TITOLO: Il Giappone tra est e
ovest, la ricerca di un ruolo internazionale nell'era bipolare
AUTORE: Oliviero
Frattolillo
CASA EDITRICE: Franco Angeli
PAGINE: 173
COSTO: 26€
ANNO: 2014
FORMATO: 23 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788820475055
Mi
son sempre interessato come lettore di quotidiani e di saggistica
storica alla politica estera giapponese del dopoguerra, mi ha sempre
incuriosito, forse perché vi trovavo delle analogie con l'Italia,
anch'essa costantemente in bilico tra la ricerca di una propria linea
e l'obbligo di seguire quella statunitense.
In
particolare il periodo post bellico giapponese è poco analizzato
dalla saggistica italiana, quindi la lettura di questo libro era per
me quasi obbligatoria.
Ne
sono rimasto solo parzialmente soddisfatto, intanto per il ridotto
numero di pagine scritte (solo 173, perché fino a pagina 200 c'è la
bibliografia e l'indice dei nomi) per un costo di 26 euro, mica 26
mila lire.
Resta
interessante la parte di analisi tra le due guerre, e dal dopoguerra
agli anni 70, troppo ridotta la parte del periodo dagli anni 80 ai
primi del 90, periodo in cui termina l'analisi di Frattolillo.
Per
evitare mie eventuali incomprensioni del saggio inserisco subito
l'obbiettivo dell'autore espresso a pagina 9:
“Obbiettivo
principale di questo volume è analizzare le relazioni politiche e
diplomatiche giapponesi nello schema della contrapposizione
Est-Ovest, mettendo in luce il peso determinante che la struttura del
sistema internazionale (inteso come “variabile indipendente”) e
il rapporto privilegiato di Tokyo con Washington (qui considerato
come “variabile interveniente”) hanno esercitato nella mancanza
costruzione di un efficace dialogo diplomatico su temi di
high-politics tra il Giappone e gli attori con i quali si è
interfacciato.”.
Chiaro?
No?
Non
sarà di certo la “Premessa” a firma di Gustavo Cutolo a
chiarirvi le idee. O meglio, se la vostra padronanza dell'inglese è
buona o ottima non avrete problema a leggerla, ma se siete un
poveraccio come me che l'inglese lo mastica appena farete assai
fatica, perché il cortese Gustavo Cutolo inserisce una quantità
spropositata di citazioni in inglese, ovviamente senza uno straccio di
traduzione a fondo pagina...
Anche
la parte scritta dall'autore soffre di questa totale mancanza di
rispetto verso il lettore non “anglofilo”, ma in misura assai
occasionale (per fortuna), mentre la premessa di Gustavo Cutolo è
praticamente illeggibile.
Ammetto
che, pur avendoci provato, la “Premessa” l'ho dovuta saltare,
ecco un esempio di com'è scritta:
Da
notare, e con questo chiuderò la questione delle mancate traduzioni,
che in altri punti del libro sono stati tradotti gli scritti di
intellettuali o politici giapponesi, mi chiedo se quello che è stato
fatto per il giapponese (visto che gli ideogrammi sono poco
conosciuti), non potesse essere fatto anche per le parti scritte in
inglese o in francese. Forse 26 euro sono pochi per tradurre tutto il
libro in italico.
Nel
primo capitolo l'autore, per meglio far capire la politica estera
giapponese del dopoguerra, spiega la situazione politica in Giappone
negli anni 20 e 30.
Si inizia col decennio “kurai tanima” (valle oscura), che va dal 1931 al 1941, durante il quale i militari radicalizzarono sempre di più le loro posizioni di politica estera (con l'invasione della Cina) ed interna (con gli omicidi degli uomini politici a loro ostili).
Per i
militari, e per i civili che li appoggiavano, la soluzione dei
problemi del Giappone si sviluppava su due fronti: quello interno
prevedeva la sostituzione della classe politica ed economica corrotta
ed incompetente con i militari, interessati solo al bene del popolo;
quello
estero contemplava l'attacco diretto ai nemici occidentali, cioè
Pearl Harbor.
