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giovedì 26 giugno 2014

Il successo di Heidi, 4 articoli de "La Stampa" del maggio/agosto 1978 ("Heidi agli sgoccioli"!)







Spesso ci si dimentica che se Goldrake fu il primo cartone animato dichiaratamente "giapponese", il che provocò tutte le polemiche sul "pericolo giallo", Heidi anticipò il suo successo senza le medesime accese polemiche, probabilmente facendosi schermo della coproduzione tedesca. Il fatto di essere un cartone animato ambientato in Europa e tratto da un racconto europeo misero Heidi al riparo da grandi contestazioni, anche se qualche mugugno già si poteva leggere, specialmente nel momento in cui i giornalisti si accorsero di quei nomi giapponesi che campeggiavano nei credits: Yoichi Yabate (Faria?) o Yoichi Yatabe, Isao Takanata o Isao Takamata.
Lasciamo perdere che i nomi giusti sarebbero stati Yoichi Kotabe ed Isao Takahata, però il giornalista nostrano non poteva esimersi dall'informare il lettore su questi giapponesi che facevano un cartone su una storia europea, come si permettevano? Ma soprattutto, come si permetevano di avere così tanto successo?
Il 26 maggio il quotidiano torinese "La Stampa" pubblica un articolino che dava conto del successo di pubblico e di vendite del merchandising avuto da Heidi, iniziando a muovere qualche critica e facendo una profezia veramente azzeccata:
"Non è necessario maltrattare Heidi, è agli sgoccioli, e tutto dunque andrà a posto da sé".
Sono passati appena 36 anni e Heidi viene trasmessa ancora in televisone, la trovi in edicola, in libreria e nei negozi di giocattoli. Un vero peccato che dell'autore dell'articolo si possano leggere solo le iniziali (e. rz.), altrimenti avrei cercato altre sue profezie.







Bontà sua il giornalista vorrebbe parlare male di Heidi, ma non vuole contraddire i giovani telespettatori. E quali sarebbero le colpe di Heidi? I buoni sentimenti (la colpa di Goldrake era l'assenza di buoni sentimenti) ed una visione della vita "rosea e sbrodolata". Cosa di roseo e sbrodolato vedesse il giornalista "e.rz" in una bambina che viene deportata in una nazione straniera, e che deve fare affidamento solo sulla sua allegria per vivere in un ambiente a lei insopportabile, resta un mistero.





Già, i bambini mica sono stupidi, erano affascinati solo dalla storia, millemila volte più coinvolgente dei vari Tom e Jerry o degli Antenati della Hanna & Barbera.
L'articolo, neppure ecessivamente cattivo, si chiude, però, con la perla della profezia su Heidi.




Qualche giorno prima (il 13 maggio) la giornalista Teresa Buongiorno (che ad aprile aveva scritto un articolo su Goldrake sul Radiocorriere TV), sempre su "La Stampa, ci informava che il cartone animato nippo-tedesco aveva riesumato il romanzo di Heidi dalle librerie per ragazzi, ormai praticamente scomparso dagli scaffali. Inoltre varie case editrici italiane si apprestavano a dare alle stampe nuove edizioni del libro di Johanna Spyri.











Teresa Buongiorno riconosce alla Heidi giapponese di essere un bel cartone, ed anticipa l'arrivo di altri "cartoni aniamti giapponesi" che soppianteranno quelli americani e che provocheranno polemiche sulla loro diseducatività.








Marinella Venegoni, ancora su "La Stampa", in agosto faceva un bilancio sul successo della serie, conclusasi a giugno.





Obbiettivamente tra Furia ed Heidi non c'era proprio lotta, del primo si salvava la sigla e basta...





Ma chi è il nonno "Amp-Ochi"?!
Sarebbe un bello scoop dare un nome al vecchio dell'alpe, che in tutto l'anime è chiamato nonno oppure "vecchio dell'alpe", appunto.
Resta il mistero, chi è "Amp-Ochi"?




La psicologa chiamata come esperta (di anime? di letteratura per l'infanzia dell'800?) spara quelle due o tre sentenze che non fanno mai male, e che riescono a farci ridere un po', anche dopo 36 anni.
Mistero sull'anticipazione di altre 52 puntate prossime venture, forse delle semplici repliche.





L'ultimo articolo, sempre pubblicato su "La Stampa" in quell'agosto del 1978, annuncia uno dei lungometraggi che vennero proiettati al cinema allo scopo di cavalcare il succeso televisivo di Heidi:
"Heidi in città".
L'articolino non è nulla di speciale, tranne per i giudizi finali:
"lentezze e fissità tipicamente giapponesi"; "verbose cadute di ritmo"; "mancanza di brio e fantasia rispetto ai cartoon americani, che gli servono come modello".
Peccato che anche stavolta non ci sia il nome del giornalista, ma solo le sue iniziali.




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