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domenica 9 giugno 2019
"Lady Oscar, ovvero il messaggio dell'ambiguità", di Massimo Maisetti - "Bimbosapiens" n° 5 settembre/ottobre 1982
E' veramente un peccato che il periodico "Bimbosapiens: guida animata per accompagnare i grandi nel mondo misterioso dei piccoli" ebbe vita breve, dal 1981 al 1983... perché nei pochi numeri usciti le perle contro i cartoni animati giapponesi non mancarono.
Sia chiaro, la redazione della rivista aveva tutto il diritto di criticare gli anime, come il medesimo diritto avevano gli autori degli articoli, è il merito delle critica che lascia un po' a desiderare:
"Il trionfo del computer", di Giannalberto Bendazzi - "Bimbosapiens" n° 2 gennaio/febbraio 1982
Come per l'articolo del link sopra, anche in questo caso l'autore non era a digiuno di animazione:
Massimo Maisetti (spero non si tratti di un caso di omonimia)
Fu addirittura direttore di "ISCA Informazioni", che si occupava espressamente di animazione italiana e scrisse vari saggi sul cinema d'animazione di varie nazione europee. Quindi la redazione si avvaleva di veri esperti, non di giornalisti che si cimentavano per la prima volta con la tematica "cartoni animati".
Infatti la critica mossa da Massimo Maisetti non si ferma ai cartoni animati giapponesi, e nello specifico a Lady Oscar, ma al tipo di programmi che a noi bambini venivano offerti dalle tv locali private a dalla Rai.
Si nota, a mio avviso, nella critica all'animazione seriale giapponese, un certo risentimento (anche comprensibile) per aver messo nell'angolo quella italiana, non comprendendo che i produttori ed animatori nipponici ci permettevano di vedere delle storie, molto spesso ben articolate, con sviluppo dei personaggi e addirittura un buon numero di contenuti etico-morali. Grisù ed il Signor Rossi non solo non potevano competere a livello economico, ma neppure a livello contenutistico.
Comprendo bene le critiche di Maisetti, non capisco, invece, specialmente per un esperto del settore, come non si riuscisse a vedere quanto fossero rivoluzionari quei cartoni animati giapponesi.
Se è indubbio che tra le tonnellate di serie arrivate dal Giappone in Italia in un così breve lasso di tempo, alcune erano di certo abbastanza scarse dal punto di vista dei contenuti, altre si dimostrarono dei piccoli capolavori (Heidi, Anna dai capelli rossi, Capitan Harlock, Conan il ragazzo del futuro, etc etc), apprezzati anche oggi.
Bisogna riconosce all'autore che almeno non tirò in ballo la fandonia dell'uso del computer per creare i cartoni animati giapponesi, ma il soggetto della sua critica era, in questo caso la serie di Lady Oscar, che veniva inserita tra le serie giapponesi la cui "qualità resta però ancorata ai livelli più bassi, con risultati in qualche caso del tutto inaccettabili sotto il profilo educativo".
Osamu Dezaki, Shingo Araki e Michi Himeno ringraziano ^_^
Lady Oscar "è un disegno animato giapponese di successo, tradotto in fumetti già all'origine per un settimanale per ragazzi"...
Qui si nota la totale non conoscenza dell'argomento specifico, infatti il manga di Lady Oscar venne pubblicato nel 1972, ergo anticipò di ben sette anni la versione televisiva!
Considerando che nel 1982 non esisteva il web, è chiaro che certe informazioni non fosse molto agevole reperirle, ma allora perché riportare dati errati?
Non sarebbe stato più saggio mantenersi sul vago?
Il bello è che è errato anche il successivo concetto: "... e approdato in Italia sulle pagine del Corriere dei Piccoli, che l'ha reso familiare ai propri lettori, agevolandone così l'approccio televisivo".
Mi pare di aver capito che per l'autore il fumetto di Lady Oscar ospitato da "Il corriere dei Piccoli" arrivò prima dell'anime, mentre fu esattamente l'opposto.
