TITOLO: Da Pearl Harbor a
Okinawa, la sconfitta del Giappone
AUTORE: Tameichi Hara
CASA EDITRICE: Edizioni Res Gestae
PAGINE: 324
COSTO: 19€
ANNO: 2014
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788866970705
Inizio
con una (non) piccola premessa sulla gestione di questo titolo da
parte della casa editrice. Quando si legge un libro penso che sia
fondamentale (lo è per me) capire quando il libro è stato scritto,
specialmente per un libro di carattere storico. Scrivere della
seconda guerra mondiale nel 1951 è diverso che farlo nel 2011 o nel
1970, il lettore che conosce la data in cui è stato scritto il libro
potrà valutare se l'autore aveva o meno delle fonti storiche
autorevoli su cui fare affidamento.
Anche
io avevo capito che l'autore del libro aveva partecipato alla seconda
guerra mondiale (o come la chiamano i giapponesi, “la guerra del
pacifico”), ma quando scrisse questo libro?
Nella
prefazione del libro non si capisce neanche quando questa sia stata
scritta (la prefazione), parrebbe contemporanea, in fondo se non
viene specificato il contrario è ovvio considerarla tale. Il dubbio
si esaurisce quando, sempre nella prefazione, si legge che chi scrive
si sta recando allo stand dell'Unione Sovietica alla fiera del libro
di Francoforte. Aggiungo che come anno di stampa sul libro è
riportato il 2014, nessun accenno che sia una nuova edizione di una
pubblicazione passata, ma quando fu pubblicato la prima volta questo
libro in Giappone? E quando fu tradotto in lingua inglese e poi per
l'Italia?
Grazie
a Wikipedia scopro che Tameichi Hara pubblicò “Japanese
Destroyer Captain” (titolo inglese del libro) per gli Usa nel 1961,
ma non ho svelato il mistero sulla data di pubblicazione in Giappone
e in Italia.
Ma
sarebbe costato così tanto alla casa editrice, non dico fare uno
straccio di prefazione nuova , ma almeno specificare quando il libro
venne pubblicato in Giappone e in Italia. Capisco risparmiare, però
costa 19 euro, non 9...
Ok,
niente prefazione nuova, ma almeno uno straccio di ndice dei
capitoli, no? Neppure questo.
Concludo
le mie critiche sulla pubblicazione con il carattere usato per la
scrittura, ha senso usare un carattere minuscolo per poi lasciare
vuoti sulla pagina più di 2 cm e mezzo su tre lati e 3 cm
sopra?
La quarta di copertina.
La quarta di copertina.
Il
prologo del libro è scritto da Hara, comandante di
cacciatorpediniere della marina da guerra imperiale. Nel prologo Hara
parte dalla fine, il suo ultimo viaggio di scorta alla super
corazzata Yamato, nella missione suicida finale, che termina col suo
affondamento da parte dell'aviazione Usa il 7 aprile 1945.
Lo
scritto di Hara è una testimonianza di alcune battaglie e del
contesto in cui si svolsero, ma quando l'autore si lancia in
rievocazioni storiche generali prende il sopravvento la tendenza
giapponese a riscrivere le parti più sanguinose, sanguinose per chi
subì l'invasione giapponese, omettendo un certo numero di
particolari. E qui che ritorna il discorso sul conoscere la data di
pubblicazione originale, certe sue considerazioni su Nanchino non
sono accettabili sapendo che negli Usa il libro fu tradotto nel 1961.
Comunque
Hara non lesina le critiche agli alti ufficiali della marina, ed
anche a suoi colleghi comandanti, per il comportamento in guerra e le
scelte errate che fecero.
Spesso
L'autore si rivolge direttamente al lettore occidentale o americano,
questo implica che la nostra traduzione italiana provenga da quella
anglosassone, in una sola occasione si riferisce alla pubblicazione
giapponese, che quindi immagino fosse in qualche misura differente,
ipotizzo meno accettabile agli americani.
