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venerdì 8 ottobre 2021

Il bambino come comunicazione


TITOLO: Il bambino come comunicazione
AUTORE: autori vari
CASA EDITRICE: Franco Angeli
PAGINE: 290
COSTO: 5 
ANNO: 1982
FORMATO: 22 cm x 14 cm
REPERIBILITA': on line
CODICE ISBN: 


Questa mia ricerca sulla saggistica da fine anni 70 ai primi anni 90, con accenni più o meno corposi sull'animazione nipponica, ha lo scopo di capire quanto e come gli esperti, giornalisti e addetti al settore televisivo vedevano i cartoni animati giapponesi e i suoi eroi.
Volendo giustificare un po' i giornalisti della carta stampata per le tante bufale che scrivevano, spesso con una certa faziosità, si potrebbe argomentare che questi dovevano mandare in stampa la notizia il giorno dopo, non potevano(?) stare troppo ad informarsi (avrebbero forse dovuto...).
Diverso è il discorso per la saggistica, un libro impieghi mesi a scriverlo, hai delle scadenze, ma di certo non così pressanti come quelle dei quotidiani.
Riuscirono questi saggisti a far meglio?
Direi quasi sempre no, ma con qualche eccezione.
Ad oggi ho scovato ben 30 titoli che toccarono, più o meno ampliamente, la tematica degli anime, mai avrei pensato di arrivare a tre decine:



Questo libro contiene i contributi di numerosi esperti (l'indice è a fine post), tre di questi toccano l'argomento "cartoni animati giapponesi", ma anche la televisione e i fumetti per bambini/ragazzi, che si possono considerare tematiche che ai tempi andavano a braccetto.


Quello che più mi ha impressionato, negativamente, è lo scritto di Paola De Benedetti, che, in quanto responsabile dei programmi per ragazzi della Rete 2 Rai (credo ancora in carica al momento dell'uscita del libro), pensavo conoscesse meglio certi argomenti, essendo stata tra i protagonisti della messa in onda di "Atlas Ufo Robot".
Alla fine sono solo 7 pagine, ma ho notato un certo numero di convinzioni a mio avviso errate, poi alla fine del suo contributo l'autrice si salva citando ampiamente Gianno Rodari   ^_^
L'idea che le case di produzioni nipponiche producessero anime per il mercato estero, seppur con quello interno come primario, era errata. 
Gli anime erano un prodotto nipponico per giapponesi, mi riferisco alle serie animate che vedemmo noi dal 1978 al 1983, poi, una volta prodotti o giacenti in magazzino da anni, se qualcuno glieli comprava mica si opponevano.
Non era vero che solo gli anime di fantascienza/robotici fossero produzioni originali nipponiche, e poi neppure più di tanto secondo l'autrice, forse "Candy Candy" non fu un prodotto totalmente originale per noi occidentali?
Neppure vero che gli autori nipponici evitassero "qualsiasi connotazione troppo nazionale", basta pensare agli anime ambientati nel medioevo giapponese con i ninja come protagonisti, oppure a quelle puntate delle serie robotiche dove si vedevano usanze assolutamente autoctone, compresi più episodi pure di "Atlas Ufo Robot"!
Non ho capito, poi, il tirare in ballo per ben due volte in poche righe la questione dei diritti d'autore, perché la Disney pagò i diritti agli eredi di Collodi per Pinocchio o per gli altri film che sulle fiabe?
E perché gli autori giapponesi avrebbero dovuto pagare i diritti d'autore a qualcuno per opere che erano, nella quasi totalità, assolutamente originali?


Perché la Rai non mandava in onda programmi educativi?
Perché tanto non li avrebbe visti nessuno...
Giusto, ma la Rai, allora come oggi, era ed è un servizio pubblico, non avrebbe dovuto pensare agli ascolti, quindi, certi programmi, se diseducativi, non avrebbe dovuto trasmetterli.
Al contrario, visto che Heidi e Goldrake non furono diseducativi, fecero il loro dovere di servizio pubblico e in più guadagnarono soldini ed audience. 
La frase secondo cui negli anime non ci fosse corrispondenza con la realtà della vita, niente conflitti sociali, sesso, denaro , l'apprendimento e la fatica, dimostra che, ella non guardava ciò che mandava in onda o che mandavano in onda le tv locali concorrenti.
Sia chiaro, cosa del tutto legittima, ma se si scrive su un libro un'affermazione del genere nel 1982, qualcuno prima o poi la nota   :]

Visto che si fa riferimento all'indagine Mesomark assieme al Professor Carli, metto i due link dove la si può leggere:




Salvata in corner con Rodari   ^_^


Il secondo contributo tocca appena il tema animazione giapponese, anche perché è concentrato sui fumetti per bambini/ragazzi, ma è comunque utile leggerlo, anche perché assai corto  :]



Molto interessante l'analisi su chi analizzava il livello di dannosità dei programmi per bambini, che forse avrebbero dovuto leggere numerosi autori di questi scritti   ^_^ 
Gli anime sono citati in quanto "cartoni fantascientifici" o "cartoons made in japan", ma la cosa comica è che viene spiegato che pretendere dai cartoni animati (anche giapponesi) che veicolassero teorici positivi insegnamenti che il resto dei programmi televisivi non illustrava, aveva poco senso.
Solo ipocrisia, aggiungerei io.
Il finale ammazza qualsiasi teoria secondo la quale, a forza di guardare animazione giapponese, saremo diventati sovranisti, nazionalisti, novaxxisti e citofonatori ai drogati non amici... ah no... avevano ragione loro   ^_^

 

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