TITOLO: Cina e Giappone, le atrocità giapponesi in terra cinese dal 1937 al 1945 tra passato e futuro
AUTORE: Fabiana Marchioro
CASA EDITRICE: Enigma Edizioni
PAGINE: 457
COSTO: 18,9 €
ANNO: 2017
FORMATO: 21 cm x 15 cm
REPERIBILITA': on line
CODICE ISBN: 9788899303280
Dalle mie letture e da quello che scrivo si questo blog, per quello che possono valere entrambe le cose, si capisce che non ho potuto che apprezzare tantissimo questo saggio di Fabiana Marchioro, sia per il resoconto dettagliato dei crimini giapponesi in Cina, sia per l'analisi sui rapporti sino-giapponesi a causa dei dissensi su come viene trattata la questione storica nelle relative nazioni.
Quindi il presente scritto non si limita a rinvangare il passato,
opera indispensabile, viste le carenze di memoria storica in Italia,
ma lancia uno sguardo al presente ed al futuro dei rapporti tra Cina
e Giappone.
Mi pare importante sottolineare che l'autrice non dimostra di essere
una fan della Cina, in quanto spiega bene come il regime comunista
abbia sfruttato i crimini di guerra giapponesi solo dagli anni 80 in
poi, quando ne aveva bisogno per scopi di coesione interna. Quindi ho
scoperto che sono le nuove generazioni cinesi ad essere più ostili
verso il Giappone, grazie ad un'opera pianificata di propaganda
nazionalista nata nei primi ani 80, che prosegue fino ad oggi grazie
al web, e che in più occasioni ha messo in difficoltà lo stesso
governo cinese, in quanto è difficile per il PCC stroncare i giovani
“patrioti” senza correre il rischio di essere accusati di scarso
patriottismo!
Ovviamente questo carico d'odio dei cinesi, strumentalizzato dal
regime comunista(?), nasce dall'incapacità giapponese di fare i
conti con il passato. Le continue revisioni e censure dei libri
storici, le visite ufficiali o semi ufficiali al Tempio Yasukuni, il
non riuscire a fare delle scuse ufficiali chiare e scritte, verso cui
nessun personaggio pubblico esprima dei distinguo, non fa altro che
fomentare la propaganda cinese.
Forse basterebbe un atto di grande coraggio dell'imperatore Akihito,
figlio del criminale imperatore Hirohito, che facesse esso stesso le
scuse alle nazioni asiatiche invase dal Giappone imperiale (mia
opinione).
Il saggio è diviso in quattro capitoli, che sono preceduti da una
lunghissima (46 pagine!) prefazione scritta da Federico Divino.
Questa prefazione fiume ha un senso, perché riepiloga la storia del
Giappone dalla caduta del Bakufu alla fine della seconda guerra
mondiale. Giocoforza la prefazione riassume molto alcuni passaggi
storici, altrimenti sarebbe stata di 200 pagine, l'unica pecca che vi
ho trovato sono i numerosissimi refusi di stampa, che toccano anche
alcune date storiche. I refusi li si trova anche nel saggio, ma molto più di rado.
Altra questione che proprio non mi è piaciuta è ciò che Federico
Divino scrive a a pagine 9:
… ( Takeo Doi è universalmente noto per aver trattato il fenomeno degli otaku e degli hikikomori, malattie sociali del tutto giapponesi).
… ( Takeo Doi è universalmente noto per aver trattato il fenomeno degli otaku e degli hikikomori, malattie sociali del tutto giapponesi).
Tralasciando che, almeno in Italia, l'unico saggio di Takeo Doi è "Anatomia della dipendenza, un’interpretazione del comportamento sociale dei giapponesi", e non mi pare tratti né il
fenomeno hikikomori e neppure gli otaku, ma non ho capito da quando
gli “otaku” siano diventati una malattia sociale... vabbè...
Torno al saggio per illustrarne sommariamente il contenuto, che consiglio vivamente di leggere, visto anche il prezzo più che onesto.
Nel primo capitolo ci si concentra sulla “guerra di resistenza
contro il Giappone”, o “seconda guerra sino-giapponese”, in
base da quale parte ci si ponga, che durò dal 7 luglio 1937 al 15
agosto 1945. Viene dato conto degli sviluppi più importanti della
guerra sul campo, che portò alla morte di 35 milioni di cinesi (in
sette anni).
Con il loro comportamento efferato i giapponesi riuscirono a cambiare
il punto di vista cinese sui soldati, culturalmente, infatti, questi
non erano visti positivamente dalla popolazione. Fare il soldato non
era l'attività a cui doveva aspirare il vero uomo cinese, ma grazie
ai giapponesi, i soldati cinesi divennero degli eroi.
