TITOLO: Onore e spada, il Giappone dei samurai
AUTORE: Marino Corona
CASA EDITRICE: Edizioni Res Gestae
PAGINE: 296
COSTO: 24€
ANNO: 2013
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788866970583
Prima
di addentrarmi nei contenuti del saggio storico di Marino Corona devo
cercare di rendere chiara una domanda che mi ha assalito durante la
sua lettura: di che anno è questo libro?
E'
questo il quesito che mi ponevo mentre lo leggevo, inizialmente,
leggendo la data di pubblicazione (2013), avevo dato per scontato che
il saggio fosse attuale, ma durante la sua lettura mi era sorto il
dubbio che potesse essere una ripubblicazione di un saggio scritto
nel dopoguerra, al massimo negli anni 60. Questo perché l'autore,
oltre a citare spesso il saggio di Ruth Benedict "Il crisantemo e la spada", parla del dopoguerra giapponese come se fosse un
periodo passato da poco, mentre è un libro del 2013. In un libro
storico scritto nel 2013 non mi pare molto sensato rifarsi al
Giappone del dopoguerra come prova che l'etica del samurai è ancora
viva e vegeta nel 2013. Il dopoguerra è passato da più di 50 anni,
motivo per il quale ancora più illogico è continuare ad usare il
bellissimo saggio di Ruth Benedict come emblema del Giappone
contemporaneo. “Il crisantemo e la spada” è uno stupendo saggio,
basilare per iniziare a conoscere il Giappone, ma è una partenza,
ormai ha 70 anni, e quando lo trovo ancora come esempio reale di
quello che è la società giapponese di oggi rimango sempre un po'
basito. In questo l'autore non è solo, altri scrittori lo utilizzano
ancora come paradigma del Giappone contemporaneo, pare quasi che la
sociologia del Giappone scritta in occidente e tradotta in italiano
si sia fermata al 1940.
Detto
ciò, questo saggio storico non procede nella classica maniera
cronologica di ogni libro storico, ma parte dalla vendetta dei 47
ronin (scelto come racconto emblematico dell'etica samurai) per poi
fare un po' avanti ed un po' indietro nel tempo, per terminare al
punto di inizio, l'epoca Tokugawa.
Il
taglio è molto romanzato, relativamente poche le date storiche, resi
al minimo i nomi dei personaggi storici e dei luoghi, molto spazio è
riservato alla vita di corte, alla cultura delle varie epoche, allo
stile di vita delle classi sociali. Questo approccio lo rende di
facile lettura, anche se si scontra con le problematiche sopra
esposte, oltre a soffrire di una certa dispersività.
L'autore
vuole spiegare come la cultura dei samurai di epoca Tokugawa ha
forgiato il Giappone moderno (ed è in questo frangente che considera
“moderno” un Giappone del dopoguerra), inculcando nella mente dei
giapponesi dei modelli comportamentali difficilmente eludibili.
In
tutto il primo e secondo capitolo si parte da un racconto popolare (i
47 ronin, le rappresentazioni teatrali in stile joruri, il racconto
di “Gihei e Koharu”, etc) per evidenziare alcuni singoli punti
della vita di un samurai e della società giapponese di quel periodo.
Un espediente che rende la lettura dei due primi capitoli piacevole e
scorrevole, a parte la tendenza presente nel secondo capitolo a
giustificare il comportamento giapponese nella seconda guerra
mondiale come retaggio storico dei samurai (dal “ho eseguito gli
ordini” al “è colpa dei samurai”).
Nell'indice
non sono riportati i titoli dei paragrafi, cosa che avrebbe permesso
di avere un'idea più precisa del contenuto del libro, ergo
illustrerò per sommi capi questi paragrafi.
Sempre
prendendo spunto dalla storia dei 47 ronin è raccontata la storia
del teatro kabuki, la cui prima versione è fatta risalire al 1603,
ad opera della sacerdotessa shintoista O-Kuni, il cui ballo
(accompagnato da strumenti) faceva parte del culto di un tempio
vicino alla città di Heian. In seguito O-Kuni lasciò il sacerdozio
per legarsi ad un ex samurai, con il quale diede vita alla prima
compagnia teatrale di kabuki. Sempre raccontando la storia del kabuki
si passa tra il 1700 ed il 1800, durante il cui periodo il kabuki fu
superato dalla fama del teatro delle marionette, per poi riottenere
il favore popolare con la creazione dei drammi sentimentali (copiati
dal teatro delle marionette): lo joruri, i suicidi romantici. Oltre
al joruri avevano successo il jidaimono (drammi storici) e il
sewamono (drammi di costume).