Parte
uno: Sono nato samurai
Tameichi
Hara racconta i propri natali: nato il 16 ottobre 1900, i genitori
sono agricoltori che faticavano a sostenere la famiglia, il nonno
(Moichiro Hara) fu un samurai del feudo di Takamatsu (il cui daimyo
era Yorichika Matsudaira), finché l'imperatore Meiji non elimino le
caste e modernizzò forzatamente la nazione. In punto di morte il
nonno di Hara (che ha solo sei anni), dandogli la sua spada da
samurai, gli disse (pagina 18):
“Tamei,
è tua. Ascolta adesso attentamente le ultime parole di tuo nonno.
Tameichi Hara! Sei figlio di samurai e non dovrai mai scordarlo. Il
samurai vive in modo di essere sempre pronto a morire. Non
interpretare male questo insegnamento. Non cercare mai una morte
facile, perché ciò sarebbe contrario al vero spirito del Bushido.
Ti ho raccontato spesso di valorosi samurai che hanno affrontato
gravi stenti per portare a termine la loro missione. Cerca di fare
come loro. Sii sempre in guardia e raddoppia sempre i tuoi sforzi per
migliorarti”.
Son cose da dirsi ad un bimbo di sei anni?! Ma,
soprattutto, chi mai potrebbe ricordarsele?
Hara entra all'accademia navale di Eta Jima il 26 agosto
1918. Subito viene picchiato duramente da uno studente del terzo
anno, che trova una scusa per punirlo, e la cosa si ripete per tutto
il primo anno di accademia. Le punizioni corporali tra i militari
erano la norma, incentivate dai superiori per rendere obbediente la
recluta, e furono una delle cause del comportamento criminale dei
soldati nipponici verso i prigionieri e verso i civili delle zone
conquistate. In fondo se un giapponese aveva il diritto di percuotere
un altro giapponese per motivi disciplinari, cosa poteva impedire ad
un figlio di una razza eletta di accanirsi contro un barbaro?
Hara ammette che quei trattamenti verso le reclute erano
inutili e brutali, e durante il suo comando li ha sempre impediti. Si
diplomò il 16 luglio 1921, e il suo primo imbarco da cadetto fu
sull'incrociatore Izuma. Racconta che la vita sulla Izuma faceva
rimpiangere quella a Eta Jima. Proseguendo nel racconto dei suoi
incarichi e dei fatto storici che si susseguivano incappa anche lui
in Nanchino, (pagina 33):
“Il
suolo cinese era allora conteso fra due maggiori generali, Ciang
Kai-scek a sud e Ciank Tso-lin a nord. Le forze di Ciang Kai-scek
ebbero la prevalenza all'inizio del 1927 e occuparono Nanchino il 24
marzo. Le forze di Ciang Kai-scek commisero là un errore capitale.
E' un fatto storico, sebbene ormai eclissato dai seguenti avvenimenti
da parte giapponese, che le truppe di Ciang Kai-scek saccheggiarono
Nanchino, irruppero nei consolati e molestarono i civili giapponesi,
inglesi, americani e francesi.”
Quindi
i cinesi nel 1927 “molestarono” i civili stranieri, mentre non si
capisce bene quali fossero gli atti giapponesi commessi in seguito,
su cui Hara glissa con un “dai seguenti (nel senso di successivi)
avvenimenti da parte giapponese”. Negli anni 50 si era a conoscenza
del massacro di Nanchino ad opera giapponese in Giappone? Si, quindi
Hara fa l'indiano, anzi, “il giapponese”...
Hara
racconta anche il suo matrimonio combinato (omiai) con la moglie.
Per
un giapponese dell'età di Hara (ma direi anche di oggi) il periodo
storico 1931/1937 in Cina è sempre molto confuso, infatti si lancia
in una mini riscrittura storica.
Poche
righe, invece, sono riservate al tentativo di colpo di stato dei
militari il 26 febbraio 1936, ma l'autore scrive una cosa che i
difensore a spada tratta del povero imperatore Hirohito che non
contava nulla dovrebbero leggere (pagina 42):
“Sua
Maestà l'Imperatore ordinò alla marina di schiacciare la
ribellione.”
