TITOLO: La volontaria
reclusione, Italia e Giappone: un legame inquietante
AUTORE: Carla Ricci
CASA EDITRICE: Aracne Editrice
PAGINE: 217
COSTO: 12 €
ANNO: 2014
FORMATO: 25 cm X 17 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788854869264
Questo è il quarto
libro di Carla Ricci sul fenomeno hikikomori e sugli hikikomori:
E' stata l'autrice a
far scoprire tale problematica ai lettori italiani, un disagio (non
solo giovanile) che si pensava essere prettamente nipponico, mentre
ci si sta accorgendo che sta proliferando in altre nazioni (asiatiche
ed occidentali), tra cui l'Italia. Carla Ricci svolge i suoi studi
sugli hikikomori direttamente in Giappone da circa sei anni, durante
i quali è riuscita ad instaurare un proficuo scambio accademico con
i medici giapponesi.
Questo suo quarto
libro inizia con l'illustrare la situazione giapponese, per poi
spostarsi in Italia, terminando l'analisi con una comparazione tra i
due paesi.
Da notare che in
queste prime righe non mi sono riferito al libro di Carla Ricci come
“nuovo”, infatti non è possibile scrivere “il nuovo libro di
Carla Ricci”, perché di nuovo ha ben poco.
Purtroppo il
contenuto del libro non è quello che io mi aspettavo in una
pubblicazione del 2014, essendo il suo primo libro del 2008
immaginavo, errando, che in questo l'autrice fornisse gli sviluppi
attuali riguardanti hikikomori in Giappone e in Italia.
Invece in gran parte
è un bel riciclone degli scritti precedenti, alcuni ormai assai
datati (2008 e 2009), con l'aggravante che erano già stati
ripubblicati estratti dei primi due libri nei suoi successivi lavori
(e pure in un terzo libro ad opera di un'altra autrice! "Hikikomori e adolescenza" ),
quindi, in realtà, siamo al riciclo del riciclo...
Di certo ci saranno
sue considerazioni recenti, però basate su racconti e testimonianze
vecchie, che ormai, dopo averle lette più volte, conosco quasi a
memoria. Tra l'altro nel libro è la stessa autrice ad avvertire il
lettore che sta leggendo estratti da suoi libri precedenti, un po' la
sagra dell'auto-“copia ed incolla”...
A questo punto, a
mio avviso, la discriminate per l'acquisto del libro è l'aver letto
o meno i precedenti libri della Ricci. Se il fenomeno hikikomori
risulta esservi nuovo, il libro mantiene un suo valore informativo,
anche se personalmente consiglierei di leggere i suoi primi due
saggi, più esaustivi, in quanto in questo ci sono solo degli
estratti delle testimonianze degli hikikomori. Se i tre libri
precedenti a questo sono già stati leggi, allora vi assalirà un
fastidiosa sensazione e sorgeranno un certo numero di dubbi.
La sensazione è
quella di essere stati turlupinati. Come ho già scritto sopra, se si
acquista un libro nel 2014 di un'autrice che ha già trattato nei
precedenti scritti il medesimo argomento è abbastanza ovvio dare per
scontato che si leggeranno le novità inerenti quell'argomento.
Quando ci si accorge che si sta leggendo una sequela di estratti dei
precedenti saggi, si inizia a domandarsi perché si sian spesi altri
12 euro invece di rileggere gratuitamente i libri che avevi già
pagato...
Inoltre, a questo
punto, nel recensire questo “nuovo” libro della Ricci potrei,
anch'io, riciclare le vecchie recensioni, con l'attenuante che gli
eventualissimi lettori non avrebbero pagato nulla.
Altri dubbi sorgono
sulla vastità del fenomeno hikikomori.
Perché l'autrice,
vista l'ampia casistica e la sua lunga permanenza in Giappone per
studiare la problematica, non riesce a presentarci nuove
testimonianze? Oppure, più semplicemente, la prosecuzione delle
testimonianze già raccontate, sarebbe stato comunque interessante.
Avendo letto anche
altre fonti ritengo che la gravità del fenomeno hikikomori in
Giappone sia veritiera, ergo ci si ritrova semplicemente di fronte ad
una strategia editoriale per vendere nuovi libri sfruttando vecchie
analisi.
Un altro dubbio
sorge sull'estendersi degli hikikomori anche in Italia, visto che
secondo l'autrice il contagio parrebbe esteso e veloce, perché i
casi italici presentati sono quelli dei precedenti libri?
Comprendo bene che
un/una hikikomori non raccontano spontaneamente la loro situazione,
in fondo se hanno deciso di tagliare i ponti con la società è ovvio
che non vogliano spiegarne le motivazioni, però ci restano sia i
terapeuti giapponesi (ed italiani) che le famiglie degli hikikomori
da cui attingere qualche nuova informazione.
