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domenica 23 giugno 2024

Al cinema con gli anime, i film di montaggio italiani tratti dalle serie televisive giapponesi negli anni Ottanta


TITOLO: Al cinema con gli anime, il film di montaggio italiani tratti dalle serie televisive giapponesi negli anni Ottanta
AUTORE: Jacopo Benini
CASA EDITRICE: Società Editrice La Torre
PAGINE: 296
COSTO: 22,50 €
ANNO: 2024
FORMATO: 21 cm X 15 cm
REPERIBILITA': disponibile online
CODICE ISBN: 9788896133712


Togliamo subito l'elefante, anzi, il brontosauro dalla stanza, il sottotitolo al libro non l'ho capito, azzarderei fin sbagliato, almeno fuorviante:
i film di montaggio italiani tratti dalle serie televisive giapponesi negli anni Ottanta

Come tutte le volte che mi traslano materiale, qualsiasi esso sia, degli anni 70 negli anni 80, la cosa mi ha irritato   ^_^
"Negli anni Ottanta":
gran parte delle serie tv da cui sono stati assemblati questi film di montaggio sono degli anni 70;
gli stessi mediometraggi Toei, poi montati ad arte per trarne film singoli, sono degli anni 70;
alcune delle iniziative commerciali italiche costituite per generare questi film di montaggio, sono state poste in atto negli anni 70, seppure alla loro fine.

Resta che il 1978 e/o il 1979, anche fino al 31 dicembre, restano anni 70.
Cosa costava riportare "i film di montaggio italiani tratti dalle serie televisive giapponesi negli Settanta ed anni Ottanta?
Si noti che degli anime visibili nelle copertine anteriore e posteriore solo due sono degli anni 80, tanto per dire la scelta un po' insensata per il sottotitolo.

Ammetto che quando appassionati/ricercatori tanto anagraficamente giovani (Benini è del 1996) si approcciano ai "miei" cartoni animati giapponesi provo dei sentimenti contrastanti:
sollievo e contentezza perché nuove leve indagano il mondo degli anime anni 70/80 e mantengono vivo il loro ricordo, che altrimenti si oblierà con la nostra dipartita;
un po' infastidito, come se un "estraneo" mi entrasse in casa ad impicciarsi dei fatti miei...

"Loro", le nuove leve, non hanno vissuto il "first impact" e manco il secondo (forse neppure il terzo...), come si permettono di spiegarlo a me che c'ero e che raccolgo documenti e materiale da quando "loro" (gli estranei) manco erano nati o erano all'asilo?

Ovviamente conta il come questi giovani saggisti sviluppano la loro ricerca e trattano l'argomento "vecchi cartoni animati giapponesi"  :]

Uno dei tanti aspetti che una persona nata nel 1996 non può comprendere è che noi guardavamo i primi anime in tv in bianco e nero, solo successivamente le tv a colori entrarono nella case italiche, ma non a casa mia fino al 1986...




Per fortuna sia nella prefazione di Gianluca Di Fratta, che nello scritto dell'autore e nelle interviste a fine saggio, l'argomento è ben esposto.
Poter recarsi al cinema per ammirare i tuoi eroi a colori era un sensazione unica, che poi le trame di questi film e talvolta i nomi non tornassero del tutto con quello che conoscevi, creava un po' di spiazzamento (e di discussione tra amici), ma restava un'esperienza catartica   ^_^
Infatti concordo su tutta la prefazione difrattiana, tranne nei punti in cui, forse, ci si complimenta troppo con gli autori di questi stravolgimenti di montaggio cinematografico, che, stringi stringi, operavano per un mero tornaconto economico, una mezza truffa ai danni di innocenti bambini che volevano vedere solo i propri eroi animati colorati sul grande schermo. Nel caso dei mediometraggi il film era già esistente nella versione nipponica, sarebbe bastato proiettarlo senza pigliarci per il c...   :]
Un po' mi ricorda la questione attuale, presente spesso sulla rivista "Anime Cult", secondo cui dovremmo ringraziare chi alla Fininvest/Mediaset importava anime fuori target, quindi era "costretto" a manipolarli, delocalizzarli, snaturarli e in alcuni casi stravolgerli, per mandarli in onda... mentre in realtà costoro facevano i propri interessi legittimi di stipendiati, non agivano per il bene dell'animazione nipponica in Italia... ma sto divagando.

