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lunedì 26 febbraio 2018

Il prezzo della colpa, Germania e Giappone: il passato che non passa



TITOLO: Il prezzo della colpa, Germania e Giappone: il passato che non passa
AUTORE: Ian Buruma
CASA EDITRICE: Garzanti
PAGINE: 331
COSTO: 10 circa €
ANNO: 1994
FORMATO: 21 cm x 14 cm 
REPERIBILITA': on line
CODICE ISBN:
9788811738411


Incredibilmente mi era sfuggito un titolo di saggista storico-sociologico che è d'obbligo leggere. Grave mancanza la mia... rimedio con 24 anni di ritardo, ma rimedio ^_^
Comunque, l'averlo letto con così tanto madornale e colpevole ritardo, mi ha permesso di fare alcune considerazioni sull'analisi di Ian Buruma riguardo a come il Giappone ha trattato le proprie responsabilità dopo la fine della guerra. Il saggio prende in considerazione anche la Germania neo unificata, io come al solito mi concentrerò più sull'aspetto nipponico, anche se l'autore sovente raffronta come le due nazioni abbiano fatto i conti con la storia. Cioè, in pratica i tedeschi (almeno quelli della ex Germania Federale) ci hanno provato a farli i conti con la loro storia, anche se a distanza di tanti anni pare che la lezione non sia servita abbastanza... mentre i giapponesi hanno semplicemente fatto finta di nulla. Anzi, peggio, molto peggio, sono andati avanti a raccontarsi che non avevano alcuna colpa.
Considerando che il saggio ha più di 20 anni, si sarebbe portati a pensare che non sia più attuale, se forse sul versante tedesco, dove sono accaduti tantissimi eventi che hanno mutato la scena politica e sociale, ci potrebbe essere del vero, trovo che per quanto riguarda il Giappone resta ancora una lettura interessante. In primis per ricordare come i governanti ed il popolo giapponese non abbiano avuto la volontà di guardare in faccia a ciò che avevano fatto prima e durante la guerra, se non per ricordare i terribili bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, inoltre perché per alcuni aspetti la società giapponese pare non essere cambiata per nulla dal 1994 ad oggi!
Si dibatte ancora se a Nanchino l'esercito imperiale massacrò la popolazione inerme, tralasciando la questione del numero delle vittime (che comunque non è secondario...), e se la guerra contro la Cina fu una guerra di invasione o di liberazione dai colonialisti bianchi.
Si disquisisce ancora se le “comfort women” fossero volontarie o meno...
E' ancora tabù affermare che Hirohito fosse responsabile politicamente e moralmente per ciò che accadde, e che solo grazie a MacArthur non finì impiccato come criminale di guerra...
I libri di testo scolastici continuano ad essere evasivi su tutti questi argomenti, e scrivere “evasivi” parrebbe un eufemismo.
Sono passati decenni, ma i giapponesi sono rimasti agli anni appena dopo la guerra... si sono limitati a rimuovere tutto, poi ci sono sempre delle meritorie eccezioni, altri giapponesi che si sono battuti affinché la verità sulle responsabilità nipponiche venisse a galla, ma non sono parte di una azione a livello nazionale come, invece, è capitato in Germania (almeno in quella ovest).
Proprio per questi motivi, e anche perché Ian Buruma racconta proprio la storia di alcuni giapponesi che si sono opposti al silenzio imperante, che il libro ha ancora valore a distanza di tanti anni.
Leggendo questo saggio, e confrontando le considerazioni dell'autore con quello che nel frattempo non è stato mai fatto in Giappone, penso che ormai i giapponesi non potranno più accettare le responsabilità per ciò che hanno commesso, hanno nascosto per troppo tempo la testa sotto la sabbia. Non solo dovrebbero scusarsi infinite volte, ma dovrebbero pure ammettere di aver occultato la verità per decenni, impossibile che lo facciano...
Forse, chissà... se Akihito, prima di abdicare, si scusasse a nome di tutti i giapponesi per i crimini commessi dal Giappone e dal padre, sarebbe l'ultima occasione per i giapponesi di fare ciò che non hanno mai fatto seriamente e continuativamente dalla fine della guerra ad oggi.
Ma la mia è veramente fantapolitica!
In qualche occasione inserirò delle scan dello scritto, per cercare di rendere chiaramente, oltre a quello che potrò mai fare io, quanto questo saggio meriti di essere letto.





