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lunedì 6 novembre 2017

Cina e Giappone, le atrocità giapponesi in terra cinese dal 1937 al 1945 tra passato e futuro



TITOLO: Cina e Giappone, le atrocità giapponesi in terra cinese dal 1937 al 1945 tra passato e futuro
AUTORE:  Fabiana Marchioro
CASA EDITRICE: Enigma Edizioni
PAGINE: 457
COSTO: 18,9 €
ANNO: 2017
FORMATO: 21 cm x 15 cm 
REPERIBILITA': on line 
CODICE ISBN: 9788899303280


Dalle mie letture e da quello che scrivo si questo blog, per quello che possono valere entrambe le cose, si capisce che non ho potuto che apprezzare tantissimo questo saggio di Fabiana Marchioro, sia per il resoconto dettagliato dei crimini giapponesi in Cina, sia per l'analisi sui rapporti sino-giapponesi a causa dei dissensi su come viene trattata la questione storica nelle relative nazioni.
Quindi il presente scritto non si limita a rinvangare il passato, opera indispensabile, viste le carenze di memoria storica in Italia, ma lancia uno sguardo al presente ed al futuro dei rapporti tra Cina e Giappone.
Mi pare importante sottolineare che l'autrice non dimostra di essere una fan della Cina, in quanto spiega bene come il regime comunista abbia sfruttato i crimini di guerra giapponesi solo dagli anni 80 in poi, quando ne aveva bisogno per scopi di coesione interna. Quindi ho scoperto che sono le nuove generazioni cinesi ad essere più ostili verso il Giappone, grazie ad un'opera pianificata di propaganda nazionalista nata nei primi ani 80, che prosegue fino ad oggi grazie al web, e che in più occasioni ha messo in difficoltà lo stesso governo cinese, in quanto è difficile per il PCC stroncare i giovani “patrioti” senza correre il rischio di essere accusati di scarso patriottismo!
Ovviamente questo carico d'odio dei cinesi, strumentalizzato dal regime comunista(?), nasce dall'incapacità giapponese di fare i conti con il passato. Le continue revisioni e censure dei libri storici, le visite ufficiali o semi ufficiali al Tempio Yasukuni, il non riuscire a fare delle scuse ufficiali chiare e scritte, verso cui nessun personaggio pubblico esprima dei distinguo, non fa altro che fomentare la propaganda cinese.
Forse basterebbe un atto di grande coraggio dell'imperatore Akihito, figlio del criminale imperatore Hirohito, che facesse esso stesso le scuse alle nazioni asiatiche invase dal Giappone imperiale (mia opinione).
Il saggio è diviso in quattro capitoli, che sono preceduti da una lunghissima (46 pagine!) prefazione scritta da Federico Divino. Questa prefazione fiume ha un senso, perché riepiloga la storia del Giappone dalla caduta del Bakufu alla fine della seconda guerra mondiale. Giocoforza la prefazione riassume molto alcuni passaggi storici, altrimenti sarebbe stata di 200 pagine, l'unica pecca che vi ho trovato sono i numerosissimi refusi di stampa, che toccano anche alcune date storiche. I refusi li si trova anche nel saggio, ma molto più di rado.
Altra questione che proprio non mi è piaciuta è ciò che Federico Divino scrive a a pagine 9:
… ( Takeo Doi è universalmente noto per aver trattato il fenomeno degli otaku e degli hikikomori, malattie sociali del tutto giapponesi).

Tralasciando che, almeno in Italia, l'unico saggio di Takeo Doi è "Anatomia della dipendenza, un’interpretazione del comportamento sociale dei giapponesi", e non mi pare tratti né il fenomeno hikikomori e neppure gli otaku, ma non ho capito da quando gli “otaku” siano diventati una malattia sociale... vabbè...
Torno al saggio per illustrarne sommariamente il contenuto, che consiglio vivamente di leggere, visto anche il prezzo più che onesto.
Nel primo capitolo ci si concentra sulla “guerra di resistenza contro il Giappone”, o “seconda guerra sino-giapponese”, in base da quale parte ci si ponga, che durò dal 7 luglio 1937 al 15 agosto 1945. Viene dato conto degli sviluppi più importanti della guerra sul campo, che portò alla morte di 35 milioni di cinesi (in sette anni).
Con il loro comportamento efferato i giapponesi riuscirono a cambiare il punto di vista cinese sui soldati, culturalmente, infatti, questi non erano visti positivamente dalla popolazione. Fare il soldato non era l'attività a cui doveva aspirare il vero uomo cinese, ma grazie ai giapponesi, i soldati cinesi divennero degli eroi.
In Cina l'esercito giapponese attuava una strategia ben chiarita da Lord Russel (link libro):
Obbiettivo dei giapponesi era di condurre la guerra con una barbarie tale da spezzare la volontà di combattere e di difendere le proprie case e il proprio paese.”.