Capisco che il saggio sia una analisi seria, seppur di un argomento tanto secondario (ed importante!), ma talvolta ho letto dei termini che forse si sarebbero potuti rendere più accessibili:
tool di rimando; bias culturale; sistematizzazione tassonomica; framework teorico"...

E poi ho smesso di prendere nota a pagina 17, perché era solo l'introduzione dell'autore  :]

Nel primo capitolo si riepiloga la storia dell'animazione nipponica, che viene fatta partire, per esigenze di spazio e coerenza con il tema del saggio, dal dopo guerra. Ci si concentra sull'animazione nipponica commerciale, non film d'autore, come commerciali erano i film di montaggio italici.
Per spiegare la parte commerciale delle serie tv nipponiche, anche nei loro esordi con "Tetsuwa Atom", si fa spesso riferimento agli sponsor, tipo l'azienda di cioccolati "Meiji Seika".
Tanti ma tanti anni fa comprai alla libreria Hoepli di Milano due libricini strapieni di pubblicità per ragazzini, ai tempi non sapevo bene neppure il perché di quell'acquisto impulsivo, ma mi è tornato utili più volte:



Il secondo capitolo ripercorre l'arrivo dell'animazione giapponesi in Italia, inizialmente nei festival cinematografici negli anni 50 e 60, poi in televisione dagli anni 70.
Ci si sofferma parecchio sui film presentati nei festival anni 50 e 60 perché venivano cambiati i titoli ai lungometraggi animati, ma anche agli autori da parte delle aziende importatrici, in modo da americanizzarli per renderli più appetibili, in quanto di matrice simil disneyana.
A pagina 88 si riporta, per esempio, del regista "All Bisney":

Ma ho trovato casi in cui i registi venivano anche europeizzati:

A pagina 94 si afferma che l'anime "Kimba il leone bianco" venne trasmesso in Italia nel 1978, praticamente in contemporanea con Heidi, in realtà la prima apparizione di "Kimba" su "TV Sorrisi e Canzoni" lo attesta, per ora, a luglio 1977:

Quando in precedenza ero risalito fino al settembre 1977, ergo riportare il 1978, in contemporanea con Heidi, è abbastanza inesatto, visto che si sta cercando di ricostruire l'avvento degli anime in Italia.
Nella pagina precedente, la numero 93, sempre a proposito del leoncino bianco di Tezuka, si può leggere questo passo:
"A questo punto il canone delle storie dell'animazione giapponese in Italia inserirebbe al terzo gradino del podio per la corsa ai palinsesti italiani la già citata "Alps no shojo Heidi" in realtà, ricerche recenti hanno ricostruito come questo posto spetterebbe  a un'altra produzione, questa volta solo giapponese:
... "Jungle Taitei", o meglio, il suo adattamento statunitense Kimba il leone bianco."

Resta il mistero di chi abbia effettuato queste "ricerche recenti", che poi, nel caso ci si riferisca a questo blog, la prima volta che notai "Kimba" nei palinsesti delle tv private locali fu in un post dell'aprile 2016, sarebbero otto anni fa:

Ci si sofferma un po' troppo brevemente sull'arrivo di Heidi (mia opinione), per poi passare a "Atlas Ufo Robot".
Ovviamente si fa un breve riferimento alle polemiche giornalistiche, tipo la "crociata dei genitori di Imola", oppure delle poche voci a favore, come l'intervento di Beniamino Placido (a fine post).
Il capitolo si conclude con il boom di vendite del merchandising legato all'animazione seriale giapponese.

