CERCA NEL BLOG

venerdì 31 maggio 2013

Il fascismo giapponese


TITOLO: Il fascismo giapponese
AUTORE: Francesco Gatti
CASA EDITRICE: Cafoscarina
PAGINE: 302
COSTO: 16,5€
ANNO: 1997
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': 
Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788885613669

Il saggio risulta molto interessante, anche se un pochino pesante da leggere, è preferibile affrontarlo se si ha già qualche conoscenza sul periodo storico trattato.

Il primo capitolo da conto della situazione economica giapponese alla fine della prima guerra mondiale, in particolare centrando l'attenzione sui 2 più grandi zaibatsu di allora, la Mitsui e la Mitsubishi.

Il secondo capitolo è sulla politica della classe dominante nel periodo che va dal trattato di Versailles (1919) in poi. Trattato di Versailles che deluse le aspettative del Giappone di venire riconosciuto come nuova potenza coloniale. Tale frustrazione si ripercosse anche nella vita politica, che, assieme alle prime proteste proletarie, vedeva aumentare il caos sociale. In risposta a ciò iniziarono i primi provvedimenti legislativi autoritari e le prime campagne governative anti occidentali e nazionalistiche. Alla rabbia popolare, evocata e utilizzata dal regime, nata dal trattato di Versailles si sommo quella per il trattato di Washington del 1922.
La classe politica dominante, compresi i capitalisti, spacciava per bene comune tutte quelle idee che favorivano: coesione della società: rispetto per le autorità e per l'imperatore, frugalità nei consumi, accettazione di alti carichi di lavoro a fronte di retribuzioni minime, nazionalismo, alte tassazioni, coscrizione militare obbligatoria, guerre.
Tutto ciò per preservare intatto il kokutai, “Sistema nazionale”.
In Giappone i partiti non sono nati da movimenti popolari, ma costituiti da ex samurai che facevano già parte del establishment governativo. Inoltre i partiti classicamente popolari, come il socialista, furono sciolti dalla polizia appena costituiti. All'elezione della Camera Bassa poteva partecipare solo l'1% della popolazione e il governo non rispondeva al parlamento, ma all'imperatore. Quindi la Camera bassa non aveva nessun potere sul governo. I Ministri e il capo di governo erano scelti dal Jenro, un organismo informale extra costituzionale di cui facevano parte anziani padrini politici e dignitari. Il Jenro fungeva da supporto all'imperatore, ma contemporaneamente esercitava un potere reale ed autonomo.

Il terzo capitolo mette a fuoco le tensioni tra contadini affittuari e proprietari terrieri, che fu un banco di prova decisivo per quello che iniziava a configurarsi come un regime fascista. I contadini affittuari erano vessati da affitti che superavano anche il 50% della produzione agricola. I loro tentativi di riunirsi in associazioni politiche, per rivendicare nuovi diritti e difendere gli esistenti, furono annullati da vari fattori: la nascita delle associazioni di proprietari (che non tolleravano la pur minima rivendicazione), la burocrazia, i governatori e la polizia. Per ultima aveva sempre la meglio la propaganda che spingeva all'armonia sociale e al consenso, valori veicolati tramite la fedeltà verso l'imperatore. In Giappone avevano un grande ruolo le associazione di riservisti, che erano al 80% provenienti dalla campagne. La Teikoku Zaigo Gunjinkai (associazione imperiale dei riservisti) esercitava la sua opera di “convincimento” verso gli affittuari “ribelli”. Il regime riuscì a convincere i contadini che tra di loro non esistevano classi (contadini – affittuari – piccoli proprietari – grandi proprietari), e che l'unica conflittualità era verso gli abitanti delle città, cioè villaggi contro le città.