Capitolo 1: Guerra contro l'Occidente
Viene riportato il dibatto interno a Germania e Giappone riguardo alla loro partecipazione, seppure indiretta, alla prima guerra nel Golfo. In entrambe le nazioni ci furono molte proteste per il fatto che due nazioni con la storia di Germania e Giappone entrassero in un altro conflitto.
Ricordo bene dalla lettura dei quotidiani dell'epoca che di questo aspetto se ne parlò anche in Italia.




Capitolo 2: Il romanzo delle macerie
Come affrontarono il dopo guerra gli intellettuali delle due nazioni?
Tutte le differenze elencate dall'autore sono, alla fine, i motivi per cui ai tedeschi non si può imputare di non aver cercato di comprendere i propri atti criminali ed aver chiesto perdono,mentre per i giapponesi vale l'esatto opposto.



Capitolo 3: Luoghi sacri: Auschwitz
Si spiega come i tedeschi abbiano interiorizzato i campi di sterminio, ci sono andati per vedere, per capire, anche per convincere il prossimo che non sapevano (ammesso questo sia possibile).

Capitolo 4: Hiroshima
Se per i tedeschi Auschwitz (e tutti i campi di sterminio) sono il simbolo di un martirio inferto a degli innocenti, per i giapponesi Hiroshima è il simbolo di un martirio subito.
Per i giapponesi Hiroshima vale tutti i campi di sterminio creati dai tedeschi, i giapponesi sono le vittime, come chi entrò ad Auschwitz.
Ad Hiroshima vengono ricordate le vittime giapponesi, morte in maniera tanto atroce, ma le vittime coreane e cinesi, che erano ad Hiroshima contro la propria volontà, in qualità di schiavi, si cerca di dimenticarle. Il monumento ai coreani morti nell'esplosione atomica venne eretto solo nel 1970, per iniziativa privata di altri coreani giapponesi, che volevano ricordare i circa 20 mila connazionali morti. Purtroppo il monumento ai coreani non lo si troverà all'interno del parco della Pace, dove c'è quello per i giapponesi, ma all'esterno.




Più volte si è tentato di aprire settori del parco della Pace a mostre sulle responsabilità dei giapponesi, sempre senza risultati. Ad Hiroshima si racconta solo Hiroshima, il prima è vietato.
Interessante la storia dell'unico esempio (al momento in cui venne scritto il saggio) sulle responsabilità nipponiche, il “Museo del gas tossico di Okunojima”.







Capitolo 5: Nanchino
Il capitolo narra a grandi linee cosa successe nelle sole sei settimane successive alla conquista di Nanchino da parte dell'esercito imperiale, per poi illustrare come e quanto (non) ricordino e riconoscano quel crimine i giapponesi.








Capitolo 6: La storia sotto processo
Si raccontano i processi ai criminali di guerra a Norimberga e Tokyo.
Tutta l'analisi di Ian Buruma è molto interessante, e mi pare che sia stata sviluppata successivamente anche in altri saggi.
Ci si concentra molto sulla triste figura di Hirohito.












