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mercoledì 8 gennaio 2014

"Allegri che c'è da piangere", di Elena Doni - L'Espresso (settimanale) agosto 1979



Quando dovevo decidere la tag (o etichetta) del blog per questi articoli giornalistici anni 70/80 ero indeciso tra il più tecnico Emeroteca anime , che poi ho scelto, e "Niente resterà impunito" di cuoriana memoria, che per articoli come questo (e per quasi tutti gli altri) sarebbe stata la tag più giusta.
Ribadendo che nel 1979 non era facile pubblicare un articolo sugli anime, non c'era nessun libro in italiano, nessun esperto da consultare, niente internet, non vuol dire, però, che si potessero scrivere cose a caso... esistevano comunque pubblicazioni in inglese e c'era sempre la possibilità di recarsi all'ambasciata o al consolato giapponese per avere un minimo di riscontro alle proprie tesi. Senza contare l'opzione "viaggio in Giappone" per avere fonti informative dirette. Scelta che venne messa in atto, ugualmente con scarsissimo profitto, da due giornalisti: Nientepopodimenoche Vittorio Zucconi e Carlo Morlondo .
Questo articolo di Elena Doni, giornalista e scrittrice, non è nei toni tra i più aggressivi che ho presentato fino ad ora (record di Nantas SalvalaggioAlberto Bevilacqua ex aequo ), però inanella una sequela molto lunga di luoghi comuni ed errori, una vera e propria disinformazione giornalistica a tutto campo.
Spesso mi accorgo di scrivere ripetutamente "cartoni animati giapponesi" (che è anche una delle tag del blog), nonostante, oltre a non essere il termine corretto, abbia un chiaro valore dispregiativo. Questo perchè "cartoni animati giapponesi" fu il quasi epiteto che li identificava, basta provare a contare quante volte Elena Doni in questo articolo lo utilizza, avrebbe potuto usare almeno una volta "animazione giapponese", ma non lo fece.
Premesso tutto ciò partiamo col lungo articolo di Elena Doni sul settimanale "L'Espresso", il più importante dell'epoca, che inizia col la sinossi della prima puntata di Remì. Personalmente non seguivo Remì, troppo lagnoso, però mi pare che il riepilogo della trama sia corretto.







Riguardo alla trasmissione in 3D del cartone la notizia non è una bufala, ricordo che era girata questa notizia, personalmente non avevo gli occhialini, anche perchè in casa avevamo ancora la tv in bianco e nero(...). Inoltre sulla rivista if - Speciale orfani e robot 1963-1983 del dicembre 1983 (la prima fonte informativa attendibile sugli anime e manga) nella scheda di Remì si diluga su questa questione, riporto parte del testo:
"Remì è il primo programma televisivo messo in onda in tre dimensioni. Il successivo (miss Sadie Thomson e Spooks con “The Three Stoges”) è stato diffuso dalla 3D Select TV, una stazione via cavo di Los Angeles, il 19 dicembre 1980. Era una proiezione anaglifica (cioè da vedere con gli occhialini rossi e verdi). Remì invece utilizzò il più raffinato sistema della polarizzazione.

La polarizzazione non altera i colori e il film può essere teletrasmesso. Se, come in Remì, si ha l'accortezza di tenere vicini i vari piani dimensionali (cioè di non creare un rilievo troppo “profondo”), l'immagine può essere vista anche senza occhiali; ci sarà solo qualche piccola sbavatura non particolarmente fastidiosa. Gli occhiali per vedere Remì in tre dimensioni sono stati inseriti in omaggio nel Radiocorriere e in Tv Junior."




Il divertimento inizia alla fine della sinossi di Remì, qui parte il delirio di insenstatezze. La giornalista ci informa(?) che la diaboloca macchina da soldi giapponese coinvolge decine (dico, decine!) di grandi industrie in tutto il mondo (dico, in tutto il mondo!), che con precise e coordinate tempistiche commerciali mandano il cartone animato giapponese in onda in mondovisione, cosicchè da far entrare tutti i bambini del mondo nel medesimo tunnel.
Intanto è il caso di far notare l'uso di terminologie che assimilano gli anime alla droga: l'entrata nel tunnel della dipendenza dove finito un anime il bambino necessiterà di una dose successiva.
Segue l'asurdità della trasmissione mondiale in contemporanea: purtroppo per Elena Doni i giapponesi producevano gli anime solo per il loro mercato, poi se li vendevano era, comne si usa dire, "tutto grasso che cola".
A stroncare comunque questa teoria basta la consulatazione di Wikipedia Italia, Francia, Spagna e Giappone, che ovviamente ai tempi non era poossibile, ma allora perchè la giornalista scrisse una cosa che non poteva verificare?
Remì venne trasmesso in Giappone per la prima volta dal 2 ottobre 1977 –al 1º ottobre 1978.
In Italia nell'oottobre 1979: link Wikipedia Italia
In Francia nel febbraio 1982: link Wikipedia Francia
In Spagna nel 1991: link Wikipedia Spagna
Dove sarebbe la contemporaneità mondiale?
Questa operazione globale, che abbiamo visto non esisteva, nasceva, però, per un motivo: lo sfruttamento a fini commerciali dei gusti dei bambini!
Ma gli statunitensi della Disney o della Hanna & Barbera non facevano la medesima cosa?
E il nostro Carosello no?