Il capitolo 4 si addentra molto specificatamente sulla situazione del proletariato e della classe media negli anni 20. In particolare sulla crescita vertiginosa della popolazione urbana e dei tentativi della classe operaia di organizzarsi in sindacati e movimenti politici, entrambi quasi sempre sciolti dalla polizia.
Emblematica è la nascita della Kyochokai, “Associazione per la collaborazione”, che, pur riconoscendo i sindacati e i diritti dei lavoratori, si prefiggeva di superare “il concetto degli incentivi materiali” (cioè aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni di lavoro) in favore di un etica del lavoro concepita come “consenso spirituale”.
Nel 1925 fu varata la legge sul suffragio universale, che in realtà era suffragio generale maschile. Il diritto di voto fu esteso soltanto ai maschi con età superiore ai 25 anni, residenti da almeno un anno nel collegio elettorale e che non fossero indigenti. La legge permise l'allargamento della base elettorale da 3 milioni a 15 milioni di elettori, ma grazie a varie limitazioni si rendeva impossibile l'elezione in parlamento di rappresentanti delle masse popolari. Insieme al “suffragio universale” venne approvato, però, la chian ijiho, “Legge per il mantenimento dell'ordine pubblico”, che permetteva di perseguire penalmente tutti coloro che tentavano di “alterare il kokutai”.

Il quinto capitolo spiega la situazione economica da metà degli anni 20 fino alla 1937.Analizzando le numerosi crisi bancarie, che rafforzarono i 5 principali zaibatsu (Mitsui, Mitsubishi, Simitomo, Daiichi, Yasuda), e della grande crisi del 1929. La situazione economica permise la nascita del capitalismo monopolistico di stato, “Stamokamp”, che fu uno dei mezzi per il riarmo e l'invasione dell'Asia. In questo quadro come venisse investito il patrimonio della Casa Imperiale assumeva una grande importanza. Gli interessi economici della Corte Imperiale e dei potentati economici convergevano verso la nascita di un impero coloniale e verso lo sfruttamento estremo di contadini e lavoratori.

Il sesto capitolo evidenzia come i contadini e gli operai, pura avendo lo stesso livello di povertà, non fecero mai fronte comune con rivendicazioni al governo per migliorare il loro tenore di vita. Le motivazioni furono molte, tutte ben spiegate dall'autore. Alcune sono: La litigiosità dei partiti di sinistra; la repressione verso sindacati e partiti popolari ; il tentativo riuscito della classe dominante di far passare il concetto che nel Giappone non esistevano classi sociali; che il bene supremo fosse “l'armonia sociale” e “l'intangibilità” del kokutai (il cui punto cardine era l'obbedienza all'imperatore); il patriottismo; il militarismo. La chian ijiho diede grande potere alla Tokko keisatsumo, “Apparato di polizia per il controllo delle idee”, che prevedeva i “crimini del pensiero, sanzionati da “procuratori del pensiero”. Gli arresti e le condanne di militanti di sinistra e sindacalisti furono così numerose da stroncare il movimento di opposizione al regime. Lo strumento che più della prigione riuscì a decimare l'opposizione fu il tenko, che era l'abiura, la conversione, il mutamento della posizione ideologica, infatti il tenko permetteva ai fermati di evitare il carcere. Anche grazie alle “pressioni” della famiglia il “sovversivo” rinunciava pubblicamente alla sue “idee dannose” e rientrava, seppur controllato, nella società. Con l'approvazione nel 1938 della Kokka sodoinho, “Legge di mobilitazione generale nazionale”, si obbligava il lavoratore a “prestare” obbligatoriamente la propria opera nelle fabbriche e nei campi per aumentare la produzione sia militare che alimentare. Nel 1940 il ministero dell'interno riorganizzò i (sempre esistiti) tonarigumi (gruppi di vicinato) delle città in modo da estendere il controllo, dopo le campagne e le fabbriche, alle stesse famiglie, che aderirono anche spontaneamente ai tonarigumi. Questa stretta, indiretta, sulla vita dei cittadini avveniva prima della guerra del Pacifico, quindi non con una motivazione “esterna”, ma “interna”. Il regime aveva già soffocato le (poche) libertà civili e politiche, ora controllava, tramite i tonarigumi, i singoli componenti delle famiglie, accentuando in senso autoritario il controllo sulla popolazione.