L'esercito imperiale attuava sistematicamente i “Tre-Tutto”: saccheggiare tutto; uccidere tutti; bruciare tutto.

Oltre a dar conto di come l'esercito terrorizzasse i cinesi, si cerca di spiegare cosa scattò nel soldato giapponese, come fu possibile che tanti soldati commisero contemporaneamente tanti crimini. Tra le varie spiegazione ce ne è una che avevo letto anche in altri saggi, cioè che il soldato nipponico, che aveva imparato a disprezzare i cinesi dalla propaganda militare, era abituato alla violenza fin dall'arruolamento da parte dei proprio commilitoni e superiori. Quindi si limitava ad applicare gli stessi metodi con chi non considerava neppure umano... infine, se la propria vita poteva essere sacrificata senza problemi per l'Imperatore, che valore poteva avere la vita di un cinese?
Si passa quindi a narrare delle tre atrocità principali di cui si macchiarono i giapponesi in Cina: il massacro di Nanchino; le comfort woman, le fabbriche della morte (Unita 731 più altri 18).
Il tema delle fabbriche della morte sarà ancor di più analizzato nei successivi due capitoli. Tra le tantissime informazioni presenti, e che neppure io conoscevo, c'è quella che gli “scienziati” che servirono nelle varie “unità” percepissero uno stipendio ben più alto di quello dei docenti in patria.
In tutto si stima che, nei 19 laboratori in territorio cinese, in tutto l'arco di tempo dalla costruzione del primo (1932), si alternarono circa 10 mila giapponesi!
Nessuno di questo venne mai condannato o imputato dalle autorità occidentali, in quanto gli usa fecero un patto con il Giappone per uno scambio tra impunità e dati scientifici dei medici della morte. Ovviamente non si doveva neppure sapere del ruolo di Hirohito nella costituzione delle Unità del colonnello Ishii. Gli Usa graziarono i torturatori di più di mille loro connazionali...
Il secondo capitolo si concentra magistralmente sulle “fabbriche della morte”, ovvero le famigerate “unità”, tra cui la 731. Per prima cosa viene spiegato il triste motivo per cui gli Usa dopo la guerra insabbiarono le atrocità commesse dagli scienziati giapponesi. Segue un interessante riepilogo dei casi in cui, invece, i crimini perpetrati nelle fabbriche della morte vennero parzialmente alla luce, ma velocemente censurati fino alla fine della guerra fredda. L'autrice divide questa ricerca sulle fonti (film, libri, articoli, documentari, ricerche sul campo etc etc) per nazione, Cina, Giappone ed infine gli Usa.
Ogni aspetto della questione è trattato esaurientemente, e mi è parso in maniera più che imparziale, senza criminalizzare nessuna delle nazioni prese in esame.
Il capitolo si conclude con il paragrafo dedicato all'unico processo (con condanne) svolto dai sovietici contro i criminali giapponesi della fabbriche della morte, quello di Khabarovsk nel dicembre 1949, tacciato dagli Usa di essere mera propaganda comunista.
Il terzo capitolo è il più atroce, in quanto si entra nel dettaglio dei singoli protagonisti di quegli orrori “scientifici”, con l'aggiunta della rabbia di sapere che nessuno di loro non solo non pagò mai per i crimini commessi, ma vissero in Giappone vite tranquille e piene di riconoscimenti professionali.
Riguardo al colonnello Ishii viene spiegato come il suo “Dipartimento per la purificazione delle acque”, che era il nome ufficiale delle varie “unità” per la guerra chimica, batteriologica e gli esperimenti sugli esseri umani, fu istituito grazie ad un decreto dell'Imperatore Hirohito il primo agosto 1936. Grazie al pacifista Hirohito, il colonnello Ishii, che “operava” in Cina fin dal 1932, ora aveva tutti i fondi necessari ed il personale che gli era mancato.
Oltre ad informarci sulla “carriera” dei singoli responsabili, l'autrice ha scelto di illustrare la storia delle singole unità, iniziando con la prima, l'unità Togo, costruita nel 1932 ad Harbin.
Un paragrafo si occupa degli esperimenti eseguiti sugli esseri umani, uno sulla guerra chimica e batteriologica che i giapponesi scatenarono contro i cinesi. Quest'ultimo fatto è ben poco conosciuto in Occidente... specialmente che la guerra batteriologica giapponesi in Cina uccise circa 580 mila persone, per lo più civili.
La più conosciuta Unita 731, non era solo un luogo di morte, ma la residenza dei giapponesi e famiglie, quindi dotata di tutti i comfort...