Esternate tutte le
mie perplessità sul senso editoriale di questa pubblicazione, non
sui suoi contenuti (che ritengo validi in quanto sono i medesimo dei
libri precedenti...), cercherò comunque di illustrarne i capitoli
(ribadendo le mie obbiezioni).
Capitolo 1:
Hikikomori in Giappone.
Sono analizzati i
concetti di “amae” e della “struttura di amae” (viene citato
in merito il saggio di Takeo Doi "Anatomia della dipendenza" ) come cause
iniziali/scatenanti dell'autoreclusione.
Per introdurre il
lettore alla questione hikikomori viene riepilogato come i primi
studiosi giapponesi abbiano scoperto il fenomeno all'inizio degli
anni 80.
Inserisco
schematicamente alcuni dati (non recenti, presi dai precedenti saggi)
e considerazioni generali sugli hikikomori che l'autrice
approfondisce nel libro:
circa l'80% degli
hikikomori vive in una famiglia in cui il concetto di amae è molto
forte;
il soggetto è un
maschio, spesso primogenito di una famiglia benestante;
le donne sono
minoritarie, circa una su quattro; l'età media è dai 18 anni ai 27,
in aumento (fra i 30 e i 40 anni);
un hikikomori su 5
ha comportamenti violenti verso i famigliari (in particolare la
madre) da cui dipende;
gran parte degli
hikikomori ha subito atti di bullismo in giovane età, la cui prima
conseguenza è il rifiuto scolastico (90% degli hikikomori);
anche la crisi
economica ha spinto adulti a fare hikikomori dopo aver perduto il
lavoro;
tutti gli studiosi
concordano che hikikomori non è causato da problemi psichici (che
poi nascono a causa dell'autoreclusione);
una delle cause è
il rapporto di eccessiva dipendenza tra madre e figlio, sommato
all'assenza della figura paterna (in quanto sempre a lavoro).
L'assenza lavorativa
del padre causa il rafforzamento degli obblighi del figlio, e quindi
delle pressioni, in quanto il ragazzo apprende in famiglia quanto in
futuro sarà alto il sacrificio che il suo ruolo di uomo adulto
richiederà. Contemporaneamente l'assenza del padre rafforza il
legame madre-figlio.
Un terapeuta di
hikikomori, Takeshi Watanabe, spiega che gli hikikomori illustrano la
loro situazione con tre immagini mentali:
“ansietà per non
sapere la giusta direzione da prendere; rabbia per non essere capito;
senso di colpa per non avere giustificazioni e per non essere capaci
di scusarsi per quello che si sta facendo”.
Queste due righe
sono prese direttamente dal libro della Ricci (pagina 21), che le
riprende dal suo libro del 2009.
E' analizzato il
contesto socio-culturale giapponese, il concetto di amae, quale ruolo
abbiano in Giappone le emozioni di orgoglio e vergogna. Orgoglio e
vergogna parrebbero essere le due cause dei nuovi hikikomori, cioè
gli adulti che perdono il lavoro.
Sono valutati i
rapporti all'interno della famiglia giapponese, che possono portare
il figlio a fare hikikomori: presenza materna; assenza paterna;
legame madre-figlio.
Tutto il capitolo è
affrontato facendo capo a situazioni famigliari già illustrate nei
libri della Ricci del 2008 e 2009. Possibile che dal 2009 al 2013 non
sia stato possibile fare nuovo interviste?
Capitolo 2:
Hikikomori in Italia
Si passa alla
situazione italiana, dove, inizialmente, la problematica hikikomori
non era conosciuta, ma dopo alcuni servizi giornalistici (e i libri
dell'autrice) molte famiglie hanno iniziato a chiedere aiuto ai
centri psichiatrici pubblici o privati. Ovviamente gli addetti ai
lavori non erano preparati ad affrontare una problematica già
esistente in Giappone. Ci si accorse che gli hikikomori italiani si
confacevano al modello giapponese adottato per confermare l'effettivo
stato di hikikomori:
autoreclusione da un
periodo di almeno sei mesi;
fobia scolastica
precedente all'inizio del ritiro;
dipendenza da
internet (gli hikikomori nipponici non sono tutti dipendenti dal
web);
inversione del ciclo
circadiano.
Furono notate due
caratteristiche non presenti negli hikikomori italiani rispetto ai
quelli giapponesi:
forte timidezza del
giovane autorecluso;
violenza pratica
dagli hikikomori verso i genitori.
