Edit del 4 ottobre 2018:
Sono venuto in possesso del numero originale di Effe con "l'abominevole" articolo di Marina Valcareggi. Visto che avevo postato per la prima (e spero unica volta) una versione web di un articolo anni 70/80, sostituisco i screenshot del sito di Effe con le pagine cartacee ingiallite del 1978.
L'articolo permette di fare alcune considerazioni su come erano trattati i cartoni animati giapponesi, partendo da alcuni aspetti:
a) la testata;
b) l'autrice;
c) il periodo;
d) i contenuti
Premessa importante.
Non è in alcun modo mia intenzione criticare la rivista e chi vi scriveva, e ho grande rispetto per le battaglie che quelle donne portarono avanti.
Detto ciò a scanso di equivoci, mi pare anche giusto concentrarmi sulle tematiche che cerco di portare avanti postando articoli giornalistici sugli anime del periodo 1977-1987.
a)
Ho mostrato più volte come ai cartoni animati giapponesi si interessarono, oltre le riviste tv e i quotidiani nazionali, le testate più disparate ed impensabili.
Da Playboy, Penthouse o "Eva Express", passando per "Intimità della famiglia", Grazia ed il "Guerin Sportivo", finendo con "Famiglia Cristiana", Rinascita e tutte le riviste settimanali e mensili che trattavano di attualità e politica (Oggi, Panorama, l'Espresso, "La Domenica del Corriere").
Mi mancava una rivista tanto specifica quanto una testa femminista, ed ora ho colmato la lacuna ^_^
Se ci si prende la briga di leggere quali fossero gli argomenti trattati solitamente, si comprenderà quanto l'anime di Heidi fosse assolutamente una eccezione, off topic diremmo oggi.
Uno degli altri argomenti dello stesso numero era "Mutilazioni sessuali delle donne africane", scritti di una certa serietà.
La redazione di "Effe" fu spinta a dedicarle un articolo dall'enorme successo che ebbe la pastorella svizzera, come ammette Marina Valcarenghi:
"Heidi si è inserita nella cultura infantile da Gela a Torino, per questo le facciamo le pulci."
b)
Ho provato a cercare info sull'autrice, penso che attualmente scriva su "Il Fatto Quotidiano":
https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/mvalcarenghi/
Spero non sia una questione di omonimia...
c)
L'articolo venne pubblicato per il numero di ottobre e novembre 1978, ergo Heidi era già terminata da un pezzo, visto che la serie iniziò nel febbraio 1978. Al novembre 1978 gli articoli pubblicati sugli anime non erano ancora molti, una trentina (per ora sono quelli che ho recuperato), ed erano prevalentemente di riviste televisive (indice "Emeroteca Anime"). Direi che "Effe" fu la prima rivista politicamente militante e di un certo spessore culturale che si interessò agli anime.
Strano che ci si concentri solo su Heidi, mentre "Atlas Ufo Robot", con le sue numerose donne guerriere (di entrambe le fazioni), non è considerato...
d)
Trovo più che legittimo che a Marina Valcarenghi non piacesse Heidi, né dal punto di vista del messaggio sociale e politico che per lei il cartone veicolava, né come madre. Dispiace, però, leggere un certo numero di inesattezze, che sarei curioso di sapere da quali fonti informative fossero state prese. Inoltre noto che non si rese per nulla conto che Isao Takahata eliminò dalla serie tv tutti riferimenti religiosi del romanzo originale, rese Heidi laica, direi atea :]
Questo aspetto, forse, avrebbe dovuto apprezzarlo, ma forse non conosceva il romanzo della Spyri.
L'articolo è chiaramente negativo, lo si comprende sia dal titolo che dal sottotitolo:
"Heidi è un esempio di cattiva letteratura e di splendido business."
Mi pare che l'autrice faccia un po' di confusione sulla data in cui venne trasmesso il cartone animato, in quanto scrive "che ha dato origine l’anno scorso a un programma televisivo", cioè nel 1977?
In alcuni punti non è ben chiaro se ci si riferisca alla serie animata nipponica o al lungometraggio cinematografico (animato e non animato) che era presente in quel periodo al cinema. Ho sfruttato le mie riviste tv, ed ho scoperto che venne fatto passare un film del 1965 (link) per un film nuovo!
Probabilmente al solo scopo di sfruttare il successo dell'anime...
Forse è anche per questo motivo che Marina Valcarenghi ebbe una così pessima impressione del film, era vecchio di 13 anni!!!
Però si sarebbe potuta informare un po' meglio, sapendo che il film era stato prodotto 13 anni prima, avrebbe potuto valutarlo più correttamente.
Restano i giudizi negativi sul cartone animato, del tutto legittimi, ma basati anche sul alcune informazioni che mi sono parse un po' fantasiose:
"Un altro motivo di successo, a mio parere, sta tutto nella furbizia di quel disegno animato, che è il frutto di lungo lavoro a tavolino di disegnatori giapponesi e managers americani."
Poco più sotto si rincara la dose:
" Heidi è una colossale operazione industriale, organizzata da una multinazionale e venduta a mezza America e a tutta Europa."
