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martedì 11 giugno 2019

Due lettere alla redazione con risposte - "Bimbosapiens" n° 5 settembre/ottobre 1982





Con questo terzo post consecutivo, contenente due lettere alla redazione, concludo la panoramica su Bimbosapiens. Entrambe le risposte alle missive dei lettori sono paradigmatiche di quanta poca volontà di informarsi avessero sia gli addetti ai lavori che le pubblicazioni che ne ospitavano gli articoli.
Il settembre 1982 non era l'aprile 1978, mentre posso anche comprendere (ma non giustificarne le fake news) che i giornalisti ed esperti fossero stati completamente spiazzati dal successo di Goldrake, e quindi dovettero trasformarsi in conoscitori un tanto al chilo dell'animazione giapponese, non mi capacito come ben quattro anni dopo non si riuscisse a dare una informazione corretta sul tema.
Qui ci troviamo di fronte alla classica lettera di un lettore che chiede ulteriori delucidazioni su una tematica sollevata dalla redazione, quindi la quintessenza dello scopo di una pubblicazione: informare!

Fu stato espletato il compito istituzionale che ha qualsivoglia redazione di un quotidiano o rivista?
Direi ampiamente no...

Particolare attenzione  merita la prima lettera, scritta da un dodicenne (magari aiutato da un adulto, altrimenti vanno a lui tutti i miei più vivi complimenti) che non si limita ad una lagnanza rispetto all'articolo di Giannalberto Bendazzi presente nel numero di gennaio/febbraio 1982:
"Il trionfo del computer"

Giuseppe Bonelli (il dodicenne) spiega bene il suo punto di vista, ed avanza anche una teoria assai acuta per l'età dello scrivente, la risposta di Bendazzi non deve essere considerata non corretta per i giudizi negativi che lui riporta sull'animazione seriale giapponese, del tutto leciti (non la apprezzava, fine), ma perché vengono date delle informazione al ragazzino (e a tutti quelli che lessero la risposta) assolutamente prive di fondamento.
Dove Bendazzi lesse queste informazioni? Mistero.
La seconda lettera è molto più breve, e mi pare di capire che fu la redazione a scrivere la risposta ad una madre che esprimeva inquietudine per i messaggi sessualmente equivoci presenti in cartoni animati come "La Principessa Zaffiro" e "Lady Oscar".
Anche in questo caso l'argomentazione della rivista parte dal medesimo presupposto di quella precedente di Bendazzi, dando informazioni che non si comprende da dove provenissero, se non da un pregiudizio nei confronti di un prodotto seriale non occidentale: giapponese, ergo di certo creato grazie chissà a quali piani diabolici   ^_^



La disinformazione, fatta volontariamente o per pressapochismo, ha delle conseguenze, e le si può apprezzare nella lettera dell'alunno monzese di seconda media Giuseppe Bonelli, il cui incipit parte  dando per assodato che la bufala sui cartoni animati giapponesi fatti col computer fosse vera.
Come mai lo credeva?
Perché aveva letto l'articolo linkato sopra, ed aveva anche assistito ad un dibattito in cui era presente lo stesso Bendazzi:
"Condivido la sua opinione sulla meccanicità dei movimenti dei cartoni animati giapponesi, realizzati col computer, soprattutto se paragonati a quelli di Disney.".

Perché paragonare una animazione seriale televisiva fatta al risparmio, come tutta l'animazione seria televisiva (compresa quella statunitense ed italiana), con l'animazione cinematografica?
Avrebbe avuto senso mettere a confronto i film animati della Disney con i film animati della Toei ( link 1 - link 2 - link 3 ), questo si, ma non animazione cinematografica contro animazione seriale televisiva...
Ma, soprattutto, NON ERA VERO CHE I CARTONI ANIMATI GIAPPONESI FOSSERO FATTI AL COMPUTER!  ^_^

Quindi il povero Giuseppe partiva dando ragione all'illustre esperto su un fatto in cui quest'ultimo aveva torto, sarebbe cambiata l'argomentazione del ragazzo se avesse saputo la verità?
Comunque il ragazzo non si perde d'animo, non potendo difendere i cartoni animati sul versante estetico, essendo prodotti da diaboliche tecnologie avanzatissime (ma con risultati qualitativi pari a zero...), avanza un parallelismo tra gli eroi dell'epica cavalleresca e gli eroi robotici animati giapponesi.
A me non verrebbe in mente neppure oggi un argomento del genere  >_<

"E allora, perché l'eroe di una serie spaziale non può rappresentare il nostro periodo?"