A pagina 233 si può leggere che nell'unità 731 erano ospitati anche studenti sulla “quindicina”, immagino si tratti dell'età, il che rende il tutto assolutamente peggio di un film dell'orrore...
Alcuni contestano che Hirohito conoscesse quello che veniva fatto realmente dal colonnello Ishii, l'autrice affronta la questione nelle pagine 233 e 234, ed è difficile continuare a considerarlo sempre quello che non sapeva.
Sugli esseri umani venivano svolte tre tipologie di sperimentazioni: esercitazioni per i chirurghi dell'esercito; esperimenti sul campo con armi biologiche; ricerche sugli esseri umani.
Le ricerche sugli esseri umani si dividevano in quattro gruppi:
studi sulle malattie; sviluppo di vaccini; esperimenti curiosi; sviluppo di armi chimiche e biologiche.
Da considerare che i dati di questi studi venivano commentati regolarmente nelle università giapponesi più importanti, dove gli scienziati insegnavano o eseguivano le ricerche in patria. Certo, non veniva detto in che modo erano eseguiti gli esperimenti, ma ci sarebbe voluta ben poca fantasia per capire su chi, sul come e sulla volontarietà delle cavie.
Sono brevemente descritte le tranquille carriere professionali di numerosi ufficiali e medici occupati nelle varie unità di Ishii. Tra i tanti mi ha colpito la figura di Tsuneyoshi Takeda, che arrivò ad essere il Presidente del Comitato Olimpico Giapponese, organizzando sia Tokyo 1964 che Sapporo 1972...
Anche l'ultimo capitolo è veramente interessante per capire le dinamiche tra Cina e Giappone, dal dopo guerra fino ai giorni nostri. Infatti i crimini giapponesi i Cina sono ancor oggi motivo di tensione tra le due nazioni.
Oltre a ripercorrerei rapporti storici degli anni 30 e 40, viene ben spiegato perché dal dopo guerra al 1980 il governo cinese non sollevò mai la questione dei crimini di guerra giapponesi, per poi utilizzarli dagli anni 80 fino ai giorni nostri come arma di propagando.
Quando nei primi anni 80, dopo la morte di Mao ed il fallimento della rivoluzione culturale, il regime cinese stava perdendo legittimità, riesumò i crimini giapponesi allo scopo di creare un nemico comune. Dal 1980 iniziò un uso massivo della propaganda contro l'invasore nipponico, tanto che le nuove generazioni sono quelle più ostili al Giappone. L'autrice riporta dettagliatamente i mezzi tramite cui si è instillato il ricordo dei crimini di guerra subiti dai cinesi, libri, ricerche sul campo, articoli, documentari, programmi televisivi, videogiochi e, per ultimo, l'uso sistematiche del web, con siti ufficiali governativi, ma anche blog e forum “liberi”.
Tutta questa propaganda cinese trova regolare riscontro in tre atteggiamenti che le autorità nipponiche ripetono continuamente: libri di testo revisionati o censurati, dove si minimizzano i crimini giapponesi; visite ufficiali o semi ufficiali di governanti giapponesi al Tempio Yasukuni; mancanza di scuse chiare e sincere, con assunzione di responsabilità per i crimini commessi, e senza alcun distinguo da parte di differenti membri del governo in carica.
L'autrice spiega anche il perché i cinesi non considerino le scuse giapponesi fin qui date come credibili e sincere.
L'ultimo paragrafo indaga come il PCC abbia scatenato nelle nuove generazioni un fanatismo anti giapponese, fomentato in particolare dal web, che potrebbe ritorcersi contro gli stessi interessi economici cinesi.
E' presente una bibliografia molto dettagliata, ma anche un sitografia potenzialmente utile, peccato che i siti cinesi che ho provato a visitare non abbiano almeno un minimo di traduzione in inglese.

L'indice del saggio rende bene quanto sia esauriente.







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