TITOLO: Yakuza, un'altra mafia
AUTORE: Giorgio Arduini
CASA EDITRICE: Luni
Editrice
PAGINE: 670
COSTO: 28€
ANNO: 2016
FORMATO: 21 cm x 14 cm
REPERIBILITA': ancora
disponibile a Milano
CODICE ISBN: 9788879844765Questo saggio è più unico che raro, in quanto il tema della yakuza non è praticamente mai trattato in testi in italiano, nessun libro, inoltre, è tanto attuale come questo. Vecchie pubblicazioni, che non sono riuscito mai a recuperare, arrivano a trattare fino agli anni 70/80, mentre questo libro giunge ai nostri giorni. Infine è dettagliatissimo, tratta sia il punto di vista storico, partendo dal 1100, che i lato sociologico, ma si sofferma molto anche sulle mere questioni di cronaca giudiziaria. Quanto sia dettagliato lo scritto è dimostrato dal numero di note presenti, ben 2552, per un totale di 174 pagine contenenti solo note.
Ecco,
una delle due critiche che mi sento di muovere al libro riguarda
proprio le note, che non sono poste a fondo pagina, ma alla fine del
capitolo, cosa che impone un continuo avanti ed indietro, di cui alla
fine ci si stanca, non andando più a consultarle. Più comodo per il
lettore sarebbe stato porle a fondo pagina, visto il loro numero
mostruosamente alto. L'altra unica critica riguarda l'assenza di un
pur minimo dizionario dei termini giapponesi. La prima volta tutti i
termini riguardanti la yakuza o la società giapponese sono ben
spiegati, solo che un saggio di 670 pagine non si legge in poco
tempo, e magari si ritrova un termine 100 pagine dopo oppure un
settimana dopo averlo letto. “Bosozoku”, “boryokudan”,
“oyabun”, “kobun, “yobitsune” sono tutti termini che più o
meno un lettore di materiale sul Giappone ha già sentito, ma tanti
altri termini che l'autore spiega mi erano sconosciuti. Aggiungere
una decina di pagine con le parole giapponesi più usate nel libro
non credo che avrebbe aumentato di molto il costo del libro, ma lo
avrebbe reso di certo più facile da leggere. Sia chiaro, la sua
lettura non è per nulla difficoltosa, l'autore scrive in maniera
comprensibilissima, il mini dizionario sarebbe stata una buona idea,
la ciliegina su una torta già squisita.
Mi
fermo qui con le uniche due critiche che mi son sentito di muovere,
perché per il resto il saggio di Giorgio Arduini è
interessantissimo.
Già
dall'introduzione, che funge da primo capitolo, ho capito che questo
era proprio il libro sulla yakuza che avrei voluto leggere da sempre,
infatti l'autore riepiloga i film, telefilm, anime e manga che
trattano della yakuza. Quindi si potranno leggere titoli e personaggi
che un po' tutti conosciamo.
Il
secondo capitolo inizia con un breve riassunto storico che parte fin
dal 1100, per arrivare al 1600, in epoca Tokugawa, da cui ricomincia
la ricostruzione storica delle origini della yakuza. Infatti i membri
di oggi della yakuza si beano d'essere i difensori dei più deboli,
come lo erano i briganti del XVII secolo, i “kyokaku” (“persona
cavalleresca”). Per spiegarne la figura storica l'autore racconta
le storie di due kyokaku: Ude no Kisaburo e Banzuin Chobe.
La
pax Tokugawa generò masse di ronin che vagabondavano per il paese,
alcuni di loro si riunivano in bande chiamate “kabukimono”
(“persone folli”). A questi si unirono gli “hatamoto yakko”,
samurai scontenti dal trattamento avuto dai daimyo Takugawa. Tutti
questi gruppi sfidavano il nuovo potere costituito imperversando
sulla popolazione inerme. A difesa dei cittadini, i “chonin”,
cioè i nuovi ricchi mercanti, si schierarono i “machi yakko”
(“servitori/difensori della città”). Gli yakuza si ritengono i
discendenti dei “machi yakko”, che difendevano i mercanti
disprezzati dai Tokugawa. In realtà la yakuza deriva da due gruppi
di malviventi dell'era Tokugawa: i “tekiya”, venditori ambulanti
che vivevano di piccole truffe; i “bakuto”, gruppi di giocatori
d'azzardo.