Altro
salto temporale e si passa a raccontare il rapporto tra gli shogun e
gli imperatori, soffermandosi su come lo shogun Ieyasu relegò la
figura dell'imperatore a mera guida spirituale. Rinchiuso
l'imperatore nella sua gabbia dorata di Heian non restava che
imbrigliare gli altri daimyo, per impedire loro una rivolta. Per far
ciò usò l'espediente di impoverirli obbligandoli a vivere
sfarzosamente a turno nella capitale, oltre a tenere in ostaggio,
sempre nella capitale, i loro più stretti famigliari.
Si
passa ad illustrare la vita inoperosa di un samurai nell'epoca di
pace dell'era Tokugawa, con la contestuale crescita d'importanza
dell'etica del bushido, proprio in un periodo di pace assoluta.
Non
manca il paragrafo con la descrizione delle condizioni di vita della
classe contadina.
Si
passa al paragrafo riguardante i mercanti e le persecuzioni verso
stranieri e cristiani giapponesi.
Il
capitolo si chiude con la descrizione della vita alla corte
shogunale, niente date, niente nomi, un piccolo romanzo storico.
Capitolo
2: Il Giappone di ieri e di oggi
E' in
questo capitolo che fa capolino la seconda guerra mondiale, secondo
me una scelta poco felice, meglio sarebbe stato restare al periodo
storico dei Tokugawa.
Attraverso
il racconto di “Gihei e Koharu” viene raccontato come era
organizzata la famiglia giapponese, e quali fossero i rapporti tra i
famigliari.
Si
passa a come i samurai, i nobili e i mercanti si svagassero nei
quartieri dei divertimenti, in particolare ci si sofferma sui
quartieri del piacere e sulla condizione di vita delle prostitute.
Abbastanza incredibilmente (pagina 80) l'autore rende comune per
tutte le prostitute l'istruzione impartita dalle case di tolleranza,
privilegio che riguardava una minoranza di loro. Non di certo le
povere donne dei postriboli, la stragrande maggioranza della case di
prostituzione.
Viene
illustrato lo stato di sottomissione della donna in famiglia verso il
suocero, il marito ed il figlio maggiore. Nello stesso paragrafo, in
maniera un po' confusionaria, si accenna al genere poetico haiku.
In
uno dei paragrafi del capitolo si spiega come gli shogun Tokugawa
diedero nuova vita alla religione shinto allo scopo di usarlo come
strumento di sottomissione del popolo. Anche la setta zen del
buddismo si prestava a questo scopo, in quanto predicava la
dominazione delle passioni, il superamento della paura della morte,
la rinuncia al superfluo, la disciplina e la sottomissione ai
superiori.
E'
illustrato sia quale tipo di pittura era in auge in epoca Tokugawa,
sia la nascita e lo sviluppo delle ukiyo-e.
E' a
questo punto del capitolo che si abbandona l'epoca Tokugawa per
passare all'epoca Meiji, all'industrializzazione forzata della
nazione e dell'imitazione dei costumi occidentali, fino a spingersi
alla seconda guerra mondiale.
L'autore
scrive che all'arrivo degli occidentali vennero vietate alcune
consuetudini sociali che facevano apparire i giapponesi dei barbari,
ridicoli (come il codino del samurai) o erano abitudini imbarazzanti
(come i bagni pubblici dove il popolano si mostrava senza problemi
nudo). Tra le abitudini imbarazzanti che vennero vietate inserisce
anche i bordelli, ma personalmente ho sempre letto che questi non
furono eliminati, ma solo spostati tutti in quartieri appositi, fuori
dallo sguardo occidentale.
Una
delle eredità sociali dell'epoca Tokugawa è il debito (o dovere)
verso un'altra persona, “on”. Il più grande “on” è verso i
propri genitori, che mai potrà essere ripagato. Il paragrafo prende
spunto dal romanzo “Botchan”, scritto del dopoguerra, per
illustrare la rigidità dei rapporti interpersonali in Giappone. Il
paragrafo si trasforma un poco alla volta in un piccolo trattato
sociologico sulla famiglia e la società giapponese, ma a cavallo del
dopoguerra, infatti è in questo punto del libro in cui vengono
spesso citate le conclusioni di Ruth Benedict come se riguardassero
il Giappone attuale.
Si
tocca l'argomento della seconda guerra mondiale e dei kamikaze,
sempre nell'ottica che questi fatti storici furono figli dell'epoca
Tokugawa. A parte questa considerazione dell'autore che trovo anche
sensata (in fondo c'è sempre una causa antecedente ad un
avvenimento), quasi tutto il resto del paragrafo ricostruisce una
storia che mi è parsa tesa a giustificare il Giappone militarista.