Quando gli faceva comodo Hirohito aveva il coraggio di
schierarsi contro l'esercito, e l'esercito obbediva, l'avesse fatto
più spesso...
Parte due: Da Pearl Harbor a Guadalcanal
Il secondo capitolo inizia col racconto di Hara della
riunione del 9 ottobre 1941 convocata sulla nave ammiraglia Nagato,
alla fonda ad Hiroshima, durante la quale il l'ammiraglio comandante
in capo Isoroku Yamamoto avvertiva gli ufficiali che la guerra contro
gli Usa era vicina.
Hara non partecipa con la sua nave all'attacco di Pearl
Harbor, ma è dislocato nelle Filippine. Racconta le operazioni a cui
partecipa e l'euforia per le vittorie giapponesi, benché lui affermi
più volte che fosse contrario alla guerra contro gli Stati Uniti,
perché li riteneva più forti come apparato economico/industriale.
Nelle cronache delle battaglia a cui partecipa, o di cui racconta
senza avervi partecipato, molte sono le critiche mosse contro l'alto
comando giapponese, per le scelte tattico/strategiche errate. Non
critiche filosofiche, ma contestazioni su singoli ordini o
sull'affidamento di comandi ad ufficiali non abituati al
combattimento in mare.
Dato che Hara partecipò, tra le tante, alla battaglia
del mar di Giava il 26/27 febbraio 1942, c'è un intero paragrafo che
la rievoca.
Parte terza: La “Tokyo Express”
Hara narra ciò che vide della battaglia delle Midway, a
cui partecipò solo in minima parte, il libro contiene i comunicati
radio arrivati alla sua nave, e i suoi commenti sugli errori della
marina imperiale.
Il capitolo s'intitola “La Tokyo Express” perché
gli americani così battezzarono il lavoro svolto dalle
cacciatorpediniere giapponesi che imbarcavano sia soldati che
approvvigionamenti, trasformando queste navi da battaglia in cargo.
Questo perché uno dei punti deboli giapponesi erano i rifornimenti,
con una cronica scarsità di navi da carico.
Hara racconta la sua partecipazione diretta al tentativo
giapponese di riconquistare Guadalcanal nell'agosto 1942. Sono
presenti le critiche dettagliate all'operato dell'ammiraglio
Yamamoto, l'autore afferma che queste sue critiche furono le prime
mosse nel dopoguerra da un ex ufficiale della marina.
Parte
Quarta: Contro l'impossibile
Hara
lasciò il comando della Amatsukaze, danneggiate nelle precedenti
battaglie, e venne promosso a capitano di divisione il primo maggio
1943, assumendo il comando della Shigure. L'autore ci tiene a dar
conto di tutte le volte che si oppose a dei piani militari poco
sensati, atteggiamento che nella marina imperiale era assai inusuale.
Comunque, alla fine, anche Hara doveva accettare gli ordini, per
quanto chiaramente insensati, dovendo obbedire alla catena
burocratica di comando giapponese. Ordini insensati come lo furono
quelli della missione di trasporto truppe del 6 agosto 1943 nel mar
delle isole Salomone, la battaglia del golfo di Vella, durante la
quale tre delle quattro navi della formazione giapponese vennero
affondate. Solo la nave di Hara era sopravvissuta, questo perché il
suo comandante si era rifiutato di accettare “l'onore” di guidare
la formazione, in quanto la sua nave era la più lenta delle quattro.
In questo capitolo la nave di Hara è sempre incaricata di missioni
di rifornimento truppe oppure di “tenshin”, “avanzate di
ritorno”, come il comando giapponese aveva ribattezzato le
ritirate.
Alla
fine del capitolo Hara viene rimosso dal comando dello Shigure per un
incarico a terra, presso la scuola siluranti come istruttore, il 27
novembre 1943.