Viene
analizzato in particolare il pensiero dell'intellettuale di destra
Kita Ikki, riguardo al concetto di “kokutai” (essenza dello
Stato). Sono analizzate anche le posizione di un altro intellettuale
di destra del periodo, Gondo Seikyo. I due intellettuali professavano
il ritorno ad un Giappone agricolo e rispettoso delle antiche
tradizioni, entrambi erano schierati a favore dei piccoli proprietari
terrieri, impoveriti dalle speculazioni dei capitalisti.
Un
terzo intellettuale di destra, Tachibana Kosaburo, in accordo con le
tesi degli altri due, proponeva che il potere fosse esercitato dalle
uniche due classi sane del paese, contadini e militari, sotto l'egida
del Tenno.
E'
analizzata l'influenza che ebbe la “Kyoto goku-ha” (scuola di
Kyoto), sia in quel periodo pre bellico che nel dopoguerra, in virtù
dei numerosi intellettuali da essa formati che dal 1945 in poi
continuarono ad influenzare la politica in Giappone. Negli anni 30/40
la “scuola di Kyoto” teorizzava la superiorità della razza
giapponese, in quanto razza incontaminata e direttamente discendente
da una divinità, e per questi motivi l'unica razza a poter guidare
il riscatto dell'Asia. Nel dopoguerra la sua influenza si palesa
nell'impossibilità di aprire un dibattito nazionale sulle
responsabilità giapponesi e sul fascismo giapponese, tra l'altro
impedendo che sui libri di scuola venissero riportate informazioni
sui crimini compiuti dall'esercito nipponico.
Uno
dei più influenti intellettuali fu Nishida Kintaro, la sua filosofia
è al centro dell'analisi dell'autore, assieme alle tavole rotonde
“Chuon Koron”, tenute nei primi anni 40 dai discepoli di Nishida.
Questi intellettuali che si ispiravano al pensiero di Nishida
auspicavano la creazione della “grande sfera asiatica” a guida
giapponese.
Viene
dato conto della posizione di vari intellettuali durante il simposio
“per il superamento della modernità”. Sempre in questo contesto
è dato ampio spazio all'analisi della teoria della “memoria
stratigrafica”, messa in campo da Watsuji Tetsuro.
Il
tentativo nipponico di creare una sfera di co-prosperità in Asia
invadendo tutte le nazioni vicine, col motto “l'Asia agli asiatici”
(che poi voleva significare “ai giapponesi”), dopo la guerra
lasciò in eredità alle potenze coloniali europee in Asia delle
nazioni che pretendevano l'autodeterminazione. Involontariamente il
regime fascista giapponese aveva messo in moto le decolonizzazione
dell'Asia.
Nel
secondo capitolo si inizia ad affrontare la politica estera
giapponese del dopoguerra, cominciando con l'insediamento dello SCAP
di MacArthur, per poi passare allo scoppio della guerra di Corea, che
fu per il Giappone sia un'occasione di rilancio economico, che una
carta importante da spendere con gli Usa per riottenere la piena
sovranità anche in politica estera. Alla fine di questi accadimenti
gli Usa stipularono col Giappone il “Trattato di sicurezza
nippo-americano”, che permise la creazione della “forza di
autodifesa” auspicata dagli Usa. Contestualmente, ma separatamente,
venne ratificato un trattato di pace tra il Giappone ed altre 47
nazioni. E' in questo periodo che il primo ministro Yoshida Shigeru,
protagonista del trattato di pace, pone le basi della politica estera
nipponica per tutto il periodo della guerra fredda.
Sono
riportati i vari tentativi di Cina e Giappone di reinstaurare
rapporti diplomatici stabili, con continui avvicinamenti e crisi,
dovuti al tentativo giapponese di conciliare la propria politica
estera con le aspettative Usa per un atteggiamento anticomunista, e
in particolare anticinese.