Riguardo ai kamikaze consiglio, invece, la lettura di “La vera storia dei kamikaze giapponesi”.
Il
successivo paragrafo prende spunto dall'accettazione della sconfitta
nella seconda guerra mondiale solo ad opera del discorso di resa di
Hirohito per spiegare che i giapponesi, oltre a non ammettere mai di
aver sbagliato nella vita di tutti i giorni, non accettano neanche le
sconfitte sportive. Riporto la parte più esagerata di pagina 122:
“Un
analoga scena avviene sovente alla fine degli incontri di calcio,
quando i componenti della squadra perdente si ritirano in un angolo
del campo con la testa tra le mani, emettendo lamenti e piangendo uno
sulla spalla dell'altro. Essi soffrono così profondamente di aver
perso il proprio buon nome, che non temono più di esprimere in
pubblico il loro dolore; sentono infatti di non avere più orgoglio
da difendere.”.
Non
so quale partita abbia visto l'autore, magari era la finale della
coppa del Giappone, e la squadra disperata stava vincendo 3 a zero a
5 minuti dal finale. La spiegazione data dell'autore nel paragrafo la
trovo anche corretta nel totale, ma un pelino esagerata in alcuni
esempi portati, tipo quello sul calcio.
Capitolo
3: Dalle origini al periodo Nara
Il
terzo capitolo fa un salto temporale opposto ad un classico libro
storico, catapultandoci nel Giappone delle origini. Si inizia con la
cultura Jomon e Yayoi, le origini del culto shinto, l'imperatore
Jimmu, il Kojiki, il regno Yamatai della regina Himiko. Però tutti
questi argomenti storici non hanno nesso diretto con i samurai, che
sarebbero il soggetto del libro.
Da
questo terzo capitolo l'autore procede nel classico ordine
cronologico, sempre con un taglio romanzato e con una certa velocità
di narrazione.
Altri
argomenti storici trattati nel capitolo: l'arrivo dalla Cina del
buddismo e della cultura cinese intorno al 500 d. C.; i primi
rapporti diplomatici con la Cina; l'inizio del periodo Nara; la
riforma Taika; l'ascesa dei Fujiwara; il proliferare e la decadenza
morale delle sette buddiste (Hosso, Ritsu, Kegon); l'opera letteraria
Manyoshu del periodo Nara; il passaggio dagli ideogrammi cinesi a
quelli giapponesi.
Capitolo
4: L'età dei Fujiwara
Il
quarto capitolo illustra il periodo Heian (794 d. C./ 1185 d. C.) in
50 pagine:
i
primi segni della nascita delle figure dei samurai e dei daimyo; le
battaglie contro gli ainu (scontri che crearono la carica di shogun);
il consolidarsi del potere da parte del clan Fujiwara; la cultura
durante il periodo dei reggenti Fujiwara; l'impennata d'interesse
verso occultismo ed astrologia durante il potere dei Fujiwara; le
opere letterarie di Murasaki Shikibu e Sei Shonagon (e i pessimi
rapporti personali tra le due scrittrici di corte); l'architettura e
la pittura del periodo Heina; il tramonto del clan Fujiwara e gli
scontri tra le due famiglie che si contendevano il potere, i Taira e
i Minamoto.
Capitolo
4: L'età feudale
Il
capitolo si apre come era finito il precedente, con la presa del
potere da parte di Yoritomo Minamoto nel 1185, che si fa attribuire
dall'imperatore il titolo di shogun e sposta la capitale a Kamukura,
dando inizio all'epoca feudale giapponese.
Alla
morte di Yoritomo Minamoto il potere passa al reggente Hojo Tokimasa.
Padre dell'ultima moglie di Yoritomo e nonno dello shogun ereditario,
il dodicenne Sanetomo Minamoto. In questo periodo storico prende
forza l'etica militarista del samurai, che inizia ad essere alla base
dello stato feudale. Nel stesso periodo inizia la pratica dei samurai
di farsi seppuku per onore. A questo punto il libro è agli
sgoccioli, e l'autore procede a tappe forzate (più del capitolo
precedente). Mettendo assieme in poche pagine: gli attacchi mongoli
al Giappone nel 1274 e nel 1281; la fine del potere dei reggenti del
clan Hojo e l'avvento dei nuovi padroni del Giappone, gli Ashikaga,
intorno al 1330; la cultura durante il periodo del potere Ashikaga;
si passa velocemente all'era Segoku Jidai (1490-1600).
Il
libro si conclude dove aera iniziato, con i Tokugawa.
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