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lunedì 20 settembre 2021

"Che baby-sitter modello! Ha 26 pollici e 100 canali", di Luciana Sauli - Grand Hotel 8 febbraio 1981


La rivista "Grand Hotel" conteneva fotoromanzi e pettegolezzi, questi ultimi per lo più di matrice televisiva, quindi uno dei temi che le permetteva di vendere copie era anche poter commentare cosa la era trasmesso in tv. Ne consegue che l'argomento "televisione come baby-sitter" era un classico, all'interno di questo filone la sottocategoria della pericolosità di pubblicità e cartoni animati giapponesi era il passo successivo. 
Specialmente perché tramite gli anime ci vendettero obiettivamente la qualsiasi...
In verità i giornalisti e gli esperti avrebbero potuto far notare che la consuetudine "programma di successo" = "vendere prodotti ai bambini/ragazzi" iniziò ad essere commercialmente pianificata dal Sandokan della Rai in poi, ma dare addosso a dei cartoni stranieri non statunitensi era più facile.
Il titolo dell'articolo è un po' fuorviante, perché se è vero che numericamente i canali disponibili su un nuovo televisore a colori del periodo erano 100 (in realtà 99, visto che c'erano solo due display, ma loro contavano anche lo zero!), nella realtà le emittenti private ricevibili saranno state una ventina circa (in città grandi come Milano), indipendentemente dalla qualità del segnale. Non poche, ma se poi ci si concentrava su quelle con una ricezione decente, forse si scendeva ad una decina o poco più, a cui sommare i due canali Rai, Telemontecarlo, la Svizzera Italiana e Capodistria (inguardabile...). 
Quindi non è che chi aveva una tv con il telecomando passava il pomeriggio a fare dal canale 1 al 99 e poi ricominciava...
Io avevo un Grundig (o era Telefunken?) con i tasti a tocco (era una specie di touch screen ante litteram), ed erano 9 tasti, poi dovevi girare le rotelline per cercare le altre frequenze, che magari un giorno erano captabili ed un altro ti mostravano solo nebbia. 
Tutta questa enfasi sui bambini che saltavano da un canale altro, se non dotati di telecomando, era una bufala...
Piccola chiosa sul Remi a colori che si vede nella pagina di sinistra: 
mi pare un po' lontano dalle pretese di full HD, 5K, BR etc etc che si hanno oggi su una qualsiasi serie animata giapponese degli anni 70 messa in vendita. 
Remi lo si guardava a colori, se uno era fortunato, e già pareva il top, lo schermo era così curvato che se se ti posizionavi troppo di lato, non vedevi cosa succedeva sull'altro lato  ^_^

Rifacendomi al trafiletto a sinistra posso tranquillamente ammettere che per colpa della pubblicità molti giocattoli entrarono in casa mia, ma non ricordo avessi questa passione per gli spot, anzi, tendevo a cambiare canale per evitare la pubblicità, ostacolato dall'assenza di un televisore con il telecomando, che mi obbligava ad alzare le chiappe per cambiare canale. 
Al titolo dell'articolo e ai temi trattati basterebbe sostituire i cartoni animati giapponesi e la pubblicità con i videogiochi, You Tube, Twich, i social e i device utilizzati (smartphone, tablet etc), per a vere un articolo da pubblicare oggi.
Non è cambiato nulla, se non il soggetto della lamentela (anche legittima) da parte degli adulti, che si sono dimenticati che da bambini gli veniva rinfacciata la medesima cosa per altri strumenti/programmi. 
La giornalista se la prende anche con la pubblicità, ma poi di pubblicità campavano anche le riviste, quindi alla fine dell'articolo raddrizza un po' il tiro, ricordandone l'importanza come fonte economica per la carta stampata (e quindi anche per le televisioni private, aggiungo io) e mezzo per creare commercio e lavoro.
Ovvio che i catoni animati giapponesi non svolgevano neppure questa opera meritoria  :]


Vorrei tanto sapere com'è cresciuta questa mia coetanea, da come la immortalarono, direi che sarà diventata una serie killer oppure un politico che un giorno vota contro il green pass e il giorno dopo a favore, pretendendo di aver ragione entrambe le volte.
In fondo chi erano i suoi eroi?
Harlock e Goldrake, poveraccia   :]

Come scrivevo sopra se al bambino del febbraio 1981 sostituisci il telecomando con lo smartphone, tutto il resto dell'articolo diventa familiarissimo, fa fin impressione come ci si ripeta nel tempo.
L'articolo resta abbastanza accettabile, ci viene risparmiata la bufala dei cartoni animati giapponesi fatti al computer, ma sono presenti alcune righe di forte drammatizzazione, in fondo era pur sempre "Grand Hotel", e se certe boiate le leggevi sul Corsera, non vedo perché non su una rivista popolare.
Poco sotto si cita quanto gli anime fossero per i bambini una droga (termine usato in seguito a proposito dei videogiochi), più ne vedevano e più ne volevano vedere, finendo per convincersi che quello che ammiravano in televisione fosse la realtà.
Io di cartoni animati giapponesi ne vidi a pacchi, e se dopo 40 anni sono ancora qui a scriverne, effettivamente si potrebbe ipotizzare che ne vidi troppi, ma mai una volta pensai fossero reali.
Per quale motivo, invece, la giornalista affermava che noi bambini credevamo che Hiroshi si lanciasse nel vuoto aspettando che Miwa gli lanciasse i componenti?
Perché psicologi e pedagogisti citavano a conferma "i casi di bambini morti in diverse parti d'Europa nel tentativo di imitare, dal balcone di casa, il volo dei loro supereroi."
Immagino che la causa non fossero solo gli eroi animati giapponesi, ma tutti i supereroi nel loro totale, ma restava l'assurdità del concetto. 
In pratica in diverse nazioni d'Europa (immagino dell'Ovest) c'era questa moria di bambini causata dalla televisione e dai fumetti...
Come tutti i bambini noi giocavamo, e nel giocare c'era chi si faceva male, qualcuno molto male... ma forse, senza i fumetti o i cartoni animati, ci saremmo solo arrampicati su un albero, pratica non immune da rischi. Io non ero un bambino arrampicatore, quindi era arduo potessi cadere da una pianta, al massimo dalla bici, quindi sarebbe stata colpa di Gimondi?

A proposito di questo tema, facilmente strumentalizzabile dai mass media, ogni tanto post uno di questi scritti:




 L'articolo aveva anche un rimando in prima pagina.

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