TITOLO: Il fascismo giapponese
AUTORE: Francesco Gatti
CASA EDITRICE: Cafoscarina
PAGINE: 302
COSTO: 16,5€
ANNO: 1997
FORMATO: 21 cm X 14
cm
REPERIBILITA':
Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788885613669
Il saggio risulta
molto interessante, anche se un pochino pesante da leggere, è
preferibile affrontarlo se si ha già qualche conoscenza sul periodo
storico trattato.
Il primo capitolo
da conto della situazione economica giapponese alla fine della prima
guerra mondiale, in particolare centrando l'attenzione sui 2 più
grandi zaibatsu di allora, la Mitsui e la Mitsubishi.
Il secondo
capitolo è sulla politica della classe dominante nel periodo che va
dal trattato di Versailles (1919) in poi. Trattato di Versailles che
deluse le aspettative del Giappone di venire riconosciuto come nuova
potenza coloniale. Tale frustrazione si ripercosse anche nella vita
politica, che, assieme alle prime proteste proletarie, vedeva
aumentare il caos sociale. In risposta a ciò iniziarono i primi
provvedimenti legislativi autoritari e le prime campagne governative
anti occidentali e nazionalistiche. Alla rabbia popolare, evocata e
utilizzata dal regime, nata dal trattato di Versailles si sommo
quella per il trattato di Washington del 1922.
La classe politica
dominante, compresi i capitalisti, spacciava per bene comune tutte
quelle idee che favorivano: coesione della società: rispetto per le
autorità e per l'imperatore, frugalità nei consumi, accettazione di
alti carichi di lavoro a fronte di retribuzioni minime, nazionalismo,
alte tassazioni, coscrizione militare obbligatoria, guerre.
Tutto ciò per
preservare intatto il kokutai, “Sistema nazionale”.
Il terzo capitolo
mette a fuoco le tensioni tra contadini affittuari e proprietari
terrieri, che fu un banco di prova decisivo per quello che iniziava a
configurarsi come un regime fascista. I contadini affittuari erano
vessati da affitti che superavano anche il 50% della produzione
agricola. I loro tentativi di riunirsi in associazioni politiche, per
rivendicare nuovi diritti e difendere gli esistenti, furono annullati
da vari fattori: la nascita delle associazioni di proprietari (che
non tolleravano la pur minima rivendicazione), la burocrazia, i
governatori e la polizia. Per ultima aveva sempre la meglio la
propaganda che spingeva all'armonia sociale e al consenso, valori
veicolati tramite la fedeltà verso l'imperatore. In Giappone avevano
un grande ruolo le associazione di riservisti, che erano al 80%
provenienti dalla campagne. La Teikoku Zaigo Gunjinkai (associazione
imperiale dei riservisti) esercitava la sua opera di “convincimento”
verso gli affittuari “ribelli”. Il regime riuscì a convincere i
contadini che tra di loro non esistevano classi (contadini –
affittuari – piccoli proprietari – grandi proprietari), e che
l'unica conflittualità era verso gli abitanti delle città, cioè
villaggi contro le città.
Il capitolo 4 si
addentra molto specificatamente sulla situazione del proletariato e
della classe media negli anni 20. In particolare sulla crescita
vertiginosa della popolazione urbana e dei tentativi della classe
operaia di organizzarsi in sindacati e movimenti politici, entrambi
quasi sempre sciolti dalla polizia.
Emblematica è la
nascita della Kyochokai, “Associazione per la collaborazione”,
che, pur riconoscendo i sindacati e i diritti dei lavoratori, si
prefiggeva di superare “il concetto degli incentivi materiali”
(cioè aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni di lavoro)
in favore di un etica del lavoro concepita come “consenso
spirituale”.
Nel 1925 fu varata
la legge sul suffragio universale, che in realtà era suffragio
generale maschile. Il diritto di voto fu esteso soltanto ai maschi
con età superiore ai 25 anni, residenti da almeno un anno nel
collegio elettorale e che non fossero indigenti. La legge permise
l'allargamento della base elettorale da 3 milioni a 15 milioni di
elettori, ma grazie a varie limitazioni si rendeva impossibile
l'elezione in parlamento di rappresentanti delle masse popolari.
Insieme al “suffragio universale” venne approvato, però, la
chian ijiho, “Legge per il mantenimento dell'ordine pubblico”,
che permetteva di perseguire penalmente tutti coloro che tentavano di
“alterare il kokutai”.
Il quinto capitolo
spiega la situazione economica da metà degli anni 20 fino alla
1937.Analizzando le numerosi crisi bancarie, che rafforzarono i 5
principali zaibatsu (Mitsui, Mitsubishi, Simitomo, Daiichi, Yasuda),
e della grande crisi del 1929. La situazione economica permise la
nascita del capitalismo monopolistico di stato, “Stamokamp”, che
fu uno dei mezzi per il riarmo e l'invasione dell'Asia. In questo
quadro come venisse investito il patrimonio della Casa Imperiale
assumeva una grande importanza. Gli interessi economici della Corte
Imperiale e dei potentati economici convergevano verso la nascita di
un impero coloniale e verso lo sfruttamento estremo di contadini e
lavoratori.
