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lunedì 21 aprile 2014

Onore e spada, il Giappone dei samurai



TITOLO: Onore e spada, il Giappone dei samurai
AUTORE: Marino Corona
CASA EDITRICE: Edizioni Res Gestae
PAGINE: 296
COSTO: 24€
ANNO: 2013
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788866970583

Prima di addentrarmi nei contenuti del saggio storico di Marino Corona devo cercare di rendere chiara una domanda che mi ha assalito durante la sua lettura: di che anno è questo libro?
E' questo il quesito che mi ponevo mentre lo leggevo, inizialmente, leggendo la data di pubblicazione (2013), avevo dato per scontato che il saggio fosse attuale, ma durante la sua lettura mi era sorto il dubbio che potesse essere una ripubblicazione di un saggio scritto nel dopoguerra, al massimo negli anni 60. Questo perché l'autore, oltre a citare spesso il saggio di Ruth Benedict "Il crisantemo e la spada", parla del dopoguerra giapponese come se fosse un periodo passato da poco, mentre è un libro del 2013. In un libro storico scritto nel 2013 non mi pare molto sensato rifarsi al Giappone del dopoguerra come prova che l'etica del samurai è ancora viva e vegeta nel 2013. Il dopoguerra è passato da più di 50 anni, motivo per il quale ancora più illogico è continuare ad usare il bellissimo saggio di Ruth Benedict come emblema del Giappone contemporaneo. “Il crisantemo e la spada” è uno stupendo saggio, basilare per iniziare a conoscere il Giappone, ma è una partenza, ormai ha 70 anni, e quando lo trovo ancora come esempio reale di quello che è la società giapponese di oggi rimango sempre un po' basito. In questo l'autore non è solo, altri scrittori lo utilizzano ancora come paradigma del Giappone contemporaneo, pare quasi che la sociologia del Giappone scritta in occidente e tradotta in italiano si sia fermata al 1940.
Detto ciò, questo saggio storico non procede nella classica maniera cronologica di ogni libro storico, ma parte dalla vendetta dei 47 ronin (scelto come racconto emblematico dell'etica samurai) per poi fare un po' avanti ed un po' indietro nel tempo, per terminare al punto di inizio, l'epoca Tokugawa.
Il taglio è molto romanzato, relativamente poche le date storiche, resi al minimo i nomi dei personaggi storici e dei luoghi, molto spazio è riservato alla vita di corte, alla cultura delle varie epoche, allo stile di vita delle classi sociali. Questo approccio lo rende di facile lettura, anche se si scontra con le problematiche sopra esposte, oltre a soffrire di una certa dispersività.
L'autore vuole spiegare come la cultura dei samurai di epoca Tokugawa ha forgiato il Giappone moderno (ed è in questo frangente che considera “moderno” un Giappone del dopoguerra), inculcando nella mente dei giapponesi dei modelli comportamentali difficilmente eludibili.
In tutto il primo e secondo capitolo si parte da un racconto popolare (i 47 ronin, le rappresentazioni teatrali in stile joruri, il racconto di “Gihei e Koharu”, etc) per evidenziare alcuni singoli punti della vita di un samurai e della società giapponese di quel periodo. Un espediente che rende la lettura dei due primi capitoli piacevole e scorrevole, a parte la tendenza presente nel secondo capitolo a giustificare il comportamento giapponese nella seconda guerra mondiale come retaggio storico dei samurai (dal “ho eseguito gli ordini” al “è colpa dei samurai”).
Nell'indice non sono riportati i titoli dei paragrafi, cosa che avrebbe permesso di avere un'idea più precisa del contenuto del libro, ergo illustrerò per sommi capi questi paragrafi.
Capitolo 1: L'epoca Tokugwa
Sempre prendendo spunto dalla storia dei 47 ronin è raccontata la storia del teatro kabuki, la cui prima versione è fatta risalire al 1603, ad opera della sacerdotessa shintoista O-Kuni, il cui ballo (accompagnato da strumenti) faceva parte del culto di un tempio vicino alla città di Heian. In seguito O-Kuni lasciò il sacerdozio per legarsi ad un ex samurai, con il quale diede vita alla prima compagnia teatrale di kabuki. Sempre raccontando la storia del kabuki si passa tra il 1700 ed il 1800, durante il cui periodo il kabuki fu superato dalla fama del teatro delle marionette, per poi riottenere il favore popolare con la creazione dei drammi sentimentali (copiati dal teatro delle marionette): lo joruri, i suicidi romantici. Oltre al joruri avevano successo il jidaimono (drammi storici) e il sewamono (drammi di costume).
Altro salto temporale e si passa a raccontare il rapporto tra gli shogun e gli imperatori, soffermandosi su come lo shogun Ieyasu relegò la figura dell'imperatore a mera guida spirituale. Rinchiuso l'imperatore nella sua gabbia dorata di Heian non restava che imbrigliare gli altri daimyo, per impedire loro una rivolta. Per far ciò usò l'espediente di impoverirli obbligandoli a vivere sfarzosamente a turno nella capitale, oltre a tenere in ostaggio, sempre nella capitale, i loro più stretti famigliari.
Si passa ad illustrare la vita inoperosa di un samurai nell'epoca di pace dell'era Tokugawa, con la contestuale crescita d'importanza dell'etica del bushido, proprio in un periodo di pace assoluta.
Non manca il paragrafo con la descrizione delle condizioni di vita della classe contadina.
Si passa al paragrafo riguardante i mercanti e le persecuzioni verso stranieri e cristiani giapponesi.
Il capitolo si chiude con la descrizione della vita alla corte shogunale, niente date, niente nomi, un piccolo romanzo storico.

