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domenica 22 giugno 2014

Il Giappone tra est e ovest, la ricerca di un ruolo internazionale nell'era bipolare



TITOLO: Il Giappone tra est e ovest, la ricerca di un ruolo internazionale nell'era bipolare
AUTORE: Oliviero Frattolillo
CASA EDITRICE: Franco Angeli
PAGINE: 173
COSTO: 26€
ANNO: 2014
FORMATO: 23 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788820475055

Mi son sempre interessato come lettore di quotidiani e di saggistica storica alla politica estera giapponese del dopoguerra, mi ha sempre incuriosito, forse perché vi trovavo delle analogie con l'Italia, anch'essa costantemente in bilico tra la ricerca di una propria linea e l'obbligo di seguire quella statunitense.
In particolare il periodo post bellico giapponese è poco analizzato dalla saggistica italiana, quindi la lettura di questo libro era per me quasi obbligatoria.
Ne sono rimasto solo parzialmente soddisfatto, intanto per il ridotto numero di pagine scritte (solo 173, perché fino a pagina 200 c'è la bibliografia e l'indice dei nomi) per un costo di 26 euro, mica 26 mila lire.
Resta interessante la parte di analisi tra le due guerre, e dal dopoguerra agli anni 70, troppo ridotta la parte del periodo dagli anni 80 ai primi del 90, periodo in cui termina l'analisi di Frattolillo.
Per evitare mie eventuali incomprensioni del saggio inserisco subito l'obbiettivo dell'autore espresso a pagina 9:
Obbiettivo principale di questo volume è analizzare le relazioni politiche e diplomatiche giapponesi nello schema della contrapposizione Est-Ovest, mettendo in luce il peso determinante che la struttura del sistema internazionale (inteso come “variabile indipendente”) e il rapporto privilegiato di Tokyo con Washington (qui considerato come “variabile interveniente”) hanno esercitato nella mancanza costruzione di un efficace dialogo diplomatico su temi di high-politics tra il Giappone e gli attori con i quali si è interfacciato.”.
Chiaro? No?
Non sarà di certo la “Premessa” a firma di Gustavo Cutolo a chiarirvi le idee. O meglio, se la vostra padronanza dell'inglese è buona o ottima non avrete problema a leggerla, ma se siete un poveraccio come me che l'inglese lo mastica appena farete assai fatica, perché il cortese Gustavo Cutolo inserisce una quantità spropositata di citazioni in inglese, ovviamente senza uno straccio di traduzione a fondo pagina...
Anche la parte scritta dall'autore soffre di questa totale mancanza di rispetto verso il lettore non “anglofilo”, ma in misura assai occasionale (per fortuna), mentre la premessa di Gustavo Cutolo è praticamente illeggibile.
Ammetto che, pur avendoci provato, la “Premessa” l'ho dovuta saltare, ecco un esempio di com'è scritta: 



Da notare, e con questo chiuderò la questione delle mancate traduzioni, che in altri punti del libro sono stati tradotti gli scritti di intellettuali o politici giapponesi, mi chiedo se quello che è stato fatto per il giapponese (visto che gli ideogrammi sono poco conosciuti), non potesse essere fatto anche per le parti scritte in inglese o in francese. Forse 26 euro sono pochi per tradurre tutto il libro in italico.
Nel primo capitolo l'autore, per meglio far capire la politica estera giapponese del dopoguerra, spiega la situazione politica in Giappone negli anni 20 e 30. 
  