Il sesto capitolo
evidenzia come i contadini e gli operai, pura avendo lo stesso
livello di povertà, non fecero mai fronte comune con rivendicazioni
al governo per migliorare il loro tenore di vita. Le motivazioni
furono molte, tutte ben spiegate dall'autore. Alcune sono: La
litigiosità dei partiti di sinistra; la repressione verso sindacati
e partiti popolari ; il tentativo riuscito della classe dominante di
far passare il concetto che nel Giappone non esistevano classi
sociali; che il bene supremo fosse “l'armonia sociale” e
“l'intangibilità” del kokutai (il cui punto cardine era
l'obbedienza all'imperatore); il patriottismo; il militarismo. La
chian ijiho diede grande potere alla Tokko keisatsumo, “Apparato di
polizia per il controllo delle idee”, che prevedeva i “crimini
del pensiero, sanzionati da “procuratori del pensiero”. Gli
arresti e le condanne di militanti di sinistra e sindacalisti furono
così numerose da stroncare il movimento di opposizione al regime. Lo
strumento che più della prigione riuscì a decimare l'opposizione fu
il tenko, che era l'abiura, la conversione, il mutamento della
posizione ideologica, infatti il tenko permetteva ai fermati di
evitare il carcere. Anche grazie alle “pressioni” della famiglia
il “sovversivo” rinunciava pubblicamente alla sue “idee
dannose” e rientrava, seppur controllato, nella società. Con
l'approvazione nel 1938 della Kokka sodoinho, “Legge di
mobilitazione generale nazionale”, si obbligava il lavoratore a
“prestare” obbligatoriamente la propria opera nelle fabbriche e
nei campi per aumentare la produzione sia militare che alimentare.
Nel 1940 il ministero dell'interno riorganizzò i (sempre esistiti)
tonarigumi (gruppi di vicinato) delle città in modo da estendere il
controllo, dopo le campagne e le fabbriche, alle stesse famiglie, che
aderirono anche spontaneamente ai tonarigumi. Questa stretta,
indiretta, sulla vita dei cittadini avveniva prima della guerra del
Pacifico, quindi non con una motivazione “esterna”, ma “interna”.
Il regime aveva già soffocato le (poche) libertà civili e
politiche, ora controllava, tramite i tonarigumi, i singoli
componenti delle famiglie, accentuando in senso autoritario il
controllo sulla popolazione.
Il
capitolo 7 esamina le relazioni tra il “fascismo di base”, cioè
nato dalla popolazione, e la classe dominante. Il fascismo giapponese
è considerato un “fascismo dall'alto”, rispetto ai movimenti
fascisti dal basso di Italia e Germania. Nonostante questo termine
“dall'alto”. Il fascismo giapponese ebbe l'appoggio della quasi
totalità della popolazione. La nascita di numerosi gruppi reazionari
fu raramente contrastata dal regime, anche quando i suoi aderenti si
davano al terrorismo politico. Numerosi furono i casi in cui gli
aderenti a questi gruppi reazionari uccidevano o ferivano ministri,
industriali e intellettuali, anche solo perché si erano permessi di
criticare il nazionalismo o non erano abbastanza nazionalisti. I
terroristi aderenti a questi gruppi, foraggiati e protetti da
politici e capitalisti, colpivano anche personaggi che appoggiavano
il regime, ma, secondo i loro canoni, non abbastanza. Ovviamente
erano usati soprattutto per eliminare gli oppositori politici, i
sindacalisti e gli intellettuali scomodi. Questa moltitudine di
gruppi fascisti, popolari, dei ceti medi, degli insegnati, dei
burocrati, dei militari, fungevano da appoggio sub istituzionale, sia
contro chi si opponeva (avevano una connotazione antisocialista,
anticomunista e antianarchica) al regime, sia a favore di un aumento
del nazionalismo e del militarismo. Specialmente a favore della
propaganda sulla “missione” giapponese verso gli altri popoli
asiatici, cioè l'egemonia colonialista. Infine incitavano
all'armonia sociale e all'obbedienza verso i superiori e
l'imperatore.
Il principale
teorico e fautore di questi gruppi fu Kitta Ikki, che, inoltre, era
schierato contro le “cricche economiche” degli zaibatsu. Salvo
poi percepire contributi dai presidenti degli zaibatsu, che temevano
di essere uccisi. Kitta Ikki fu condannato a morte in quanto era uno
degli organizzatori del tentativo di colpo di stato del 1936, che i
militari del gruppo Koudouha non riuscirono a portare a termine.
Il capitolo 8
evidenzia il dominio del blocco di potere fascista. Non solo dei
militari e dei capitalisti, ma anche dei burocrati e degli
intellettuali. Questi ultimi erano impegnati a trovare delle
giustificazioni ideologiche, storiche e razziali per giustificare
l'invasione della Cina (e poi del Pacifico) e per motivare lo
sfruttamento dei contadini e degli operai. Senza contare la copertura
che diedero al susseguirsi di leggi e atti che riducevano, fino ad
annullarle, le libertà individuali. Due decenni di propaganda, che
iniziava sin dalla scuola elementare, iniziavano a dar i propri
frutti. Ormai, anche grazie alla censura sui mass media e a loro
totale asservimento, i sudditi appoggiavano il regime, nonostante li
affamasse e li sfruttasse, sia lavorativamente che come soldati da
spedire al fronte. Infine, nel 1940, con l'autoscioglimento
“volontario” dei partiti nel partito unico Taisei yokusankai il
Giappone diventò uno Stato completamente militarizzato, che come
scopo aveva la creazione di un impero. Tramite il partito unico i
militari, i burocrati, i capitalisti completarono il sistema fascista
giapponese, finalizzato a controllare le classi subalterne e a
difendere gli interessi dei capitalisti e dei proprietari terrieri.
Grazie per la ecensione dettagliata, che mi è stata molto utile.
RispondiEliminaJacopo
Prego, è lo scopo del blog.
EliminaPerò, ricordati che quello che scrivo è sempre la mia opinione, meglio leggere il libro ;)