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domenica 26 gennaio 2014
"Con il buon cuore di Candy noi facciamo i miliardi", di Renata Pisu - La Stampa ottobre 1982
Vi sembra che il titolo sia contemporaneamente fuorviante e tendenzioso?
Effettivamente non ci vuole molto a capirlo, e penso se ne fosse resa conto anche la giornalista Renata Pisu, ma l'articolo non era rivolto ai bambini, ma ai genitori, ergo...
Suo malgrado, e forse anche a "sua insaputa", l'articolo contiene comunque un certo numero di informazioni, non è neppure tra i peggiori che ho presentato fino ad ora, però si capisce che la Pisu proprio non le sopporta queste due giapponnesi che hanno fatto i soldi coi cartoni animati e i fumetti...
Sembra quasi che la giornalisti tiri alle due giapponesi una gufata mica da ridere, se pensiamo ai successivi litigi, che perdurano ancora, sui diritti di Candy Candy.
Superfluo far notare che in nessuna parte dell'articolo le due autrici giapponesi affermano quanto scritto nel titolo, ammesso che la traduzione sia corretta, si son limitate ad ammettere che Candy Candy le ha rese ricche, cosa strana per un giapponese, che di norma quando si tratta di parlare dei propri guadagni si comporta come gli italiani (anche se per motivi differenti dalla paura delle tasse...).
Quasi a voler smentire quello che ho appena affermato, e che cioè questo articolo non è tra i peggiori che ho postato ( Emeroteca anime ), Renata Pisu incappa subito in una topica non da poco, infatti sbaglia il nome della Mizuki... magari Komi è il suo secondo nome, chi lo può sapere, però per quello che sappiamo noi Candy Candy è stata creata dal duo Yumiko Igarashi e Kyoko Mizuki, e non Komi Mizuki... dico, almeno sapere i nomi delle intervistate...
La didascalia non è un refuso, visto che la Mizuki è chiamata Komi anche nell'articolo.
Nell'autunno del 1982 la Igarashi e la Mizuki arrivarono a Milano, probabilmente per motivi di carattere editoriale legati ai diritti di Candy Candy, oggi avrebbero una accoglienza di certo migliore, e di certo più informata.
La giornalista ripercorre il successo della loro creatura, che le ha rese ricche e famose.
Non sapevo che il settimanale Candy Candy vendesse così tante copie, 200 mila alla settimana!
"Brunissime con gli occhi neri, ovviamente all'insù"?! Ma gli occhi dei giapponesi sono "all'insù"? O_o
Vabbè... con questa introduzione parte la prima domanda e... seconda topica... ritorna per l'ennesima volta la tiritera che i giapponesi facevano i cartoni per venderli all'estero, motivo per il qualei i personaggi avevano (per gli adulti di allora) tratti occidentali. Ma poi, visto che Candy è una bambina occidentale, perchè avrebbe adovuto avere dei tratti asiatici?
Non poteva mancare anche l'accusa di copiare i prodotti occidentali: "ci state inondando".
Alla fine la Pisu fa una domanda interessante, perchè hanno fatto terminare Candy candy, visto che rendeva tanto? Topolino (per non parlare dei nostri Tex Willer e Diabolik) è ancora in auge dopo 50 anni!
La risposta della giapponesi non la soddisfa, se in Giappone i personaggi vengono rinnovati di continuo non è di certo una cosa normale, c'è di mezzo di certo il guadagno. Mentre tenere in vita per decine di anni il medesimo personaggio viene fatto per beneficienza.
Si passa alla questione della ricchezza acquisita grazie a Candy Candy, per poi chiedere conto dei rischi per l'infanzia causati dai fumetti in Giappone.
Le domande si fanno più serie, uscendo un po' dal seminato di Candy Candy. Per un occidentale il fatto che un premio Nobel per la letteratura come Kawabata fosse favorevole alla trasposizione in fumetto di un suo romanzo doveva apparire assai strano.
Mi sa proprio che Renata Pisu non abbia digerito la ricchezza delle due autrici, infine penso che sarà sollevata dal fatto che, ormai nel 2014, si può affermare senza dubbio che siamo rimasti (purtroppo?) italiani al 100 per 100!
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Che pressapochismo imbarazzante e fastidioso.
RispondiEliminaMamma mia O_o
Il mio o quello della giornalista? ^_^
RispondiEliminaE non è neppure l'articolo peggiore ;)