Annoto che le tabelle riportate hanno un carattere di scrittura troppo minuscolo, non fruibile, almeno per le mie diottrie.
Gli articoli della carta stampata riportati sono in gran parte di testate che si possono recuperare gratuitamente sul web.
A pagina 80, per quanto riguarda una tabella (2.1.2.) con il riepilogo dei film animati nipponici importati dal Giappone dal 1961 al 1977 (quindi appena prima del boom delle serie tv), direi che manca il lungometraggio "Belladonna", forse perché non era indirizzato ai bambini?
Anche se della distinzione di target non mi pare sia fatto cenno nel testo.
Sia il primo che il secondo capitolo fanno in gran parte riferimento ad altri saggi, con vari passi citati per esteso, quelli italiani li ho letti, ovviamente quelli stranieri no.

Con il terzo capitolo inizia il fulcro del saggio, i film di montaggio, da pagina 115 a pagina 207.
Rifacendosi al giornalismo anglosassone si analizzano le 5W+ 1 H (how = come) inerenti i film di montaggio.
Per il "Chi" l'autore si concentra più che altro non sui nomi delle persone che materialmente se ne occuparono (anche se vengono riportati), ma i produttori, distributori ed esercenti o della fonte televisiva.
Una delle fonti usate dall'autore è quella de "Il Giornale dello Spettacolo", a cui ho attinto pure, io, anche se di certo in maniera meno esaustiva:

Vengono quindi analizzati i singoli film di montaggio, suddividendoli in due categorie:
film collettivi, cioè da montaggio di più episodi di una singola serie;
compendi cinematografici, cioè da montaggio di più mediometraggi.

Ad alcuni di questi ho dedicato qualche post, magari un po' caotico e indirizzato più all'ironia:





Questa prima parte dei film di montaggio termina con quello di "Heidi diventa principessa", tocca quindi ai film di montaggio di "Atlas Ufo Robot", tratti dagli episodi televisivi.
L'autore concentra la sua analisi più sui film di montaggio di Goldrake assemblati dagli episodi tv trasmessi dalla Rai, meno per quelli scaturiti dal (ri)montaggio dei mediometraggi Toei. Ho capito il senso della scelta, anche perché è ben spiegata dall'autore, ma alla fine son sempre film di montaggio.
Terminata l'analisi del film su/di/con Goldrake con "Daimos, il figlio di Goldrake", si apre il paragrafo apposito sui due film di montaggio di "Candy Candy" e di "Lulù l'angelo dei fiori".

Nelle conclusioni dell'autore si citano i giudizi non positivi sui film di montaggio italici degli anime dal dizionario dei film "Merenghetti 2020", da qualche parte nel blog ho inserito quelli della prima versione del dizionario dei film "Farinotti" del 1980, più vicino, seppur meno informato, al periodo preso in esame:

La parte finale del saggio riporta per esteso le interviste a alcuni personaggi del campo, che nel resto nel saggio erano riportate come singole citazioni: 
Riccardo Billi e Malisa Longo; Dario Muras; Massimo Nicora; Davide Pulici; Mario Verger.

Nell'intervista a Verger viene riportato che la prima tranche degli episodi di Goldrake furono trasmessi da aprile a giugno e la seconda tranche da dicembre a marzo. Capisco che a memoria non ci si possa ricordare tutto, forse, però, si poteva modificare l'intervista, sentito l'intervistato, per correggere l'inesattezza.

Ho trovato ovviamente giusta l'impostazione del saggio che ha portato ai primi due capitoli introduttivi, non tutti mangiano "pane e cartoni animati giapponesi" ogni giorno, ma forse il terzo capitolo, quello più importante, avrebbe dovuto avere qualche pagina in più.
Mia opinione, conta zero   ^_^

Come sempre, per il contenuto totale, ci si può rifare al sommario presente qui sotto.


 

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