Il capitolo 7 esamina le relazioni tra il “fascismo di base”, cioè nato dalla popolazione, e la classe dominante. Il fascismo giapponese è considerato un “fascismo dall'alto”, rispetto ai movimenti fascisti dal basso di Italia e Germania. Nonostante questo termine “dall'alto”. Il fascismo giapponese ebbe l'appoggio della quasi totalità della popolazione. La nascita di numerosi gruppi reazionari fu raramente contrastata dal regime, anche quando i suoi aderenti si davano al terrorismo politico. Numerosi furono i casi in cui gli aderenti a questi gruppi reazionari uccidevano o ferivano ministri, industriali e intellettuali, anche solo perché si erano permessi di criticare il nazionalismo o non erano abbastanza nazionalisti. I terroristi aderenti a questi gruppi, foraggiati e protetti da politici e capitalisti, colpivano anche personaggi che appoggiavano il regime, ma, secondo i loro canoni, non abbastanza. Ovviamente erano usati soprattutto per eliminare gli oppositori politici, i sindacalisti e gli intellettuali scomodi. Questa moltitudine di gruppi fascisti, popolari, dei ceti medi, degli insegnati, dei burocrati, dei militari, fungevano da appoggio sub istituzionale, sia contro chi si opponeva (avevano una connotazione antisocialista, anticomunista e antianarchica) al regime, sia a favore di un aumento del nazionalismo e del militarismo. Specialmente a favore della propaganda sulla “missione” giapponese verso gli altri popoli asiatici, cioè l'egemonia colonialista. Infine incitavano all'armonia sociale e all'obbedienza verso i superiori e l'imperatore.
Il principale teorico e fautore di questi gruppi fu Kitta Ikki, che, inoltre, era schierato contro le “cricche economiche” degli zaibatsu. Salvo poi percepire contributi dai presidenti degli zaibatsu, che temevano di essere uccisi. Kitta Ikki fu condannato a morte in quanto era uno degli organizzatori del tentativo di colpo di stato del 1936, che i militari del gruppo Koudouha non riuscirono a portare a termine.

Il capitolo 8 evidenzia il dominio del blocco di potere fascista. Non solo dei militari e dei capitalisti, ma anche dei burocrati e degli intellettuali. Questi ultimi erano impegnati a trovare delle giustificazioni ideologiche, storiche e razziali per giustificare l'invasione della Cina (e poi del Pacifico) e per motivare lo sfruttamento dei contadini e degli operai. Senza contare la copertura che diedero al susseguirsi di leggi e atti che riducevano, fino ad annullarle, le libertà individuali. Due decenni di propaganda, che iniziava sin dalla scuola elementare, iniziavano a dar i propri frutti. Ormai, anche grazie alla censura sui mass media e a loro totale asservimento, i sudditi appoggiavano il regime, nonostante li affamasse e li sfruttasse, sia lavorativamente che come soldati da spedire al fronte. Infine, nel 1940, con l'autoscioglimento “volontario” dei partiti nel partito unico Taisei yokusankai il Giappone diventò uno Stato completamente militarizzato, che come scopo aveva la creazione di un impero. Tramite il partito unico i militari, i burocrati, i capitalisti completarono il sistema fascista giapponese, finalizzato a controllare le classi subalterne e a difendere gli interessi dei capitalisti e dei proprietari terrieri.


2 commenti:

  1. Grazie per la ecensione dettagliata, che mi è stata molto utile.

    Jacopo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Prego, è lo scopo del blog.
      Però, ricordati che quello che scrivo è sempre la mia opinione, meglio leggere il libro ;)

      Elimina