Nelle prime analisi
del fenomeno italiano si è notato che l'hikikomori, di solito con
un'acuta intelligenza, abbia deciso di autorecludersi semplicemente
perché, dopo aver analizzato se stesso e la società italiana,
ritiene che per lui non vi sia posto. Lui ci ha provato, ma per vari
motivi (scuola, compagni di classe, amici, mode) ha raggiunto la
convinzione che il proprio posto giusto sia la propria stanza. La
sanità pubblica italiana è organizzata per assistere giovani con
problematiche di tossicodipendenza, non ragazzi che in gran parte
sono persone psicologicamente sane, che decidono l'autoreclusione
volontaria.
In Giappone la
terapia più diffusa è quella domiciliare, anche perché un
hikikomori rifiuta di uscire di casa per recarsi da un terapeuta.
L''autrice analizza quanto la terapia domiciliare sia efficace,
soprattutto fattibile, nel nostro paese.
Oltre al supporto
dei genitori, che non devono pretendere dal terapeuta risultati nel
breve/medio periodo, il medico deve riuscire ad instaurare un
rapporta di fiducia con il paziente, che non deve vederlo come colui
che lo obbligherà ad uscire dalla sua stanza, ma come una persona
che gli è vicino emotivamente. La terapia domiciliare ha anche il
pregio di permettere al terapeuta di valutare i comportamenti della
famiglia, il reale grado di autoreclusione dell'hikikomori, ed
alcuni importanti indizi su come egli viva (arredamento, ordine,
pulizia, illuminazione etc).
Mentre in Giappone è
prassi l'uso anche di psicofarmaci, pare che in Italia i terapeuti
tendano ad evitarli, per non somministrare farmaci inadeguati ad una
problematica che non è prettamente derivata da una malattia
psichica. Messi da parte gli psicofarmaci, l'approccio verso un
hikikomori dovrà essere gentile, paziente e determinato.
Sono riportate
alcune testimonianze di terapisti italiani, soffermandosi sulle
casistiche in cui i genitori tendono a non collaborare, in quanto non
riconoscono una loro eventuale responsabilità nel comportamento del
figlio, addebitandola in toto al ragazzo.
A questo punto viene
operata una suddivisione di carattere geografico del fenomeno
hikikomori in Italia, tra sud e nord. Dato che la stessa autrice
ammette che non ci sono dati statistici in merito, mi è parso che
alcuni punti che lei illustra siano un po' scontati:
al nord c'è più
ricchezza, meno degrado sociale, meno criminalità, meno uso di
droghe; al sud tutto il contrario del nord.
Come al solito
dipende dove si abita, ci sono periferie di città del nord Italia
che sono degradate, con famiglie povere. Poi è ovvio che una
famiglia ricca possa permettersi un terapeuta privato per diversi
anni, mentre dei normali “poveracci” non possano, ma questo vale
per tutte i problemi di salute: se sei ricco ti curi meglio che se
sei povero...
Anche questo
capitolo è composto da testimonianze e da sue analisi prese dai
libri precedenti, un altro bel riciclone. In più sono inseriti in
forma parziale i casi (solo due!) già riportati nel (pessimo, a mio
avviso) saggio di Giuliana Sagliocco sugli hikikomori ( Hikikomori e adolescenza ).
La mia domanda è
sempre la stessa: perché devo pagare nuovamente per leggere cose che
avevo già pagato per leggere in un altro libro?
Capitolo 3:
Hikikomori in Italia e Giappone: una condivisione formativa
L'autrice analizza
le peculiarità degli hikikomori italiani comparati a quelli
giapponesi, sono valutate le differenze e le affinità, anche con un
approfondimento storico, sociale e culturale (che comunque è
veramente minimo).
Il mio unico dubbio
concerne su quali dati siano fatte queste analisi, sono i medesimi
presentati in questo saggio, già pubblicati nei precedenti della
Ricci, ergo vecchi di qualche anno?
Riporto
schematicamente i 10 punti individuati dalla Ricci riguardo
“differenze ed affinità”:
Gli hikikomori
italiani sono più giovani di quelli giapponesi;
Fra gli hikikomori
italiani pare non ci siano casi di ritardi o disordini mentali;
Tutti gli hikikomori
italiani sono dipendenti da internet, non così in Giappone;
Gli hikikomori
italiani pare non siano violenti con i genitori;
In entrambe le
nazioni gli hikikomori rifiutano di sottoporsi ad una qualsiasi
terapia;
In Giappone è
solitamente il figlio unico o il primogenito che fa hikikomori, in
Italia no;
Il ritmo circadiano
è invertito dagli hikikomori di entrambi i paesi;
Come in Giappone
anche in Italia il nucleo famigliare dell'hikikomori è di una classe
sociale medio-alta;
In Italia le donne
hikikomori sono una rarità;
Gli hikikomori
italiani non provano un particolare senso di colpa per essersi
autoreclusi, a differenza di quelli giapponesi.