Già, perché non poteva?
Perché la potevano pensare così solo i dodicenni  ^_^


Sia chiaro, l'argomentazione di Bendazzi che si oppone alla teoria del ragazzo non la contesto, anche se oggi molti saggisti cresciuti con quei cartoni animati robotici sostengono le stesse idee del dodicenne, quello che non convince è il suo "perché" successivo.



"Perché nel fare gli episodi di Mazinga collaborano ferreamente dei tecnici specializzati: esperti di marketing, esperti di psicologia della comunicazione, esperti di psicologia dell'infanzia, disegnatori, registi, animatori, produttori, distributori.
Tutti costoro puntano a un solo scopo: costruire un prodotto vendibile alle televisione di tutto il mondo, imporre i loro personaggi ai ragazzi di tutto il mondo.".

Ma se tutte le figure descritte sopra avessero veramente partecipato ad una riunione pianificatrice sulla serie animata di Goldrake, avrebbero partorito lo stesso la malsana idea di relegare Koji Kabuto, eroe di tutti i bambini nipponici, a pilota dello sfigatissimo TFO?
Il prodotto doveva essere appetibile per gli sponsor, non v'è dubbio, ma non per quelli di tutto il mondo, solo per quelli nipponici... Bendazzi (e non solo lui) era veramente convinto che quei cartoni animati degli anni 60, 70 ed 80 che venivano mandati in onda nel 1982, facessero parte di una operazione pianificata di marketing globale... lo credeva sinceramente, sarebbe interessante capire in base a cosa, e quale fosse stata la sua fonte.
Dove aveva letto che esperti di marketing, esperti di psicologia della comunicazione, esperti di psicologia dell'infanzia, disegnatori, registi, animatori, produttori e distributori partecipavano alla creazione di un serial animato giapponese?
Non dimentichiamoci delle tante serie chiuse in fretta e furia o modificate in corso d'opera perché non avevano ottenuto il favore dei giovani telespettatori nipponici, e che, invece, in occidente ebbero un successo clamoroso.
Goldrake ne è l'esempio lampante, ma vi aggiungo Tekkaman.



Segue paragone gastronomico, che a me pare non abbia nessun senso. Ovviamente sbaglio io.



Non ho capito del tutto il ragionamento finale:
"Ma attenzione, Giuseppe, se anche tu, come me, pensi che l'Iliade è bella e Goldrake è brutto, allora nessuno ci impedisce di guardarci lo stesso Goldrake... etc etc"

Ma se Giuseppe si fosse convinto della bruttezza di Goldrake, perché avrebbe dovuto continuare a vederlo?
Sono entrambi belli in modi diversi. Ovviamente l'Iliade lo sarà per l'eternità, mentre Goldrake lo è stato per la nostra generazione.
E forse Giuseppe voleva solo dire che Goldrake e soci potevano essere i nostri eroi moderni come gli eroi cavallereschi lo erano stati per i bambini delle generazioni passate.
O forse sono io a non aver compreso ciò che voleva dire il mio coetaneo.





L'altra lettera denuncia una situazione grave.
Una madre è preoccupata del potere che la televisione ha sui suoi figli, ma nel particolare vuole capire perché i giapponesi idearono personaggi femminili travestiti da maschi come la Principessa Zaffiro e Lady Oscar, infine se questo potrebbe nuocere all'identità sessuale dei giovani telespettatori italiani.
La signora Simonetta Tucci non conosceva l'argomento e quindi chiedeva lumi alla redazione di Bimbosapiens, ma la redazione conosceva l'argomento?  >_<



La risposta tocca delle vette inusitate di disinformazione.
Ok, si partiva dal presupposto che i cartoni animati giapponesi erano diseducativi, la rivista era loro e avevano tutto il diritto di pensarla così, ma fa sobbalzare il passaggio successivo:
"... vorremmo sottolineare che i giapponesi prima di produrre un personaggio si affidano all'accurato studio di esperti sulla psicologia infantile, in modo da sfornare un prodotto di consumo, un personaggio popolare che possa fare sicura presa sulla psiche del bambino, poco importa se negativamente, l'importante è che piaccia e che il prodotto venda."