In Cina l'esercito giapponese attuava una strategia ben chiarita da
Lord Russel (link libro):
“Obbiettivo dei giapponesi era di condurre la guerra con una
barbarie tale da spezzare la volontà di combattere e di difendere le
proprie case e il proprio paese.”.
L'esercito imperiale attuava sistematicamente i “Tre-Tutto”:
saccheggiare tutto; uccidere tutti; bruciare tutto.
Oltre a dar conto di come l'esercito terrorizzasse i cinesi, si cerca
di spiegare cosa scattò nel soldato giapponese, come fu possibile
che tanti soldati commisero contemporaneamente tanti crimini. Tra le
varie spiegazione ce ne è una che avevo letto anche in altri saggi,
cioè che il soldato nipponico, che aveva imparato a disprezzare i
cinesi dalla propaganda militare, era abituato alla violenza fin
dall'arruolamento da parte dei proprio commilitoni e superiori.
Quindi si limitava ad applicare gli stessi metodi con chi non
considerava neppure umano... infine, se la propria vita poteva essere
sacrificata senza problemi per l'Imperatore, che valore poteva avere
la vita di un cinese?
Si passa quindi a narrare delle tre atrocità principali di cui si
macchiarono i giapponesi in Cina: il massacro di Nanchino; le comfort
woman, le fabbriche della morte (Unita 731 più altri 18).
Il tema delle fabbriche della morte sarà ancor di più analizzato
nei successivi due capitoli. Tra le tantissime informazioni presenti,
e che neppure io conoscevo, c'è quella che gli “scienziati” che
servirono nelle varie “unità” percepissero uno stipendio ben più
alto di quello dei docenti in patria.
In tutto si stima che, nei 19 laboratori in territorio cinese, in
tutto l'arco di tempo dalla costruzione del primo (1932), si
alternarono circa 10 mila giapponesi!
Nessuno di questo venne mai condannato o imputato dalle autorità
occidentali, in quanto gli usa fecero un patto con il Giappone per
uno scambio tra impunità e dati scientifici dei medici della morte.
Ovviamente non si doveva neppure sapere del ruolo di Hirohito nella
costituzione delle Unità del colonnello Ishii. Gli Usa graziarono i
torturatori di più di mille loro connazionali...
Il secondo capitolo si concentra magistralmente sulle “fabbriche
della morte”, ovvero le famigerate “unità”, tra cui la 731.
Per prima cosa viene spiegato il triste motivo per cui gli Usa dopo
la guerra insabbiarono le atrocità commesse dagli scienziati
giapponesi. Segue un interessante riepilogo dei casi in cui, invece,
i crimini perpetrati nelle fabbriche della morte vennero parzialmente
alla luce, ma velocemente censurati fino alla fine della guerra
fredda. L'autrice divide questa ricerca sulle fonti (film, libri,
articoli, documentari, ricerche sul campo etc etc) per nazione, Cina,
Giappone ed infine gli Usa.
Ogni aspetto della questione è trattato esaurientemente, e mi è
parso in maniera più che imparziale, senza criminalizzare nessuna
delle nazioni prese in esame.
Il capitolo si conclude con il paragrafo dedicato all'unico processo
(con condanne) svolto dai sovietici contro i criminali giapponesi della fabbriche
della morte, quello di Khabarovsk nel dicembre 1949, tacciato dagli
Usa di essere mera propaganda comunista.
Il terzo capitolo è il più atroce, in quanto si entra nel dettaglio
dei singoli protagonisti di quegli orrori “scientifici”, con
l'aggiunta della rabbia di sapere che nessuno di loro non solo non
pagò mai per i crimini commessi, ma vissero in Giappone vite
tranquille e piene di riconoscimenti professionali.
Riguardo al colonnello Ishii viene spiegato come il suo “Dipartimento
per la purificazione delle acque”, che era il nome ufficiale delle
varie “unità” per la guerra chimica, batteriologica e gli
esperimenti sugli esseri umani, fu istituito grazie ad un decreto
dell'Imperatore Hirohito il primo agosto 1936. Grazie al pacifista
Hirohito, il colonnello Ishii, che “operava” in Cina fin dal
1932, ora aveva tutti i fondi necessari ed il personale che gli era
mancato.
Oltre ad informarci sulla “carriera” dei singoli responsabili,
l'autrice ha scelto di illustrare la storia delle singole unità,
iniziando con la prima, l'unità Togo, costruita nel 1932 ad Harbin.
