TITOLO: Hikikomori: un fenomeno di autoreclusione giovanile
CASA EDITRICE: Carocci Editori
PAGINE: 106
COSTO: 12 €
ANNO: 2017
FORMATO: 21 cm x 13 cm
REPERIBILITA': ancora reperibile a Milano
CODICE ISBN: 9788843089291
Gli
ultimi saggi sugli hikikomori soffrono, a mio avviso, di alcuni punti
deboli. Il primo, e forse più importante, è quello che si rifanno
tutti a libri già pubblicati (anche questo), pare che nessuno
studioso/a italico/a abbia più avuto la possibilità, dopo Carla
Ricci (iper citata anche in questo saggio), di recarsi in Giappone
per informaci di quale sia la situazione in Giappone OGGI. Non la
situazione all'epoca dei primi scritti di Carla Ricci (2008), che è
stata la prima saggista in Italia a farci scoprire il fenomeno
hikikomori, ma cosa stia succedendo in Giappone nel 2017. Il bello (o
il brutto) è che le ultime pubblicazioni sugli hikikomori citano
altri saggi sugli hikikomori che citato i primi scritti di Carla
Ricci, ma solo i primi libri di questa studiosa nascevano da analisi
sul suolo nipponico, gli altri successivi sono solo “teorici”.
Quindi si sta accumulando una saggistica, che si auto cita a cascata,
di “esperti” che non si sono mai recati nel luogo di origine del
fenomeno hikikomori. Tra l'altro anche gli ultimi due saggi di Carla
Ricci non sono altro che riproposizioni di quello che aveva scritto
nei primi due. Parrebbe che il fenomeno hikikomori in Giappone, per
gli studiosi italiani (e quindi per i lettori), si sia
cristallizzato al 2008 e 2009...
Ergo,
per concludere il mio deliro argomentativo, sono ormai parecchi anni
che non esce un saggio che ci informi della situazione reale
giapponese degli hikikomori nel 2017.
Quando
verrà pubblicato qualcosa di attuale sugli hikikomori giapponesi?
L'altro
punto debole di questi ultimi saggi è che, dopo aver illustrato la
situazione giapponese (non attuale!!!), si esamina quella italiana,
volendo raffrontarla a quella nipponica.
Se
ciò può aver avuto un senso nei primi saggi, con lo scopo di far
venire alla luce eventuali similitudini tra Italia e Giappone, ne ha
sempre meno nel momento in cui si mettono a confronto situazioni
attuali italiane con situazioni nipponiche risalenti al 2008/2009...
Infine,
sempre a mio avviso, la società giapponese, la scuola giapponese, la
famiglia giapponese e anche il mondo del lavoro giapponese, sono
esageratamente troppo differenti dai corrispettivi italiani. Che
senso ha, dunque, continuare con i confronti?
Premetto
che questo libro di Karin Bagnato è scritto bene,
comprensibilissimo, forse un po' troppo breve, visto che pretende di
analizzare sia la situazione (vecchia) in Giappone che quella
italiana.
Sono
citati molti saggi in inglese, a dimostrazione che l'autrice si è
documentata molto.
Mi ha
sorpreso un po' leggere nel titolo che il fenomeno di autoreclusione
chiamato “hikikomori” sarebbe “giovanile”. In realtà, in
Giappone, ci sono anche persone che hanno superato i 40 anni che ne
continuano a soffrire, oppure che vi entrano per la prima volta.
Saranno forse delle eccezioni, ma non è che a 30 e passa anni ci si
può considerare “giovanili”...
Il
saggio è diviso in tre parti, nella prima si analizza la situazione
(al 2008/2009) giapponese, facendo riferimento esclusivamente ad
altri saggi, ergo l'autrice non ha svolto una ricerca sul campo.
Nella seconda parte si analizza la situazione italiana, mantenendo la
medesima impostazione della parte inerente il Giappone. La terza ed
ultima parte contiene una serie di proposte per prevenire ed
intervenire sulla situazione degli hikikomori italiani.
Personalmente
a me interessa la situazione in Giappone, quindi la prima parte del
saggio.
Ad
inizio del primo capitolo si riporta che il fenomeno hikikomori
risale agli anni 70. Rispetto ad altri saggi che lo pongono negli
anni 80 e 90, trovo già incoraggiante che si inizi a retrodatare la
nascita della sindrome di autoreclusione, ma da un articolo da me
casualmente scovato su “La Stampa”, le prime avvisaglie sarebbero risalenti agli anni 60!
Questo
articolo è importante perché vorrebbe dire che non si potrebbe più
dare la colpa a manga, anime, videogiochi e web del fenomeno
hikikomori, ma solo ed esclusivamente alla società giapponese.
Tra
l'altro l'autrice, senza conoscere questo articolo su “La
Stampa”, non considera manga, anime, videogiochi e web la causa
dell'hikikomori, a differenza di altri saggisti. In particolare la
dipendenza da internet non viene considerata la causa di hikikomori,
ma un modo di occupare il tempo da chi ha già scelto di autorecludersi.
Esclusi
manga, anime, videogiochi e web come causa di hikikomori, e alcuni di
questi non vengono mai neppure citati, l'autrice si concentra in
maniera chiara e convincente su altri fattori nipponici:
la
società; la famiglia; la scuola.
Conclude
con i fattori inerenti la situazione emotiva della persona.
Manca,
a mio avviso, l'aspetto inerente il mondo del lavoro giapponese,
visto che anche in quell'ambito, sia a causa delle tante ore
lavorate, che del “bullismo lavorativo” (mobbing tra colleghi),
oppure della perdita del posto di lavoro, alcune persone non più
giovani si ritirano in hikikomori.
La
seconda parte analizza la situazione italiana, mettendola a confronto
con quella nipponica, con le riserve che ho sollevato sopra.
Si
afferma che “attualmente” in Italia ci sono 30 mila hikikomori,
ma non capito la fonte di questo dato, a quando risale?
Nel
paragrafo in cui si parla della scuola italiana, quindi raffrontata a
quella nipponica, non viene fatta notare una grandissima differenza
normativa tra i due sistemi:
l'obbligo scolastico che vige in Italia fino alla media inferiore.
l'obbligo scolastico che vige in Italia fino alla media inferiore.
In
Giappone anche i ragazzini possono abbandonare la scuola, senza che
le autorità scolastiche se ne facciano carico, perché non essite l'obbligo scolalstico. In Italia, proprio in
virtù dell'obbligo alla frequentazione, è impossibile che un 13enne
lasci la scuola senza che ci sia un intervento d'ufficio di varie
autorità, dalla scuola stessa, ai servizi sociali, fino alla
polizia. Forse è anche per questo motivo che in Italia la fascia di
età degli hikikomori è dalla scuola superiore in poi, non prima.E quando ci sono casi di ragazzini delle mmedia inferiore, vengono chiamate in causa tutte le autorità del caso per comprenderne i motivi.
Per
concludere posso dire che il saggio è scritto bene, ben documentato,
ma l'autrice non ha svolto una ricerca diretta in Giappone, inoltre
sovente sono citati saggi datati. Quindi, a chi non conoscesse il
fenomeno hikikomori, consiglio la lettura di questo saggio. A chi ha
già letto altri saggi sull'argomento, non consiglio la lettura di
questo titolo, perché nulla aggiunge a quello che già è stato
scritto, in particolare sul versante nipponico.
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