Il
terzo capitolo parte dal ritorno sulla scena politica di alcuni
uomini politici divenuti premier che erano stati allontanati dallo
SCAP per le loro collusioni coi militari: Hatoyama, Shigemitsu,
Ishibashi, Kishi.
Kishi
fu primo ministro dal 1957 al 1960, proprio durante la revisione del
“Trattato di sicurezza nippo-americano”, e fu il politico più
favorevole alla politica estera voluta dagli Usa, infatti Kishi era
un fervente anticomunista, e non considerava importante il
riavvicinamento con la Cina (a differenza di Yoshida e Hatoyama). La
politica interna di Kishi di stampo reazionario non preoccupava gli
Usa, interessati solo al rinnovamento del trattato e della sua
posizione anticomunista. Contro il rinnovo del trattato
nippo-americano si scatenò la protesta popolare, che culminò ne
movimento ANPO. Appena ratificato dalla Dieta il trattato di
sicurezza nippo-americano la ragion d'essere di Kishi venne meno, e
questi si dimise, anche a causa della protesta popolare. Il suo
sostituto fu Ikeda Hayato (in carica dal 1960 al 1964), che cercò di
spostare l'attenzione popolare dal controverso trattato, che
permetteva agli Usa di utilizzare le basi su suolo nipponico per
attaccare paesi terzi (vedi il Vietnam), alla sfera economica,
proponendo un piano per raddoppiare il reddito nazionale. In questi
quattro anni Ikeda non riuscì a stabilire rapporti diplomatici con
la Cina, a causa della ferma opposizione di Usa e Taiwan.
Nel
1964 cambiò il primo ministro, che divenne Sato Eisaku, questi resto
in carica fino al 1972, inaugurando una crescita economica senza
precedenti, “Inazagi Boom”. In politica estera Sato promosse la
“Zenhoi Gaiko”, ovvero “la diplomazia omnidirezionale”, che
prevedeva rapporti amichevoli con tutte le nazioni. Nel 1972 gli Usa
restituirono Okinawa al Giappone, mantenendo però l'uso di tutte le
base militari, cosa che implicava per gli abitanti dell'isola la
prosecuzione dell'occupazione americana.
Nel
quarto e conclusivo capitolo l'autore avverte il lettore che il ruolo
giapponese come supporter della politica estera americana non sarà
il tema principale, in quanto trattato frequentemente in saggistica.
I temi saranno, invece:
i
rapporti con la Cina;
l'uso
degli aiuti economici internazionali verso le nazioni come metodo per
influenzarne la politica (il Giappone era il principale creditore
mondiale);
il
ruolo del Giappone nell'ultimo periodo della guerra fredda.
Viene
dato conto delle critiche internazionali subite dal Giappone per
l'uso sistematico degli aiuti internazionali erogati solo in funzione
del proprio interesse commerciale.
Si
analizza il cambio di politica estera giapponese verso i paesi arabi
dopo i due shock petroliferi, che obbligarono il Giappone ad
ingraziarsi i paesi produttori di petrolio creando malumori in Usa ed
Israele.
Più
spazio è dato allo “shock di Nixon”, quando nel luglio del 1972
l'amministrazione americana annunciò l'instaurarsi di rapporti
diplomatici con la Repubblica Popolare Cinese. Per tutto il
dopoguerra gli Usa avevano impedito di fare la medesima mossa al
Giappone, e di colpo, senza nessun avvertimento, gli americani
tradivano la linea che essi stessi avevano imposto al Giappone.
L'ultima
parte del capitolo riepiloga velocemente le posizioni nipponiche nel
periodo tra gli anni 80 e i primi anni 90, il tutto un po' troppo
succintamente.
Premessa:
La logica della politica estera giapponese, di Gustavo Cutolo
Capitolo
1
Il
dibattito politico culturale nel Giappone tra le due guerre
Capitolo
2
Il
Giappone nel global balance of power
Capitolo
3
“Diplomazia
omnidirezionale” e fattori di influenza esterna: il Giappone come
free-rider
Capitolo
4
Dalla
distensione al declino del pibolarismo: il Giappone come supporter
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