Un paragrafo si occupa degli esperimenti eseguiti sugli esseri umani,
uno sulla guerra chimica e batteriologica che i giapponesi
scatenarono contro i cinesi. Quest'ultimo fatto è ben poco
conosciuto in Occidente... specialmente che la guerra batteriologica
giapponesi in Cina uccise circa 580 mila persone, per lo più civili.
La più conosciuta Unita 731, non era solo un luogo di morte, ma la
residenza dei giapponesi e famiglie, quindi dotata di tutti i
comfort...
A pagina 233 si può leggere che nell'unità 731 erano ospitati anche
studenti sulla “quindicina”, immagino si tratti dell'età, il che
rende il tutto assolutamente peggio di un film dell'orrore...
Alcuni contestano che Hirohito conoscesse quello che veniva fatto
realmente dal colonnello Ishii, l'autrice affronta la questione nelle
pagine 233 e 234, ed è difficile continuare a considerarlo sempre
quello che non sapeva.
Sugli esseri umani venivano svolte tre tipologie di sperimentazioni:
esercitazioni per i chirurghi dell'esercito; esperimenti sul campo
con armi biologiche; ricerche sugli esseri umani.
Le ricerche sugli esseri umani si dividevano in quattro gruppi:
studi sulle malattie; sviluppo di vaccini; esperimenti curiosi;
sviluppo di armi chimiche e biologiche.
Da considerare che i dati di questi studi venivano commentati
regolarmente nelle università giapponesi più importanti, dove gli
scienziati insegnavano o eseguivano le ricerche in patria. Certo, non
veniva detto in che modo erano eseguiti gli esperimenti, ma ci
sarebbe voluta ben poca fantasia per capire su chi, sul come e sulla
volontarietà delle cavie.
Sono brevemente descritte le tranquille carriere professionali di
numerosi ufficiali e medici occupati nelle varie unità di Ishii. Tra
i tanti mi ha colpito la figura di Tsuneyoshi Takeda, che
arrivò ad essere il Presidente del Comitato Olimpico Giapponese,
organizzando sia Tokyo 1964 che Sapporo 1972...
Anche l'ultimo capitolo è veramente interessante per capire le
dinamiche tra Cina e Giappone, dal dopo guerra fino ai giorni nostri.
Infatti i crimini giapponesi i Cina sono ancor oggi motivo di
tensione tra le due nazioni.
Oltre a ripercorrerei rapporti storici degli anni 30 e 40, viene ben
spiegato perché dal dopo guerra al 1980 il governo cinese non
sollevò mai la questione dei crimini di guerra giapponesi, per poi
utilizzarli dagli anni 80 fino ai giorni nostri come arma di
propagando.
Quando nei primi anni 80, dopo la morte di Mao ed il fallimento della
rivoluzione culturale, il regime cinese stava perdendo legittimità,
riesumò i crimini giapponesi allo scopo di creare un nemico comune.
Dal 1980 iniziò un uso massivo della propaganda contro l'invasore
nipponico, tanto che le nuove generazioni sono quelle più ostili al
Giappone. L'autrice riporta dettagliatamente i mezzi tramite cui si è
instillato il ricordo dei crimini di guerra subiti dai cinesi, libri,
ricerche sul campo, articoli, documentari, programmi televisivi,
videogiochi e, per ultimo, l'uso sistematiche del web, con siti
ufficiali governativi, ma anche blog e forum “liberi”.
Tutta questa propaganda cinese trova regolare riscontro in tre
atteggiamenti che le autorità nipponiche ripetono continuamente:
libri di testo revisionati o censurati, dove si minimizzano i crimini
giapponesi; visite ufficiali o semi ufficiali di governanti
giapponesi al Tempio Yasukuni; mancanza di scuse chiare e sincere,
con assunzione di responsabilità per i crimini commessi, e senza
alcun distinguo da parte di differenti membri del governo in carica.
L'autrice spiega anche il perché i cinesi non considerino le scuse
giapponesi fin qui date come credibili e sincere.
L'ultimo paragrafo indaga come il PCC abbia scatenato nelle nuove
generazioni un fanatismo anti giapponese, fomentato in particolare
dal web, che potrebbe ritorcersi contro gli stessi interessi
economici cinesi.
E' presente una bibliografia molto dettagliata, ma anche un
sitografia potenzialmente utile, peccato che i siti cinesi che ho
provato a visitare non abbiano almeno un minimo di traduzione in
inglese.
L'indice del saggio rende bene quanto sia esauriente.
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