Anche la famiglia e
il rapporto madre/figlio è un elemento comune tra gli hikikomori
italiani e giapponesi, in entrambe le nazioni si riscontra:
i genitori non sono
violenti contro il figlio hikikomori; i genitori (o la madre) sono
iperprotettivi; la figura materna marginalizza quella paterna.
Ci si sofferma sul
disagio emotivo/psichico che le nostre società dei consumi possono
portare agli individui più sensibili, trasmettendo loro un vuoto di
valori.
E' toccato
superficialmente l'argomento della dipendenza dai videogiochi, si
capisce che l'autrice non abbia mai videogiocato, infatti se ne esce
con una considerazione che mi è parsa un po' assurda. Secondo la
Ricci un videogiocatore vedrebbe influenzata la fiducia in se stesso
dal riuscire o meno a finire un gioco, evidentemente l'autrice non ha
mai sentito parlare dei “continue”, dei “save point”, dei
trucchetti per finire un gioco e delle guide on line.
Immagino che
esisteranno anche casi di questo genere, ma è assai arduo
considerarli la norma.
Molto curioso il
terzo paragrafo di questo terzo capitolo, che ha questo titolo:
“Gli hikikomori
italiani e i manga giapponesi”.
Scrivere “manga
giapponesi” è già, a mio avviso, l'emblema di quanto l'autrice
conosca questo ambito, è come se si scrivesse “nouvelle cousine
francese”... Esistono i manga americani? La parola “manga”
identifica già il paese d'origine, oltre allo stile e ai numerosi
contenuti.
Nella prima riga del
paragrafo si può leggere un bel “anime giapponesi”, ma, di
nuovo, il termine “anime” per un occidentale identifica già che
sono giapponesi.
Il paragrafo si
focalizza sulla dipendenza dagli “anime e manga giapponesi(!!)”
da parte degli hikikomori italiani.
Alla fine la colpa è
sempre di videogiochi, anime e manga (ma i fumetti in generale, fin
dagli anni 50...).
Secondo l'autrice
gli hikikomori italiani (tutti? Una parte? Una minoranza?)
considererebbero quelli giapponesi come degli esempi da seguire,
portatori di uno stile di vita da imitare, in quanto giovani samurai
che contestano la società nipponica.
Sono riportate due
(dico, solo due...) testimonianze scritte personali, In quella più
lunga l'hikikomori italiano racconta il proprio rapporto con gli
anime, in particolare Neon Genesis Evangelion, che lo avrebbe spinto
all'autoreclusione. Peccato che Hideaki Anno con quella serie voleva
trasmettere proprio il messaggio contrario: ragazzi (giapponesi)
uscite di casa, questi sono solo cartoni animati!”.
Ovviamente anche
questa lunga testimonianza di un hikikomori italiano, che a quanto
pare dovrebbe avere valore per tutti gli hikikomori italiani, è
presa dai precedenti libri della Ricci...
In questo capitolo
viene illustrato il ruolo della “sorella maggiore in affitto”
nella terapia con gli hikikomori. Questa figura terapeutica,
incarnata non da una professionista, nasce in Giappone, ma si è
dimostrata utile anche in Italia, seppure in forme un po' differenti,
infatti da noi è svolta anche da uomini, e sono comunque sempre neo
laureati in campi del settore.
Le testimonianze
giapponesi di “sorelle maggiori in affitto” si rifanno ai
precedenti libri della Ricci.
Capitolo 4:
L'involontaria imitazione fra le persone e la sua possibile influenza
in hikikomori
Il capitolo spiega
quanto ciò che ci circonda ci influenzi psicologicamente, entrando
nel particolare della funzione dei “neuroni specchio” e del
“contagio emotivo”.
Purtroppo anche, e
aggiungo, di nuovo(...) questo quarto capitolo è un estratto del suo libro del 2012 ( La solitudine liberata ).
L'autrice spiega il
concetto di “senso di non-senso”, cioè una assenza di scopi e
valori, sostituiti da bene materiale e virtuali (web, videogiochi,
anime), che possono portare all'autoreclusione.
Inutile dirsi che
anche questa parte è presa dal suo libro del 2012, ma non faceva
prima a ristamparlo?!
Nelle conclusioni
finale del saggio si cerca di dare una possibile soluzione alla
problematica hikikomori, che può risolversi solo con un cambiamento
all'interno della famiglia, il nucleo sociale più vicino ad un
hikikomori.
L'indice del libro.
La quarta di copertina.
Grazie mille, esplicativa, esauriente e dettagliata. Utilissima
RispondiEliminaTi ringrazio tantissimo dei complimenti!!! ^_^
EliminaDi solito le mie rece dei libri jappo non se le fila nessuno T_T