Capitolo 7: La resistenza nei testi scolastici
Nella prima parte ci si concentra sui testi scolastici della Germania est, in cui, a differenza della Germania Ovest, dove ci si concentrava sull'Olocausto, i protagonisti storici erano i liberatori sovietici. Considerando quanto i movimenti di estrema destra abbiano successo nei lande della ex Germania Est, l'analisi di Ian Buruma si è dimostrata molto lungimirante.
La seconda parte si concentra sulle omissioni dei testi scolastici nipponici fino ai primi anni 90, e purtroppo nulla è cambiato in merito.
La storia dei testi scolastici “corretti” dal ministero della Pubblica Istruzione nasce nel 1956, quando il ministero chiese allo storico Ienaga Saburo di correggere un suo testo di storia che era già da quattro anni studiato nelle scuole. Per il ministero il contenuto era troppo “unilaterale”, cioè in pratica raccontava quello che aveva fatto il Giappone in Cina, comprese le Comfort Women, Nanchino e l'Unità 731. Il professor Ienaga corresse più volte il testo, ma ogni volte il ministero chiedeva nuovi cambiamenti, sempre nel senso di edulcorare gli accadimenti storici. Alla fine Ienaga denunciò il governo nipponico per atto incostituzionale, in quanto stava censurando un testo scolastico. Quel processo durò 27 anni... e Ienaga lo perse nel 1993... l'autore racconta tutti i 27 anni di ricorsi del governo nipponico.




Capitolo 8: Musei, memorie, documenti
Pare che al 1992 in Giappone, oltre al Museo della Pace di Hiroshima e ad un piccolo museo sui kamikaze nel Kyushu, non esistessero altri musei sulla guerra del pacifico, tranne, ovviamente, quello dentro al tempio Yasukuni. L'autore si dilunga molto sul significato nazionalistico e militaristico di come si ricorda il conflitto a Yasukuni.
L'autore osserva che qualche miglioramento nel trattare i fatti storici, anche a livello di musei, c'è stato dopo la morte di Hirohito, che è poi quello che ho notato io negli scritti sull'imperatore dell'era Showa, prima della sua morte sorvolano praticamente su tutto, dopo la sua morte sono meno teneri.




Capitolo 9: Un paese normale
In questo capitolo si raccontano due episodi di politica, il primo inerente il discorso che fece Philipp Jenniger al Bundestag, di cui era presidente, il 10 novembre 1988, e il clamore che le sue considerazioni suscitarono.
Il secondo episodio riguarda la politica giapponese, riguardo alla dichiarazione del sindaco di Nagasaki Motoshima Hitoshi fece il 7 dicembre 1988 sulle responsabilità dell'imperatore Hirohito.









Capitolo 10: Due città normali
Vengono raccontati due “normali” episodi del periodo bellico in Germania, nella città di Passau, e Giappone, ad Hanaoka nell'estate del 1945.
Ad Hanaoka erano stanziati 958 lavoratori coatti, cioè schiavi, cinesi, le condizioni di vita e lavoro erano tremende, come per tutti gli schiavi usati dai giapponesi, tanto che ne sopravvissero 568. Nell'estate del 1945 ben 880 di questi schiavi cinesi tentarono di fuggire, ma vennero subito ripresi dalla popolazione che aiutò la polizia, una cinquantina vennero puniti con la tortura, ed alcuni morirono. Questi atti vennero compiuto dalla popolazione di Hanaoka, non dalla Kempetai.
Ian Buruma racconta gli sforzi di un paio di cittadini di Hanaoka per far venire a galla la verità.
Ho trovato che curioso che questo evento, di cui in italiano sul web c'è ben poco, in Giappone venga chiamato “incidente di Hanaoka”, per i giapponesi questi sono sempre identificati tutti come “incidenti”... prendi quasi 1000 poveri cristi dal loro luogo natale, li deporti in un'altra nazione, li fai lavorare come bestie, in inverno restano vestiti con gli stracci che indossavano in estate, li nutri con i rifiuti, li malmeni, li torturi, li ammazzi, e poi è un “incidente”...







Capitolo 11: La rimozione delle macerie
Con questo ultimo capitolo l'autore cerca di capire perché i giapponesi non riescano (e non siano mai riusciti) a fare quel passetto iniziale per ammettere le proprie responsabilità.
Erano considerazioni interessanti e corrette nel 1994, restano tali, purtroppo, anche oggi.
Dopo la guerra ci fu un principio di dibattito interno sulle responsabilità nipponiche, ma sia i politici di maggioranza, i burocrati e gli Usa, considerarono più vantaggioso, ognuno per il proprio tornaconto, seppellire tutto sotto chilometri di sabbia.
Per l'autore nel 1994 c'era la speranza che il Giappone intraprendesse il cammino del cambiamento, infatti era appena stato estromesso dal governo per la prima volta il partito Liberaldemocratico, e alla guida del governo c'era Hosokawa Morihiro.
In questo caso la sua previsione fu esageratamente ottimistica.

