TITOLO: Hikikomori, adolescenti in volontaria reclusione
AUTORE: Carla Ricci
CASA EDITRICE: FrancoAngeli
PAGINE: 85
COSTO: 13€
ANNO: 2008
FORMATO: 23 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788846499998
Libro scritto da una psicologa e diretto ad altri psicologi, però la terminologia è abbastanza comprensibile anche per le persone “normali”, tranne per qualche raro termine tecnico.
A quanto pare Hikikomori è un fenomeno prettamente giapponese, coinvolge oltre un milione di giovani (per difetto, perchè molte famiglie si vergognano di ciò e non chiedono aiuto, se non dopo anni), non solo in età adolescenziale, anche persone adulte, fino ai 40 anni. La parola Hikikomori significa isolarsi, chiudersi, ritirarsi, dalla società e dalla famiglia. Il ragazzo smette di andare a scuola (o a lavoro), vive nella propria cameretta senza uscirne mai (o quasi mai), non ha neppure rapporti coi genitori, se non per farsi consegnare il cibo in stanza. Inverte il ciclo notte-giorno , legge moltissimo, usa internet, ma può anche rimanere quasi immobile per giorni.
Hikikomori non è quindi una malattia, ma un comportamento di difesa e di contestazione, che in seguito può sfociare in problemi psicologici, anche gravi, come il suicidio o la violenza familiare.
Il suicidio tra chi pratica Hikikomori è una esigua minoranza (rispetto al totale di 35000 casi di suicidio, 8000 fra i giovani, nel 2005 in Giappone), infatti la reazione di isolarsi volontariamente nella propria cameretta sarebbe un modo per contestare le regole della società giapponese e, di conseguenza, anche della famiglia.
La violenza, invece, capita più spesso, violenza del figlio nei confronti della madre. Scrivo del “figlio” perchè il 90% di chi sceglie di fare Hikikomori è maschio.
Hikikomori inizialmente è una contestazione totale portata all’estremo.
Il ragazzo che fa Hikikomori rifiuta l’opprimente concetto della società giapponese che dà per scontato l’essere degli studenti brillanti portati nello sport e, in seguito, dei lavoratori di successo ed instancabili. Quindi alla fine il ragazzo contesta il padre e i suoi valori, legandosi alla madre.
Alcuni ragazzi non si rinchiudono completamente, ma lasciano tutte le decisioni alla madre, non escono senza di lei e le fanno decidere persino i vestiti da indossare.
Sembra che ci siano altri 2 comportamenti di contestazione giovanile della società giapponese, sono i Neet e i Freeter. I Neet rifiutano il sistema sociale attraverso il “fare niente”, non studiano e non lavorano. I Freeter sono coloro che rifiutano un posto di lavoro fisso nella classica azienda giapponese, e vivono facendo lavori part-time. Nel saggio sono appena citati, senza approfondimenti.
Per non considerare questi comportamenti come totalmente alieni va ricordato il contesto, dove (semplificando) la società giapponese prevede per l’uomo lo studio in una importante università e poi l’assunzione in una grande azienda dove lavorerà dalle 8 fino alle 20, se non oltre. Per la donna un poco più di libertà, può lavorare, dopo essersi laureata, finché non nasce il primo figlio, poi la pressione della società la indurrà a licenziarsi. Ovviamente obbligo tassativo di sposarsi entro i 35 anni (specialmente per le donne), pena lo scandalo, la vergogna e la disapprovazione sociale.
Ad un occidentale sembra impossibile che una famiglia permetta ad un ragazzo di rinchiudersi nella propria cameretta abbandonando la scuola o il lavoro, ma oltre al discorso della “vergogna” i genitori inizialmente pensano che la cosa sarà di breve durata, inoltre in alcuni casi temono che Hikikomori possa tramutarsi in Sugaritsuki (quando il ragazzo fa Hikikomori fino alla morte) o in Toritsuki (quando il ragazzo diventa violento). Hikikomori è legato al sentimento dell’amae (si può trovare una spiegazione sull’amae nella recensione di un precedente libro), quindi è difficile per la famiglia intervenire tempestivamente. Hikikomori nascerebbe prevalentemente a scuola, quando il ragazzo inizia a non frequentare più le lezione a causa di ijime, il bullismo scolastico. Infatti i ragazzi Hikikomori sono tendenzialmente più timidi ed introversi dei compagni, quindi più facilmente finisco ad essere le vittime della classe. Ma ijime si crea anche nell’ambiente di lavoro degli adulti, per questo ne sono vittime anche i non adolescenti.
E’ un bel saggio scritto comprensibilmente e non pesante.
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