La signora, dopo aver letto queste righe, si sarà convinta della diabolicità dei giapponesi, e probabilmente avrà vietato ai figli di guardare altri cartoni animati. Oppure avrà iniziato a preoccuparsi a più non posso per i pericoli inerenti l'identità sessuale dei suoi tre maschietti.
Sarebbe stato bello leggere, invece, che il creatore della Principessa Zaffiro era un grande appassionato del teatro Takarazuka, e che grazie a quegli spettacoli creò un nuovo genere di manga, lo shojo manga, a cui si ispirò l'autrice di Lady Oscar, etc etc etc
Questa sarebbe stata una informazione corretta, magari la signora non avrebbe calmato i suoi timori, ma almeno avrebbe avuto notizie reali.
Il finale è degno della polemica di Vera Slepoy vs le Sailor Moon, ma con 15 anni di anticipo:
'SAILOR MOON': SLEPOJ, DISTURBA LO SVILUPPO SESSUALE




4 commenti:

  1. Beh, gli autori, gli storytellers, coloro che hanno le storie e le devono raccontare, liberi di certo non erano. Lo stesso Tezuka si ritraeva nell'atto di rimuoversi la testa e cercare di estrarne qualcosa, ma niente, materia grigia prosciugata (https://tezukainenglish.com/wp/?p=9571). "Non pensavano a un pubblico internazionale?" seeee.....i giapponesi dieci anni dopo avrebbero sganciato la bomba del Cool Japan, e loro al resto del mondo ci pensavano eccome: tutti quegli accordi con americani, francesi (Ulysses 31) e italiani (Il fiuto di Sherlock Holmes), il soft power, i proverbiali "ragazzi di Torino che sognano Tokyo e vanno a Berlino" che dimostrerebbero allora? Ah, poi c'è il mitico Joe7: Poco prima dello scoppio dei tempi bui della Rivoluzione Francese, nella nobile famiglia dei Jarjayes nasce l'ennesima figlia, la sesta, e il padre, che vuole un maschio, decide di chiamare la bambina Oscar, un nome maschile, e di farla crescere come un uomo. Tra l'altro, Oscar non avrà altri fratelli maschi, quindi è l'ultimogenita della famiglia.
    Per contrappasso, Andrè, l'uomo legato a Oscar, ha il nome Andrea, che è sia maschile che femminile.

    Il nome Oscar sta per Auscario o Ansgario (il significato del nome non è chiaro), un nome oggi caduto in disuso. E' di origini nordiche e il santo a cui si fa riferimento è un frate cappuccino dell'800 di nome Oscar di Brema, missionario in Danimarca e Svezia. Il fatto che Margaret Herrick, la direttrice dell'Accademia Americana delle Arti - che è l'organizzazione che consegna i premi Oscar - avesse avuto uno zio che si chiamava Oscar e che somigliava alla statuetta e per questo diede questo nome al premio omonimo, fa capire che almeno la Herrick aveva più sale in zucca del signor Jarjayes, visto che lei aveva dato un normale nome maschile a una statuetta che rappresentava un uomo. Se ci fosse stato Jarjayes al suo posto, l'avrebbe chiamato Premio Maria Antonietta, visto che non aveva ben chiaro il fatto dell'esistenza dei maschi e delle femmine.

    Non si sa bene perchè la Ikeda abbia dato proprio il nome "Oscar" alla protagonista. D'altra parte, è strano che un nobile francese come il Jarjayes (veramente esistito, tra l'altro) abbia voluto dare un nome non francese al "figlio" tanto desiderato. Comunque, per sicurezza, lui l'ha chiamato anche Francois, che sta per il maschile Francesco: se fosse stato femminile, sarebbe stato Francoise. Infatti, Lady Oscar Francois de Jarjayes è il suo nome completo, come sanno tutti gli appassionati. Quindi Lady Oscar ha due nomi maschili e nessuno femminile, forse per sottolineare le sua - fittizia - mascolinità.

    Da qui i banali e stucchevoli luoghi comuni che ci sono oggi su Lady Oscar a favore dell'ideologia femminista, o dell'ideologia gender, molto diffusa adesso, in cui si è maschi o femmine a seconda di come ci si sente. Ma queste ideologie sono tutte idiozie: se sei una donna, non hai bisogno di comportarti come un uomo per far vedere quanto vali. Se sei un uomo e ti senti di essere una donna, o viceversa, il difetto non è nel tuo corpo, ma nella tua testa. In questo caso, sono problemi psicologici: non sono condizioni normali.

    E infatti quella di Lady Oscar è una storia anomala, non una storia normale. E in quest'anomalia, dove Oscar è costretta a giocare un ruolo contrario alla sua natura femminile, il personaggio non è un personaggio felice, ma sofferente. Non perchè le impediscono di essere un uomo (che lei non è), ma perchè le impediscono di essere una donna (che lei, fisicamente e psicologicamente, è.

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    1. Mi permetto di replicare alla risposta prima della spiegazione sul nome Oscar.

