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domenica 9 marzo 2014

L'affaire cartoni animati giapponesi fatti col computer - La Stampa, 4 articoli del 1979/80/82


Incalcolabili erano(?) le critiche che venivano mosse ai cartoni animati giapponesi: violenti; ripetitivi; lacrimevoli; diseducativi; brutti; banali; ansiogeni; etc etc...
Magari alcune di queste critiche erano anche sensate, specialmente per il fatto che nella loro trasmisione non si rispettò mai l'originale target di età, e quindi, per esempio, le prime puntate della prima serie di "Lupin III" (antecedenti alla regia di Miyazaki) non erano di certo indirizzate ai bambini sotto i 10 anni.
Detto questo, c'era una critica che proprio non aveva senso, era totalmente infondata, nonostante ciò i giornalisiti italiani continuarono a ripeterla praticamente fino a quando questa diventò realtà negli anni 90: i cartoni animati giapponesi erano fatti col computer!!!
Ma era mai possibile che per dei cartoni animati prodotti tutti prima del 1978, ed alcuni addirittura negli anni 60, si potese utilizzare una tecnologia nuovissima che era nella disponibilità della Nasa, dei militari e probabilmente solo di poche grandi multinazionali?!
Già negli articoli fino ad ora postati sono presenti numerosi esempi di questa assurdità:
Vittorio Zucconi vs Go Nagai
Intervista informativa Toshio Katsuta
Michele Serra vs i "cartoni animati giapponesi"

Per questo post ho raggruppato gli altri articoli attualmente in mio possesso che raccontano la favola degli anime fatti al computer, ovviamente i giornalisti non trattano solo quell'argomento, ogni articolo è infarcito con una sequela di altre amenità, più o meno le solite accuse/invenzioni.
L'articolo del 5 febbraio 1979, a cura di Piero de Garzarolli, è interessante perchè in realtà parla ben poco dei cartoni animati giapponesi, argomentando sulla produzione industriale, ma tira fuori Goldrake come prova dell'alta tecnologia nipponica. Già nel 1979 l'animazione giapponese era per i giornalisti italiani il simbolo della tecnologia computerizzata del Sol Levante, e pensare che quei cartoni animati erano fatti tutti a mano...

Della scan qua sotto è da leggere solo la prima colonnina a sinistra, per poi passare alla successiva scan sotto, non alle colonne a destra.




Si parte con lo stereotipo sui "giapponesi che copiano tutto", come oggi è la Cina ad avere questa nomea, in quei decenni l'aveva il Giappone.




Dopo averci sommerso con le loro merci tecnologiche ora lo fanno anche con i cartoni animati?!




Il giornalista spiega che quello dei giapponesi che copiano è ormai un cliché datato, sono passati gli anni del dopoguerra, ora i giapponesi inventano.




E' ormai finita l'era giapponese della "imitazione perfezionata", puntano alla "produzione innovativa, e Goldrake ne è l'emblema!
Ed è qui che salta fuori "l'affaire computer"!!!





Il primo novembre 1980, sempre "La Stampa" di Torino, pubblica un articolo di Gianni Rondolino,  in cui il giornalista si scaglia senza appello contro i "cartoon nipponici", rei di aver mosso guerra all'impero di Walt Disney.




Liquidati in due parole come violenti (Goldrake) e sentimentalmente caramellosi (Heidi, Remì, Anna dai capelli rossi), Rondolino accusa gli anime di non avere, a differenza dei cartoons americani, una tradizione illustrata alle loro spalle!
Incredibile accusa se si pensa che i primi manga risalgono all'epoca Meiji, e i primi film d'animazione nipponica sono dell'inizio del 900! Accusa mossa, in più, da un giornalista esperto di cinema (Wikipedia)... figuriamoci gli altri...



Per Rondolino il successo dei cartoni animati giapponesi non è dovuto al fatto che semplicemente piacevano ai bambini (magari chiedendosi il perchè), ma solo alla strategia commerciale che vi era dietro, cioè i suoi bassi costi di produzione.






Ed arriviamo al punto della ripetitiva "tecnica computerizzata", che nulla a che fare con fantasia e creatività(...), Isao Takahata perdonalo perchè non sà quel che scrive...
Questi patetici e banali cartoni animati giapponesi sono così brutti che rivalutano i pur scadenti cartoni della Hanna & Barbera!
"Wilmaaaaaa, dammi la clava!!!"



Ma è tutto inutile, ai bambini continua a piacere ciò che agli adulti non piace, incredibile!
Meglio aspettare senza censurare, prima o poi i cartoni animati giapponesi cadranno nel dimenticatoio, di certo non è caduto nel dimenticatoio questo bell'articolo.





Saltiamo al 19 ottobre 1982, son passati un paio di anni, i giornalisti nel frattempo si saranno informati meglio?
Direi di no... purtroppo del giornalista, o della giornalista, ci sono solo le iniziali, ergo di questa perla resterà ignoto l'autore o l'autrice, che comunque parte senza pregiudizi, in uno stile giornalistico perfettamente anglosassone:
"Chi è cresciuto con Walt Disney trova insopportabili Candy Candy e l'ape Maia".



Come si legge dal titolo l'articolo pare centrale la questione delle lacrime, ma poi si spazia su tutto lo spettro delle contumelie abituali verso gli anime, iniziando con il classico paragone con i cartoni di Walt Disney, che poco o nulla hanno di paragonabile.





A questo punto dell'articolo salta all'occhio il meccanismo giornalistico italiano per il quale una prima panzana diventa la fonte per le successive panzane. Nel 1980, sempre su La Stampa, era stato spacciato per inventore di Goldrake il responsabile del planing Toshio Katsuta, nel 1982 lo stesso viene spacciato per colui che ha sfornato tutte le serie robotiche della Toei.
Qui il giornalista spiega perchè le serie animate nipponiche costino così poco, non certo perchè molte di quelle arrivate in Italia giacevano nei magazzini, ed erono ormai state già ammortizzate. Invece i costi bassi nascevano proprio "grazie alle lavorazioni computerizzate"!



Qui l'arguto giornalista nota che le cose stanno cambiando, effettivamente il boom robotico era calato, anche grazie al fatto che la Rai, proprio a cause delle polemiche sulla violenza, mandava in onda solo serie tipo Heidi o "Anna dai capelli rossi". Ora gli anime violenti sono stati rimpiazzati da quelli lacrimevoli.





Quello che non comprendo è come si possa spacciare l'ape Maia per una serie triste, forse il giornalista la confonde con l'ape Magà.
Segue indagine sociologica svolta dal giornalista, in base a cosa non è dato sapere.
Un'altra prova della perfidia nipponica è l'orfano Capitan Futuro, prossimo eroe televisivo. Peccato, un vero peccato, che il suo essere essere orfano sia stata una decisione (nel 1940...) dello scrittore di fantascienza Edmond Hamilton, non della Toei Animation...






Sempre nell'ottobre del 1982 "La Stampa" riporta un articolo che nessun nesso ha con l'animazione nipponica, ma riguarda l'informatizzazione della scuola pubblica italiana (ah ah ah ah...), ma la balla sui cartoni animati giapponesi fatti al computer è ormai così sedimentata che la si prende a prova di quanto il computer sia di uso comune.




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