Capitolo 2: Il Giappone di ieri e di oggi
E' in questo capitolo che fa capolino la seconda guerra mondiale, secondo me una scelta poco felice, meglio sarebbe stato restare al periodo storico dei Tokugawa.
Attraverso il racconto di “Gihei e Koharu” viene raccontato come era organizzata la famiglia giapponese, e quali fossero i rapporti tra i famigliari.
Si passa a come i samurai, i nobili e i mercanti si svagassero nei quartieri dei divertimenti, in particolare ci si sofferma sui quartieri del piacere e sulla condizione di vita delle prostitute. Abbastanza incredibilmente (pagina 80) l'autore rende comune per tutte le prostitute l'istruzione impartita dalle case di tolleranza, privilegio che riguardava una minoranza di loro. Non di certo le povere donne dei postriboli, la stragrande maggioranza della case di prostituzione.
Viene illustrato lo stato di sottomissione della donna in famiglia verso il suocero, il marito ed il figlio maggiore. Nello stesso paragrafo, in maniera un po' confusionaria, si accenna al genere poetico haiku.
In uno dei paragrafi del capitolo si spiega come gli shogun Tokugawa diedero nuova vita alla religione shinto allo scopo di usarlo come strumento di sottomissione del popolo. Anche la setta zen del buddismo si prestava a questo scopo, in quanto predicava la dominazione delle passioni, il superamento della paura della morte, la rinuncia al superfluo, la disciplina e la sottomissione ai superiori.
E' illustrato sia quale tipo di pittura era in auge in epoca Tokugawa, sia la nascita e lo sviluppo delle ukiyo-e.
E' a questo punto del capitolo che si abbandona l'epoca Tokugawa per passare all'epoca Meiji, all'industrializzazione forzata della nazione e dell'imitazione dei costumi occidentali, fino a spingersi alla seconda guerra mondiale.
L'autore scrive che all'arrivo degli occidentali vennero vietate alcune consuetudini sociali che facevano apparire i giapponesi dei barbari, ridicoli (come il codino del samurai) o erano abitudini imbarazzanti (come i bagni pubblici dove il popolano si mostrava senza problemi nudo). Tra le abitudini imbarazzanti che vennero vietate inserisce anche i bordelli, ma personalmente ho sempre letto che questi non furono eliminati, ma solo spostati tutti in quartieri appositi, fuori dallo sguardo occidentale.
Una delle eredità sociali dell'epoca Tokugawa è il debito (o dovere) verso un'altra persona, “on”. Il più grande “on” è verso i propri genitori, che mai potrà essere ripagato. Il paragrafo prende spunto dal romanzo “Botchan”, scritto del dopoguerra, per illustrare la rigidità dei rapporti interpersonali in Giappone. Il paragrafo si trasforma un poco alla volta in un piccolo trattato sociologico sulla famiglia e la società giapponese, ma a cavallo del dopoguerra, infatti è in questo punto del libro in cui vengono spesso citate le conclusioni di Ruth Benedict come se riguardassero il Giappone attuale.
Si tocca l'argomento della seconda guerra mondiale e dei kamikaze, sempre nell'ottica che questi fatti storici furono figli dell'epoca Tokugawa. A parte questa considerazione dell'autore che trovo anche sensata (in fondo c'è sempre una causa antecedente ad un avvenimento), quasi tutto il resto del paragrafo ricostruisce una storia che mi è parsa tesa a giustificare il Giappone militarista. Riguardo ai kamikaze consiglio, invece, la lettura di “La vera storia dei kamikaze giapponesi”.
Il successivo paragrafo prende spunto dall'accettazione della sconfitta nella seconda guerra mondiale solo ad opera del discorso di resa di Hirohito per spiegare che i giapponesi, oltre a non ammettere mai di aver sbagliato nella vita di tutti i giorni, non accettano neanche le sconfitte sportive. Riporto la parte più esagerata di pagina 122:
Un analoga scena avviene sovente alla fine degli incontri di calcio, quando i componenti della squadra perdente si ritirano in un angolo del campo con la testa tra le mani, emettendo lamenti e piangendo uno sulla spalla dell'altro. Essi soffrono così profondamente di aver perso il proprio buon nome, che non temono più di esprimere in pubblico il loro dolore; sentono infatti di non avere più orgoglio da difendere.”.
Non so quale partita abbia visto l'autore, magari era la finale della coppa del Giappone, e la squadra disperata stava vincendo 3 a zero a 5 minuti dal finale. La spiegazione data dell'autore nel paragrafo la trovo anche corretta nel totale, ma un pelino esagerata in alcuni esempi portati, tipo quello sul calcio.