Secondo la giornalista esisterebbero solo due tipi di prodotto nei cartoni animati provenienti dal Giappone: storie di fantascienza e storie tratte da romanzi per l'infanzia coi diritti scaduti.
Quindi solo lo Sci-fi e il Meisaku (o World Masterpiece Theater)... il genere storico, sportivo, le maghette, l'avventura, le storie d'amore, etc etc etc non esistevano, solo due tipi.
Altra notiziona fu che in realtà i cartoni animati giapponesi erano disegnati in Corea del sud e ad Hong Kong, per ridurne al massimo i costi. Questo in realtà non era vero, non nel 1979 (lo sarà in seguito), infatti per ridurre i costi gli studi più grandi appaltavano la colorazione anche ad attività casalinghe.




Qui si fa una colpa ai giapponesi dei bassi costi del cartone animato giapponese, senza spiegare che le motivazioni erano fondamentalmente due: il numero ridotto di disegni rispetto all'animazione delle altre nazioni; le serie vendute in Italia erano già ammortizzate, essendoin gran parte prodotte molti anni prima (fin dagli anni 60) della messa in onda in Italia.
In pratica i giapponesi in quegli anni si ritrovarono a venderci diritti di serie che in gran parte giacevano nei loro magazzini, avendo esaurito il loro ciclo di trasmissione. Un po' come se oggi qualcuno venisse a darci dei soldi per avere le cose che abbiamo in cantina.



Non so valutare le cifre che la giornalista pubblicò, ma a grandi linee le avevo lette anche altrove, la motivazione resta quella illustrata sopra. In più alla Toei non parve neanche verò di sbolognarci Goldrake, visto che da loro fu un mezzo flop.
Poi Elena Doni torna sulle capacità diabolicamente ipnotiche dei cartoni animati giapponesi, la cui colpa era di essere coinvolgenti, molto di più di un cartone di Hanna & Barbera. Torna di nuovo il tema della droga: "piccoli drogati di tv".




Qui leggiamo la vanteria di un dirigente della Rete 1 che rifiutò "Marco dagli appennini alle Ande" perchè "francamente troppo brutto". Anime che viene considerato uno degli anime più belli, creato dal duo Miyazaki/Takahata.
"I cartoni animati giapponesi che scandalizzano e sconcertano gli adulti...", non tutti gli adulti, non Gianni Rodari.





A questo punto viene spiegato quanto i cartoni animati giapponesi rovinavano il lavoro dei maestri e delle maestre, la colpa dei bambini e bambine era che Heidi, nonostante tutto, gli piaceva...




Entrano in scena gli esperti.



Si annuncia il fallimento di anni ed anni di favole sociali alla Rodari. Peccato che in questo lungo ed approfondito scritto (solo in parte sugli anime) lo stesso Rodari scagiona sia i cartoni animati giapponesi che i fumetti: Il ragazzo e il libro.



Come sempre quando si giudica senza guardare ci scappa l'errore. Per la giornalista una delle gravi pecche dei cartoni animati giapponesi era la divisione manichea tra bene e male, ed, invece, se c'è una critica che proprio non si può muovere loro è questa. In tutte le serie che io vidi c'è sempre almeno un personaggio che passa dallo schieramente dei cattivi a quello dei buoni (più raramene il contrario), e quasi sempre è spiegato il perchè i cattivi si comportino così. La loro azione negativa ha una motivazione, a parte Iriza Legan che era una verra cacca umana...
Apprendiamo anche che, secondo gli esperti, quando disegnavamo i robot con le punte troppo grandi delle armature simboleggiavamo il nostro desiderio di chiuderci in difesa nei confronti del mondo. Grazie, ora capisco tante cose...






Facile concordare che non sia giusto sfruttare i bambini per vendere prodotti, infatti non capita più...




Attenzione che la chiusura è col botto. Dopo un iniziale quasi complimento verso i cartoni animati giapponesi, che "non sono esattamente brutti, sono a volte melensi, a volte dignitosi", si finisce con... il pericolo giallo!!!!
E ricordatevi che il mercato esterno è per giapponesi più importante del mercato interno!!!
A me piacerebbe sapere quale fonte aveva la giornalista per scrivere una cosa del genere, il fatturato della Toei? Della Tatsunoko? Della Dynamic?
O forse dava per scontato che l'importanza che l'esportazione aveva (ed ha anora) per l'industria nipponica valesse anche per anime e manga.



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