Si inizia col decennio “kurai tanima” (valle oscura), che va dal 1931 al 1941, durante il quale i militari radicalizzarono sempre di più le loro posizioni di politica estera (con l'invasione della Cina) ed interna (con gli omicidi degli uomini politici a loro ostili).
Per i militari, e per i civili che li appoggiavano, la soluzione dei problemi del Giappone si sviluppava su due fronti: quello interno prevedeva la sostituzione della classe politica ed economica corrotta ed incompetente con i militari, interessati solo al bene del popolo;
quello estero contemplava l'attacco diretto ai nemici occidentali, cioè Pearl Harbor.
Viene analizzato in particolare il pensiero dell'intellettuale di destra Kita Ikki, riguardo al concetto di “kokutai” (essenza dello Stato). Sono analizzate anche le posizione di un altro intellettuale di destra del periodo, Gondo Seikyo. I due intellettuali professavano il ritorno ad un Giappone agricolo e rispettoso delle antiche tradizioni, entrambi erano schierati a favore dei piccoli proprietari terrieri, impoveriti dalle speculazioni dei capitalisti.
Un terzo intellettuale di destra, Tachibana Kosaburo, in accordo con le tesi degli altri due, proponeva che il potere fosse esercitato dalle uniche due classi sane del paese, contadini e militari, sotto l'egida del Tenno.
E' analizzata l'influenza che ebbe la “Kyoto goku-ha” (scuola di Kyoto), sia in quel periodo pre bellico che nel dopoguerra, in virtù dei numerosi intellettuali da essa formati che dal 1945 in poi continuarono ad influenzare la politica in Giappone. Negli anni 30/40 la “scuola di Kyoto” teorizzava la superiorità della razza giapponese, in quanto razza incontaminata e direttamente discendente da una divinità, e per questi motivi l'unica razza a poter guidare il riscatto dell'Asia. Nel dopoguerra la sua influenza si palesa nell'impossibilità di aprire un dibattito nazionale sulle responsabilità giapponesi e sul fascismo giapponese, tra l'altro impedendo che sui libri di scuola venissero riportate informazioni sui crimini compiuti dall'esercito nipponico.
Uno dei più influenti intellettuali fu Nishida Kintaro, la sua filosofia è al centro dell'analisi dell'autore, assieme alle tavole rotonde “Chuon Koron”, tenute nei primi anni 40 dai discepoli di Nishida. Questi intellettuali che si ispiravano al pensiero di Nishida auspicavano la creazione della “grande sfera asiatica” a guida giapponese.
Viene dato conto della posizione di vari intellettuali durante il simposio “per il superamento della modernità”. Sempre in questo contesto è dato ampio spazio all'analisi della teoria della “memoria stratigrafica”, messa in campo da Watsuji Tetsuro.
Il tentativo nipponico di creare una sfera di co-prosperità in Asia invadendo tutte le nazioni vicine, col motto “l'Asia agli asiatici” (che poi voleva significare “ai giapponesi”), dopo la guerra lasciò in eredità alle potenze coloniali europee in Asia delle nazioni che pretendevano l'autodeterminazione. Involontariamente il regime fascista giapponese aveva messo in moto le decolonizzazione dell'Asia.
Nel secondo capitolo si inizia ad affrontare la politica estera giapponese del dopoguerra, cominciando con l'insediamento dello SCAP di MacArthur, per poi passare allo scoppio della guerra di Corea, che fu per il Giappone sia un'occasione di rilancio economico, che una carta importante da spendere con gli Usa per riottenere la piena sovranità anche in politica estera. Alla fine di questi accadimenti gli Usa stipularono col Giappone il “Trattato di sicurezza nippo-americano”, che permise la creazione della “forza di autodifesa” auspicata dagli Usa. Contestualmente, ma separatamente, venne ratificato un trattato di pace tra il Giappone ed altre 47 nazioni. E' in questo periodo che il primo ministro Yoshida Shigeru, protagonista del trattato di pace, pone le basi della politica estera nipponica per tutto il periodo della guerra fredda.