14 commenti:

  1. È un libro veramente interessante. Grazie per la segnalazione.

    P.S. Una riflessione di questo tipo rivolta alla storiografia e alla presa di responsabilità dell'Italia post bellica sugli eventi della seconda guerra mondiale sarebbe veramente molto avvincente (anche perché dalla amnistia Togliatti in poi credo che ci sia stato fino a pochi decenni fa molta omertà).

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  2. Gli Italiani sono stati come sempre molto creativi riuscendo ad inventarsi il mito degli "italiani brava gente", un mito che una volta seminato attecchisce praticamente da solo perché fa comodo a tutti, un po' come per i giapponesi il concetto "si faceva tutto per l'onore dell'impero" e per i tedeschi "non sapevamo nulla" o "eseguivamo degli ordini".
    Il mito degli italiani brava gente è analogo a quello della "Wehrmacht diversa e migliore delle S.S.", si tratta di fare la figura degli umani mettendosi accanto ai mostri (con i nazisti non è difficile)e puntare il ditino dicendo"guardate come eravamo buoni rispetto a quelle bestiacce...", il resto va da sè.
    In realtà basta leggere qualche libro di Angelo Del Boca per capire (senza nemmeno arrivare alla guerra mondiale ma fermandosi all'Etiopia), che gli italiani non erano brava gente manco per niente, almeno quelli che decidevano le strategie e quelli che le facevano eseguire.
    Che poi molti militari e civili italiani fossero effettivamente brave persone, è pacifico, così come accadeva in Germania e in Giappone, credo.

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    1. Sono condivido pienamente il tuo post. Molto spesso si preferisce seppellire tutto, e non fare giustizia (come accaduto con Graziani, Badoglio e molti altri), che guardare dritto in faccia alla cruda realtà.

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    2. Condido entrambe le riflessioni, aggiungerei che, forse, quello che ci ha un po' salvato rispetto ai "volonterosi carnefici" (titolo di un libro) e solerti tedeschi e giapponesi, è che siamo, eravamo e resteremo dei pressapochisti...
      Questo vale quando c'è da fare un'opera pubblica, rispettare una legge oppure organizzare un Expò, ma vale anche dei momenti peggiori, quando c'è da organizzare massacri su vasta scala.
      Mentre i tedeschi e i giapponesi sono sempre efficientissimi, noi siamo dei fancazzisti scazzati, forse in quel periodo storico questo nostro terribile difetto strutturale (anche della burocrazia), si è dimostrato, per una volta, un pregio...

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    3. Questa è di nuovo una giustificazione.

      Gli Italiani non sanno nulla del "Fascismo di Confine"
      Che inizò una PULIZZIA ETNICA in Slovenia e Croazia già dal 1920. Diciotto anni prima delle leggi razziali e la persecuzione degli ebrei da parte dei Nazisti.
      Il fascsimo è stato il primo totalitarismo moderno e funse da MODELLO per Hitler. Tutto quello che facevano i nazisti, lo facevano già i fascisti nella venezia giuglia vent'anni prima.

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    4. Qualche tempo fa ho letto un paio di saggi sul nazismo: "I volenterosi carnefici di Hitler" e "L'IBM e l'olocausto".
      Quello che voglio dire io è che i tedeschi, ma anche i giapponesi, ci si impegnavano con massima solerzia nell'applicare le direttive dei loro leader, in ogni momento e luogo. Andando anche oltre alle le loro aspettative.
      Forse noi, non perché più buoni, ma solo perché più disorganizzati e scazzati (passami il termine), non siamo riusciti (per fortuna) ad eguagliare le capacità degli alleati.
      Mio punto di vista, sia chiaro.