Forse l'autrice non pensava che i giapponesi fossero capaci di fare affari coi cartoni animati?
Dovevano essere per forza statunitensi?
Tra l'altro, per quello che so io (potrei sbagliare) l'anime di Heidi non fu venduto negli Usa, e mi pare che vi arrivò solo in formato lungometraggio, formato da un mix di varie puntate.
Gli evocati "managers americani" non ebbero nessun ruolo nella compravendita dei diritti televisivi della Heidi animata nipponica... quale fu la fonte?
Direi che la battuta sessista del nonno fosse stata pronunciata nel film con attori, perché nel cartone non la rammento:
"Ma sì, lasciamole parlare le donne, dato che le galline non possono".
La Heidi dell'anime non è sempre buona come afferma la giornalista. Disobbedisce al nonno e a Peter, rischiando più volte l'osso del collo... ma è a Francoforte che si ritrova più spesso in rotta di collisione con le tante regole di casa Sesemann, entrando in conflitto con colei che esercita il potere in assenza del padrone di casa, cioè la signorina Rottenmeier.
Almeno questo aspetto dovrebbe suscitare una qualche simpatia in chi scrisse l'articolo:
una giovane contestatrice contro l'establishmennt conservatore!
No... neppure questo... >_<
Sono letteralmente trasecolato alla lettura di questo passo:
"L’identificazione gaudiosa dei bambini nella sovrana bontà di Heidi è il primo motivo del trionfo di questo mostriciattolo, ma ce ne sono altri. Per esempio la mancanza di insegnamenti e messaggi".
Ma come la mancanza di insegnamenti e messaggi?! O_o
Il messaggio più importante fu che per Isao Takahata ce la si poteva cavare con le proprie forze, anche se si era piccoli, e senza attaccarsi alla religione per riuscirci.
Senza considerare il tentativo di inculcare nei bambini un minimo di rispetto per l'ambiente, argomento che nel 1978 quasi nessuno si preoccupava di veicolare. Ci pensava Heidi, di certo lo faceva in maniera ingenua, ma in fondo sia lei che noi eravamo bambini!
Heidi si becca anche della demente, dopo abominevole e mostriciattolo...
Ma dove starebbe la "furbizia di quel disegno animato"?
In cosa lo stile di Takahata sarebbe furbo?
Attenzione, non "nella furbizia del disegno animato", ma di "quel" disegno animato, cioè giapponese?
"Un altro motivo di successo, a mio parere, sta tutto nella furbizia di quel disegno animato, che è il frutto di lungo lavoro a tavolino di disegnatori giapponesi e managers americani. Il risultato offre un paesaggio e dei personaggi che non hanno niente di naturalistico; sono pupazzi in un mondo di cartone, personaggi di fiaba, non bambini in carne e ossa. Questa dimensione grafica fantastica, irreale, accentuata ancora dal particolare meccanismo di movimento del disegno, tocca il profondo bisogno dei bambini di sognare, di immaginare, di uscire dalla gabbia di un realismo figurativo opprimente".
Ma potrà mai un cartone animato mostrare qualcosa di diverso da un mondo di "cartone"?
E cosa sarà mai il "particolare meccanismo di movimento del disegno"?
Un cartone animato, indipendentemente dal numero di disegni che lo animano, soggiace alle stesse regole delle tecniche di animazione comuni a tutti i cartoni animati.
Chiusura col botto
"A meno che non si creda che lo sviluppo intellettuale del bambino è qualcosa che si fa da sé, anzi, qualcosa che bisogna lasciare fare alle multinazionali. Una visione acritica di spettacoli di questo genere apre la strada maestra che porta a C.L. e anche a certe lettere a Lotta Continua".
Io adoravo Heidi, la adoro ancora, penso che fra 50 anni la Heidi di Takahata sarà ancora in tv, e non sono mai finito in C.L.!!! ^_^
La copertina del numero in questione.
Più guardo i tuoi articoli più mi convinco che il periodo a cavallo tra anni 70-80 doveva essere una vera pacchia per i giornalisti, almeno per quanto riguarda i cartoni animati.
RispondiEliminaBastava farsi qualche bicchierino (o analoghe sostanze psicotrope), buttarla il più possibile in politica, lasciandosi aperte tutte le strade (infatti la fan di Heidi era destinata o a C.L. o a L.C., un curioso bivio che anni dopo si riunirà in Forza Italia), e soprattutto, senza un minimo di informazione su ciò che si scriveva.
Si spera che gli articoli sulle mutilazioni femminili fossero scritti con maggior cognizione di causa...
Ho trovato curioso anch'io il binomio CL/LC, anche se molto profetico, come scrivi tu... >_<
EliminaProbabilmente da parte mia non è correttissimo fare le pulci a certi articoli scritti quando le informazioni su certi argomenti scarseggiavano, mentre oggi ci sono un sacco di saggi sugli anime e tonnellate di info sul web.
Quello che mi chiedo è, però, perché scrivessero certe cose pur non potendo avere fonti primarie... se non sai una cosa non scrivi che Heidi fu una operazione messa in campo da managers americani, oppure che la serie venne venduta in mezza america... sono queste le cose che mi lasciano perplesso...