TITOLO: Il bambino e la televisione, a cinque anni solo con Goldrake
AUTORE: Liliane Lurcat
CASA EDITRICE: Armando Editore
PAGINE: 103
COSTO: 7€
ANNO: 1985
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Tramite la casa editrice
CODICE ISBN:
Lo
studio della Lurcat si basa su delle interviste a 329 bambini, anche a
cartone in corso di programmazione, le domande furono fatte a gruppi
di numero variabile: 100 bambini per un tema, 70 per un altra
tematica.
I
vari aspetti dello studio sono divisi per capitolo, si parte con
Goldorak, cioè Goldrake, nei primi tre capitoli, per passare al
rapporto tra bimbo e televisione nei capitoli 5 e 6, per tornare
parzialmente ai cartoni animati nel sesto ed ultimo capitolo.
Cronologicamente
questa è stata la quarta pubblicazione saggistica in italiano che
affrontava il successo televisivo, e non solo, di Goldrake. Prima di
questo saggio del 1985 ne vennero pubblicati altri tre, che,
comunque, toccano l'argomento in maniera parziale o indiretta, mentre
questo è più focalizzato su Goldrake:
A
dire il vero lo studio della Lurcat fu pubblicato in Francia nel
1981, ergo sarebbe il primo studio un po' scientifico, anche se,
sinceramente, e considerando che non sono dotato degli strumenti
conoscitivi per valutarne appieno il valore, porre delle domande su
un cartone animato a dei bimbi e bimbe di 5 e 6 anni, ed in base alle
risposte elucubrare teorie socio-psicologiche, mi sembra un po'
azzardato.
Forse
avrebbe potuto estendere lo studio anche ai bambini/e più grandi,
probabilmente voleva valutare l'influenza di Goldrake sui soggetti
più influenzabili. Personalmente non posso ritrovarmi nelle risposte
dei piccoli intervistati, in quanto alla prima puntata di Goldrake trasmessa in
Italia avevo già ben 9 anni.
Altro
particolare che non mi fa identificare nei bimbi francesi, oltre
all'età, è che io non guardavo Goldrake “da solo”, come recita
il sottotitolo, visto l'orario di trasmissione lo vedevo assieme a
mia nonna, e spesso a mia madre, mio padre si dedicava all'informazione.
L'autrice non si scaglia contro Goldrake, non certo ai livelli dei
giornalisti italiani, e alla fine le conclusioni sono quasi ovvie:
attenzione a cosa vedono in tv i bambini più piccoli.
Inoltre
la studiosa nota che il messaggio degli autori di Goldrake non è ben
compreso dai bimbi e dalle bimbe.
Bella forza, aggiungo io, il target
della serie non era quello dei 5/6 anni!
Probabilmente
lei non conosceva le dinamiche delle case di produzione giapponesi,
la divisione degli anime per genere e per target di età, oltre che
per sesso.
Secondo
me, mancandole questa informazione base, gran parte delle sue
considerazioni sono quasi inutili.
Al
saggio è presente una introduzione italiana, a cura di M. Petroni,
dal titolo “La lettura e la visione”, una visione un po' da
vecchietto. Non che Petroni spari a palle incatenate contro Goldrake,
anzi, in una occasione forse gli fa quasi un complimento, ma scrive
guardando al passato.
Nella
prefazione, invece, dell'autrice, si spiegano per sommi capi i tre
temi che hanno portato a formulare il questionario:
Goldrake;
il
rapporto bimbi e televisione;
il
mondo culturale dei bimbi, per valutare quanto del loro immaginario
derivi dai programmi televisivi.
Nella
prefazione c'è, però, un'affermazione che mi ha lasciato parecchio
basito, probabilmente sarà solo un refuso di stampa, magari un
errore dell'edizione francese, poi tradotta in italiano:
Nel
1981, anno di pubblicazione del libro in Francia, Actarus ed il
suo robottone non avevano computo 10 anni di vita, neppure in
Giappone... e lei scrive “perlomeno da dieci anni”, quindi sono
più di dieci...
Sono
questi i piccoli particolari in cui, talvolta, i grandi studiosi
fanno brutte figure.
L'aver
concentrato lo studio solo su dei bimbi e bimbe così piccoli causa
degli equivoci nelle valutazioni. Come quando nella prefazione
l'autrice afferma che la figura di Goldrake non è ben definita come
soggetto: è un “qualche cosa”, essere e robot.