Sono riportati i vari tentativi di Cina e Giappone di reinstaurare rapporti diplomatici stabili, con continui avvicinamenti e crisi, dovuti al tentativo giapponese di conciliare la propria politica estera con le aspettative Usa per un atteggiamento anticomunista, e in particolare anticinese.
Il terzo capitolo parte dal ritorno sulla scena politica di alcuni uomini politici divenuti premier che erano stati allontanati dallo SCAP per le loro collusioni coi militari: Hatoyama, Shigemitsu, Ishibashi, Kishi.
Kishi fu primo ministro dal 1957 al 1960, proprio durante la revisione del “Trattato di sicurezza nippo-americano”, e fu il politico più favorevole alla politica estera voluta dagli Usa, infatti Kishi era un fervente anticomunista, e non considerava importante il riavvicinamento con la Cina (a differenza di Yoshida e Hatoyama). La politica interna di Kishi di stampo reazionario non preoccupava gli Usa, interessati solo al rinnovamento del trattato e della sua posizione anticomunista. Contro il rinnovo del trattato nippo-americano si scatenò la protesta popolare, che culminò ne movimento ANPO. Appena ratificato dalla Dieta il trattato di sicurezza nippo-americano la ragion d'essere di Kishi venne meno, e questi si dimise, anche a causa della protesta popolare. Il suo sostituto fu Ikeda Hayato (in carica dal 1960 al 1964), che cercò di spostare l'attenzione popolare dal controverso trattato, che permetteva agli Usa di utilizzare le basi su suolo nipponico per attaccare paesi terzi (vedi il Vietnam), alla sfera economica, proponendo un piano per raddoppiare il reddito nazionale. In questi quattro anni Ikeda non riuscì a stabilire rapporti diplomatici con la Cina, a causa della ferma opposizione di Usa e Taiwan.
Nel 1964 cambiò il primo ministro, che divenne Sato Eisaku, questi resto in carica fino al 1972, inaugurando una crescita economica senza precedenti, “Inazagi Boom”. In politica estera Sato promosse la “Zenhoi Gaiko”, ovvero “la diplomazia omnidirezionale”, che prevedeva rapporti amichevoli con tutte le nazioni. Nel 1972 gli Usa restituirono Okinawa al Giappone, mantenendo però l'uso di tutte le base militari, cosa che implicava per gli abitanti dell'isola la prosecuzione dell'occupazione americana.
Nel quarto e conclusivo capitolo l'autore avverte il lettore che il ruolo giapponese come supporter della politica estera americana non sarà il tema principale, in quanto trattato frequentemente in saggistica. I temi saranno, invece:
i rapporti con la Cina;
l'uso degli aiuti economici internazionali verso le nazioni come metodo per influenzarne la politica (il Giappone era il principale creditore mondiale);
il ruolo del Giappone nell'ultimo periodo della guerra fredda.
Viene dato conto delle critiche internazionali subite dal Giappone per l'uso sistematico degli aiuti internazionali erogati solo in funzione del proprio interesse commerciale.
Si analizza il cambio di politica estera giapponese verso i paesi arabi dopo i due shock petroliferi, che obbligarono il Giappone ad ingraziarsi i paesi produttori di petrolio creando malumori in Usa ed Israele.
Più spazio è dato allo “shock di Nixon”, quando nel luglio del 1972 l'amministrazione americana annunciò l'instaurarsi di rapporti diplomatici con la Repubblica Popolare Cinese. Per tutto il dopoguerra gli Usa avevano impedito di fare la medesima mossa al Giappone, e di colpo, senza nessun avvertimento, gli americani tradivano la linea che essi stessi avevano imposto al Giappone.
L'ultima parte del capitolo riepiloga velocemente le posizioni nipponiche nel periodo tra gli anni 80 e i primi anni 90, il tutto un po' troppo succintamente.

Premessa: La logica della politica estera giapponese, di Gustavo Cutolo
Capitolo 1
Il dibattito politico culturale nel Giappone tra le due guerre
Capitolo 2
Il Giappone nel global balance of power
Capitolo 3
“Diplomazia omnidirezionale” e fattori di influenza esterna: il Giappone come free-rider
Capitolo 4
Dalla distensione al declino del pibolarismo: il Giappone come supporter



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