E questa era una informazione che si poteva riportare correttamente.
Devo dire che la sinossi dell'anime è grandemente corretta, i giudizi negativi ci possono anche stare, però dimostrano che erano veramente pochi gli intellettuali che riuscivano a mantenere una mentalità aperta verso prodotti che esulavano dalle loro conoscenze.
La condanna definitiva e senza appello possibile a Lady Oscar risiede in quel "... trasudano conflitti interiori e violenze occulte assai più nocive una mente infantile dell'aggressività aperta ed esplicita di Goldrake e dei suoi epigoni".
Cioè Lady Oscar era più pericolosa di Goldrake!!! ^_^
"Ahimè, far dell'ironia è anche troppo facile, per un adulto s'intende. Ma un bambino ha bisogno di certezze, di indicazioni precise, di chiarezza soprattutto. E il serial giapponese gli offre esattamente il contrario, almeno in questo caso."
Purtroppo ai tempi era poco conosciuto il fatto che i produttori giapponesi targhettizzavano le serie animate, e Lady Oscar non era per i bambini delle elementari, come non lo era la prima serie di Lupin III, tanto per fare un esempio degli albori dell'animazione seriale giapponese in Italia.
Io vidi Lady Oscar quando ero già alle medie, ma non era colpa della serie animata giapponese se Italia 1 lo mandò in onda a beneficio di tutte le età.
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Ma poi, questo tizio sapeva che si ricorreva proprio ai giapponesi anche per farsi animare il nostro Calimero? :o
RispondiEliminaComunque imprecisioni e sciocchezze tipiche di un tempo di giornalismo settoriale molto agli esordi, impreciso e di parte...
Moz-
Immagino di no, quello che sorprende è la dovizia di particolari su un qualcosa che non esisteva...
EliminaMa magari tutti i cartoni fossero di bassa qualità come Lady Oscar! Non si dormirebbe la notte per vedere tutto.
RispondiEliminaPer quanto in parte comprensibile il declino dell'industria italiana non era certamente colpa delle produzioni giapponesi.
Prima degli anime l'animazione italiana era già scomparsa dalla televisione, era tutto un Hanna & Barbera, MGM e Warner...
EliminaI giapponesi gli diedero solo la mazzata finale, ma erano probabilmente un bersaglio a cui dare colpe più additabile degli americani.
I giapponesi bloccarono per vent'anni la nostra animazione, che già era sciancata da un infinità di mancanze: pochi studi, pochi autori (e uno, Bruno Bozzetto, francamente monopolista) e poca conoscenza. Domeneghini imitava troppo Walt Disney, e il suo film dovette farselo far finire dagli alleati inglesi, uscendo nel 1949. I Pagot già due anni prima erano usciti a Venezia, ma a onta di un Technicolor acido, infiammabile e martoriato dalla conversione in b/n. Bozzetto, di nuovo, racconta delle perplessità dei distributori per West & Soda, il pubblico deserto per Allegro non troppo, e come all'Italia non interessasse quasi niente sull'animazione. Ti sembreranno poi tanto strani tutti quegli strali, quelle accuse al Giappone di essere imperialista? Certo, sull'America c'era meno aggressività, ma era anche più feroce: non dimenticarti che alla sinistra non andava a genio nemmeno Topolino, era solo che l'animazione giapponese era più capillare, e più invasiva. Se fossimo stati come gli americani, e a livello di benessere e velocità tecnologica eravamo davvero al loro passo, non avremmo avuto questo regime di mosche bianche. Invece il nazionalpopolarismo.....
RispondiEliminaColpa dei comunisti? ^_^
EliminaMagari, forse, capitò solo che i cartoni animati erano meno interessanti di quelli statunitensi (Hanna e Barbera, Warner etc), ed in seguito ancor meno interessanti di quelli nipponici.
Non è che puoi obbligare un bambino a vedere un cartone animato facendo leva sul nazionalismo, il sovranismo, l'amor di patria, quello ti guarda il cartone che lo avvince :]