta assieme cose differenti tutte in un calderone O_o

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  2. Inoltre .... investimenti di banche siciliane nel mercato delle carpe giapponesi per ripulire il denaro che viene dall'illecito ingresso di questa ed altra merce nipponica,
    grazie

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    1. Mi sta prendendo in giro? >_<
      Il nesso con l'anoressia e i personaggi femminili di manga, anime e videogiochi? O_o
      Per cortesia, se è uno scherzo non continui, entrambi penso si abbia di meglio da fare...

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  3. carpe diem. Papaveri e papi, la donna cannolo, una lacrima sul visto.

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