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    5. C'è un libro simile:
      http://www.marioavagliano.it/index.php/storie/item/324-storie-i-volenterosi-carnefici-di-mussolini

      La repubblica sociale era composta soprattutto da volontari. Anche la venezia giulia dopo il '43 fu spazzata sa squadre di torturatori volontari.
      Quindi la solerzia e la volontà non mancavano di certo. Certo l'organizzazione lasciava a desiderare. Ma l'impegno c'era eccome. Anche l'italia attaccò l'africa e la grecia senza che Hitler se l'aspetasse, andando appunto oltre le aspettative.

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    6. Grazie della segnalazione inerente il libro ;)


      Rispetto ai giapponesi, che erano veramente un blocco granitico di fanatici, noi non abbiamo raggiunto, per tanti motivi diversi, l'abisso di disumanità nipponico.
      Basti pensare che alla fine della guerra in Giappone i prigionieri politici liberati erano veramente pochi, questo perché ad un certo punto non era più necessario neppure ucciderli, veniva utilizzata l'abiura pubblica (tenko), che penso fosse un metodo applicabile solo in Giappone.
      Non sto sminuendo i nostri crimini ventennali, sia chiaro, sto facendo un raffronto rispetto ai giapponesi e i tedeschi.

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  3. «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani.»

    Parole esplicite, pronunciate da Mussolini durante un viaggio nella Venezia Giulia nel settembre del 1920.

    Se parli di fanatismo, ti ricordo di nuovo che queste parole furono pronunciate quando Hitler era un semplice soldato e l'impero Giapponese era appena uscito dall'intervento in Siberia.

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    1. Non conoscevo la dichiarazione.

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    2. Lo immaginavo. Ti ripeto che quasi nessuno in italia conosce la storia del fascismo. Quella VERA che inizia nel 1920. Con PULIZIA ETNICA organizzata. Italianizzazione dei nomi slavi, chiusura di scuole slave, divieto di parlare le lingue slave, deportazione di slavi nei campi di concentramenteo ITALIANI FASCISTI, colonizazzione di 100.000 italiani del sud Italia fatti venire nella Venezia Giulia a occupare le case sfitte degli Slavi deportati.
      E tutto in tempo di PACE.
      Tutto 20 anni prima di Hitler.

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  4. Ha ragione anche Gaizok.
    Il fascismo fu davvero IL modello a cui Hitler si ispirò, e Hitler non nascose mai l'amore per Mussolini (amore che, detto per inciso, non fu così gradito al Duce quando si trovò, suo malgrado, ad essere "liberato" da Skorzeny sul Gran Sasso dopo l'arresto in seguito alla sfiducia di Grandi nel Gran Consiglio).
    Capisco bene Gaizok: Oggi (o almeno dagli 90, dopo lo sdoganamento di Fini e delle istanze dell'allora Alleanza Nazionale), tutti parlano insistentemente delle "foibe", ma nessuno parla più della repressione antislava o della risiera di San Sabba.
    Emblematico vedere come si giunse alla persecuzione degli ebrei in Italia: non per un motivo ideologico come in Germania ma solo e unicamente per compiacere i tedeschi. Nel 22 parecchi ebrei erano stati sostenitori del fascismo, e ancora negli anni 30 (dopo il Concordato), Mussolini dava rassicurazioni che in Italia la questione ebraica "non esisteva". Poi, nel 38, le leggi razziali (solo ed esclusivamente parte della politica filotedesca) ed improvvisamente una nazione di intellettuali si scopre razzista: il Manifesto della Razza (ebbene sì, ci inventiamo una "razza Italiana") viene firmato da illustri scienziati quali Padre Agostino Gemelli, che trova così il modo di coniugare il razzismo "scientifico" dei nazisti, all'antisemitismo cattolico... che squallore, che tristezza.

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  5. Risposte
    1. Se tu avessi letto il blog prima di venire l'altro sabato, te lo saresti potuto portare via :]

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