Capitolo 3: Dalle origini al periodo Nara
Il terzo capitolo fa un salto temporale opposto ad un classico libro storico, catapultandoci nel Giappone delle origini. Si inizia con la cultura Jomon e Yayoi, le origini del culto shinto, l'imperatore Jimmu, il Kojiki, il regno Yamatai della regina Himiko. Però tutti questi argomenti storici non hanno nesso diretto con i samurai, che sarebbero il soggetto del libro.
Da questo terzo capitolo l'autore procede nel classico ordine cronologico, sempre con un taglio romanzato e con una certa velocità di narrazione.
Altri argomenti storici trattati nel capitolo: l'arrivo dalla Cina del buddismo e della cultura cinese intorno al 500 d. C.; i primi rapporti diplomatici con la Cina; l'inizio del periodo Nara; la riforma Taika; l'ascesa dei Fujiwara; il proliferare e la decadenza morale delle sette buddiste (Hosso, Ritsu, Kegon); l'opera letteraria Manyoshu del periodo Nara; il passaggio dagli ideogrammi cinesi a quelli giapponesi.

Capitolo 4: L'età dei Fujiwara
Il quarto capitolo illustra il periodo Heian (794 d. C./ 1185 d. C.) in 50 pagine:
i primi segni della nascita delle figure dei samurai e dei daimyo; le battaglie contro gli ainu (scontri che crearono la carica di shogun); il consolidarsi del potere da parte del clan Fujiwara; la cultura durante il periodo dei reggenti Fujiwara; l'impennata d'interesse verso occultismo ed astrologia durante il potere dei Fujiwara; le opere letterarie di Murasaki Shikibu e Sei Shonagon (e i pessimi rapporti personali tra le due scrittrici di corte); l'architettura e la pittura del periodo Heina; il tramonto del clan Fujiwara e gli scontri tra le due famiglie che si contendevano il potere, i Taira e i Minamoto.

Capitolo 4: L'età feudale
Il capitolo si apre come era finito il precedente, con la presa del potere da parte di Yoritomo Minamoto nel 1185, che si fa attribuire dall'imperatore il titolo di shogun e sposta la capitale a Kamukura, dando inizio all'epoca feudale giapponese.
Alla morte di Yoritomo Minamoto il potere passa al reggente Hojo Tokimasa. Padre dell'ultima moglie di Yoritomo e nonno dello shogun ereditario, il dodicenne Sanetomo Minamoto. In questo periodo storico prende forza l'etica militarista del samurai, che inizia ad essere alla base dello stato feudale. Nel stesso periodo inizia la pratica dei samurai di farsi seppuku per onore. A questo punto il libro è agli sgoccioli, e l'autore procede a tappe forzate (più del capitolo precedente). Mettendo assieme in poche pagine: gli attacchi mongoli al Giappone nel 1274 e nel 1281; la fine del potere dei reggenti del clan Hojo e l'avvento dei nuovi padroni del Giappone, gli Ashikaga, intorno al 1330; la cultura durante il periodo del potere Ashikaga; si passa velocemente all'era Segoku Jidai (1490-1600).
Il libro si conclude dove aera iniziato, con i Tokugawa.

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