Per
me, che avevo 9 anni, Goldrake è sempre stato chiaramente un robot.
Cosa mai potesse pensare un bimbo/a di 5/6 anni, a cui la serie non
era indirizzata, non lo so proprio, ma a 5 anni ci si fa tante menate
per un cartone?
Nel
primo capitolo le domande ai bimbi/e hanno lo scopo di delineare un
ritratto di Goldrake:
Se
poi c'era una minoranza di rincitrulliti, per quanto lo si possa
essere alla scuola materna(...), che pensavano esistesse realmente e li
potesse attaccare, era colpa di Goldrake?
Nel
secondo capitolo le domande ai bimbi/e vertono sullo spettacolo
“Goldrake”.
Alcuni
bimbi/e erano certi che Goldrake non avrebbe potuto attaccarli, solo
perché era dentro la tv e lo schermo lo impediva.
Ok,
chi spiega a un bimbo di 5 anni il funzionamento di un televisore?
Ribadendo
che io non ho le basi per valutare lo studio dell'autrice, mi chiedo
come si possa fare congetture su risposte di questo tipo:
L'autrice
arriva alla conclusione che il messaggio originario dei produttori
della serie non viene percepito dai bimbi/e.
Per forza! Non è il
target originario della serie!
Il
terzo capitolo affronta le emozioni che Goldrake suscita nei bimbi/e:
paura, aggressione, amore, complicità.
Posso
immaginare che la lettura, nel 1985, di questo saggio da parte di un
giornalista italico avrà generato ulteriore timore verso gli anime.
Per fortuna che nel 1985 l'invasione dei “cartoni animati
giapponesi” era ormai terminata da un pezzo, ma se l'avessero
tradotto nel 1981...
Trovo che le risposte dei bimbi/e, anche a domande differenti, sono
sovente le medesime, tranne alcune eccezioni con risposte più acute
ed articolate. Ho avuto l'impressione che l'autrice valuti la stessa
risposta, identica ad altre, talvolta composta da una o due parole,
in base alla domanda che lei aveva fatto.
Quando,
invece, ci si trova davanti una bimba più loquace e sveglia, che
risponde in maniera più fantasiosa, parte l'analisi
socio-psico-infantile, addirittura sull'animismo!
Ad
un certo punto l'autrice fa una considerazione che mi sarebbe
piaciuto avesse spinto lei stessa, o altri successivi studiosi, a
verificare se le ipotesi sugli eventuali danni causati da Goldrake si
erano avverati nel tempo. Intervistare di nuovo gli stessi bimbi/e a
distanza di anni, magari più volte: 5 anni dopo, 10 anni dopo, 20
anni dopo.
Quanti
di questi 329 bimbi e bimbe diventarono dei disadattati a causa di
Goldrake?
Quanti
a causa, magari, della povertà della famiglia che non gli consentì
di studiare?
Quanti
a causa di ambienti violenti?
Etc
etc etc.
Col
quarto capitolo si sposta l'obbiettivo dai danni psicologici arrecati
da Goldrake, ai danni arrecati dalla fruizione dei programmi
televisivi.
Le
domande del quinto capitolo chiedono ai bimbi/e dove materialmente
siano i programmi e personaggi che vede in televisione.
Con
il sesto capitolo si torna parzialmente sull'argomento Goldrake, non
solo, anche Candy Candy e Albator, cioè Capitan Harlock. Il soggetto
non sono più i cartoni visti in tv, ma gli “album” riproducenti
fumetti, cartoni e sceneggiati trasmessi in televisione.
Non
è ben specificato se questi “album” siano di figurine o di
cartonati, pecca non da poco della traduzione italiana, probabilmente
ci si riferisce ai libri cartonati:
Nelle
conclusione finali la studiosa mette in guardia gli adulti sull'uso
non assistito della televisione per in bimbi più piccoli,
considerazioni logiche e corrette, che lette oggi paiono anche un po'
ovvie.
Se
qualcuno/a fosse interessato a reperire questo saggio d'epoca
consiglio di fare ciò che ho fatto io, dato che sul web non lo si
trova neppure usato, chiamare telefonicamente la casa editrice e
chiedere se vi spediscono (con un costo di 5€) in contrassegno il
libro. Ne hanno ancora alcune copie in magazzino, anche se è fuori
catalogo, quindi sul sito non risulta.
La quarta di copertina.
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