      Ti risulta che nelle riunioni ci fossero tutte le figure elencate nell'articolo?
      Che ci fosse il regista, lo sceneggiatore e magari qualcuno della produzione mi pare scontato, e che si coordinassero con chi sponsorizzava la serie quasi ovvio, ma gli altri "specialisti"?
      Ma, soprattutto, da dove venne presa questa informazione?
      Mi pare che tu non colga il punto della questione: venne creata una narrazione basata sul nulla, inventata, e i lettori si rifacevano a questo.
      Ne è la prova la stessa lettera del ragazzo, che prende per vero che quei cartoni fossero fatti al computer.

      Che i cartoni animati giaponesi vennero venduti all'estero mi pare acquisito, altrimenti noi non li avremmo mai visti, ma vennero creati con l'intento di essere venduti all'estero?
      No.
      Dovevano vendere un prodotto giapponese, essere visti alla tv giapponese, piacere ai bambini giapponesi.
      Se poi, una volta fatto il loro dovere originale, li si riuscivva a piazzare all'estero, tanto meglio.
      Con il tempo si son creati un mercato.
      Mentre l'autore dell'articolo afferma proprio che già in orginine fossero pensati per piacere a noi occideentali.
      Ma, di nuovo, il punto è:
      da dove prese questa informazione?

      Tu oggi scrivi su questo blog che, invece, quegli anime furono prodotti per essere venduti all'estero.
      Io non concordo, ma puoi fare questa affermazione basandosi sulle informazioni di questi decenni.
      Il putno è di nuovo il medesimo di cui sopra, cioè nel 1982 (ed ancora di più negli anni prima) certe affermazioni erano basate sul nulla, pure invenzioni, che si propagarono a velocità fotonica (tanto per mantenermi in tema).

      Secondo me non devi porti il problema di cosa scrivo io, , che è del tutto superfluo, ma di cosa scrissero loro.

      Mio punto di vista ^_^

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  2. Per me tutto avvenne come nel gioco del telefono senza fili (o del passaparola, chiamiamolo come vogliamo): la voce sbucò dal nulla, probabilmente sulla base dell'alta tecnologia per cui era noto il Giappone (visto che erano così tecnologici, sicuramente anche i cartoni li dovevano sfornare con quel sistema, no?...) e iniziò a circolare, finendo per essere avvalorata come una verità inoppugnabile... in pratica, una fake news ante litteram che nessuno si prendeva mai il disturbo di andare a verificare perché parlare male degli anime era ormai uno sport nazionale, lo facevano tutti (sentivo persino chi ne parlava male, ma intanto li guardava e non gli dispiacevano...), quindi, chi se ne frega se fosse o meno vero se fossero "fatti col computer"? Io ricordo benissimo che questa leggenda metropolitana era talmente radicata che, appunto, eravamo tutti convinti che fosse vera, per quanto adorassimo gli anime. Ironia della sorte, oggigiorno, mentre noi occidentale siamo passati al computer, il tanto vilipeso computer, per creare i nostri film di animazione (non per i cartoni seriali!)... i giapponesi, da Miyazaki a Takahata, invece, continuano a regalarci film-capolavori interamente fatti a mano! Magici, poetici, maturi, edificanti e bellissimi...

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    1. Sai che non sono concorde con la tua teoria causalistica?
      All'origine di tutto c'è, a mio avviso, un articolo di Paolo Cucco su TV Sorrisi e Canzoni proprio nel numero della prima puntata di Goldrake:

      http://imagorecensio.blogspot.com/2016/04/tv-sorisi-e-canzoni-n-14-dal-2-al-8.html

      In quelle poche righe ci sono gli stessi argomenti fantasiosi che tutti i successivi giornalisti ed esperti riproporranno.
      Ma la domanda, a questo punto, è un'altra, da dove Paolo Cucco apprese che quei cartoni animati giapponesi erano fatti al computer?

      Nel dicembre del 1978 Paolo Cucco scrive un altro articolo su Goldrake, in cui cita il saggio di Gainnalberto Bendazzi "Topolino e poi":

      http://imagorecensio.blogspot.com/2018/11/tv-sorrisi-e-canzoni-n-51-dal-17-al-23.html

      Quindi il giornalista forse lo conosceva fin dal precedente articolo dell'aprile 1978, il saggio di Bendazzi non afferma che gli anime erano fatti al computer, ma parla anche della nuova frontiera dell'animazione computerizzata:

      http://imagorecensio.blogspot.com/2018/11/topolino-e-poi-cinema-danimazione-dal.html

      Secondo me Cucco ipotizzò che se il computer lo avevano gli americani, ma per fare un altro tipo di animazione al computer, lo dovevano avere anche i giapponesi, machi della tecnologia miniaturizzata.

      Se hai la pazienza di leggere i relativi post capirai meglio la mia teoria.


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