Parte
Quinta: L'ultima sconfitta
Il 10
gennaio 1944 Hara divenne istruttore anziano della scola siluranti di
Oppama, ed in seguito spostato in un'altra scuola.
A
questo punto Hara racconta un aneddoto molto particolare: nel luglio
1944 era particolarmente frustrato, sia per le sconfitte subite dalla
marina imperiale, che per la pochezza di mezzi che aveva per istruire
i suoi allievi. Al culmine di questo stato emotivo scrisse una
petizione all'imperatore affinché ponesse fine alla guerra, prese il
primo treno per Tokyo e si recò al ministero della marina, dove
incontrò casualmente il contrammiraglio principe Takamatsu, fratello
di Hirohito. Gli chiese un colloqui privato e gli consegnò la sua
petizione, questi la lesse, la mise in tasca e disse ad Hara di star
tranquillo. Hara non seppe mai se il principe Takamatsu consegnò la
petizione all'imperatore, di certo si rese conto che questi non ne
fece parola con gli altri altri ufficiali della marina, altrimenti
Hara sarebbe stato condannato a morte per alto tradimento.
L'autore
scrive che in seguito si pentì di quel suo gesto, perché
l'imperatore non aveva il potere di porre fine alla guerra, anche se
è lui stesso a rendersi conto che nel febbraio 1936 e nell'agosto
del 1945 Hirohito, invece, intervenne in prima persona.
Hare
racconta del mutamento dello scopo della sua scuola di addestramento,
che iniziò a fare corsi per kamikaze, esprimendo contrarietà per
questa tattica che sacrificava inutilmente soldati, marinai ed
aviatori, ma alla fine accettò l'idea che un soldato potesse
volontariamente sacrificarsi per la patria. Agli allievi fu
sottoposta la scelta volontaria di quale corso scegliere, kamikaze o
corso normale di addestramento. Dei 400 allievi del suo corso in 200
scelsero il corso normale (non suicida). In 150 quello delle
torpediniere kamikaze, chiamate “Shinyo”, “terrore
dell'oceano”, anche se di terrificante per il nemico avevano ben
poco, essendo fatte per lo più in legno e montando motori di
automobili. In 50 scelsero il corso degli uomini-rana, “fukuryu”
(drago nuotante), in cui gli uomini in immersione dovevano camminare
sul fondo e piazzare esplosivo sotto le navi nemiche, praticamente
altri kamikaze.
Nel
dicembre del 1944 Hara torna in servizio attivo sull'incrociatore
leggero Yahagi. Hara prosegue nel criticare l'operato degli uomini
dell'alto comando militare. Gli americani avevano invaso Okinawa,
Hara e tutte le navi della flotta imperiale, compresa la super
corazzata Yamato, si apprestavano ad una missione suicida per
rallentare l'avanzata Usa: l'operazione Ten-go.
E'
dato largo spazio alla comunicazione degli ordini riguardanti la
missione Ten-go, ai suoi preparativi, allo stato d'animo di Hara e
degli altri comandanti, fino alla partenza.
Vine
fatta la cronaca dettagliata della partenza del convoglio fino al
momento in cui gli aerei Usa avvistarono la Yamato e le altre navi
affondandole praticamente tutte. Era il 7 aprile 1945, ed il racconto
di Hara si conclude nel punto in cui era iniziato nel prologo.
grazie per la recensione mi chiedevo proprio se questa fosse una riedizione di "per un milione di morti" oppure no. Per le imprecisioni storiche non ti crucciare, basta leggere un qualunque volume della osprey o leggere i tanti tweet dedicati alla seconda guerra mondiale per capire che gli americani (e mica solo loro) riscrivono la storia anche adesso.
RispondiEliminaSarebbe interssante avere la traduzione direttamente dalla versione Giapponese, come poi del 90% della letteratura orientale
Prego, mi fa piare leggere che una mia recensione, con tutti i limiti che queste hanno, su un libro serio sia stata di un qualche aiuto ;)
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