L'autore
spiega dettagliatamente il ruolo ed il significato del nome di questi
due gruppi. Tra le tante informazioni e curiosità c'è, ovviamente,
anche quella sull'origine del nome yakuza.
Riassumendo
un po' la spiegazione originale:
yakuza
deriva dal gergo bakuto riguardante il gioco di carte “oicho kabu”,
una specie di black jack, dove il massimo del punteggio è 19. Le
carte distribuite sono tre, se queste sono un 8-9-3 (ya-ku-san) si
ottiene una combinazione inutile e perdente, “senza valore”.
Infatti gli yakuza si considerano “senza valore” rispetto al
cittadino comune, in quanto è grazie a loro che essi sopravvivono.
In
questa prima introduzione al mondo formale della yakuza l'autore
descrive altri aspetti:
i
tatuaggi; il “mon” (blasone); il rapporto superiore/padre
(oyabun)-inferiore/figlio (kobun); il jiri e ninjo tra gli yakuza; il
“kao” (prestigio) in relazione con il “jingi” (umiltà); le
sanzioni interne alla yakuza.
Riguardo
ai tatuaggi si può leggere tutta la storia del loro essere
considerati negativi o positivi. Negativi in quanto in più periodi
della storia del Giappone marchiavano a vita un delinquente. Tra le
tante informazioni interessanti è ben spiegato il legame tra i
tatuaggi, i pompieri del periodo Edo ed il mondo della criminalità
Il
jingi nasce tra gli artigiani ai tempi dei daimyo. Lo scopo era
quello di regolare i rapporti tra artigiani che si incontravano per
la prima volta, quindi queste regole di “umiltà” (jingi)
evitavano che si creassero dissidi e gelosie. Solo la yakuza ha
mantenuto questi protocolli di saluti reciproci.
Sono
riportati i rituali jingi tra capi yakuza quando questi si
incontrano.
Riguardo
le sanzioni interne alla yakuza il capo clan (oyabun) ha la
possibilità si punire il sottoposto (kobun) tramite varie gradi di
severità. Dalle semplici scuse, alla rasatura del capo, le punizioni
corporali, l'espulsione o la morte, oppure la punizione che tutti
conosciamo: lo “yobitsume” (taglio/accorciamento del dito).
L'autore
spiega la storia di questa pratica, comprese la due discordanti
origini, la prima che la fa risalire ai biscazzieri, la seconda alle
prostitute.
Nel
caso in cui uno yakuza venga semplicemente espulso dal proprio clan
(magari momentaneamente) esiste un format della lettera di
allontanamento, che si chiama “hamon jo” (“lettera di
scomunica”), ed anche una lettera “di ripresa della relazione”,
la “fukuen jo”.
L'atto
che suggella la fratellanza tra due yakuza si chiama “sakazuki
shiki” (“la cerimonia delle tazze di sake”), ha anche lo scopo
di sancire una alleanza o serve come cerimonia per l'ingresso di
nuovi membri.
L'ultimo
paragrafo spiega come in epoca Tokugawa le ingiustizie subite dai
fuori casta (eta e hinin) li spinsero a far parte, a vario titolo,
della nascente yakuza. Durante questa esauriente trattazione viene
spiegata (da pagina 108 a pagina 115) l'origine storica degli eta,
risalente già all'epoca Yamato, e poi modificatasi (in peggio) in
epoca Nara. Sui burakumin l'autore tornerà nel quarto capitolo,
quello più a carattere sociologico.
Il
terzo capitolo è prettamente storico, e consta di 210 pagine,
partendo dall'era Tokugawa, per arrivare fino ai giorni nostri.
Ovviamente si passa da una narrazione storica, il passato remoto e
recente del Giappone, ad una cronaca giudiziaria, dagli anni 50 ad
oggi, in cui gli scandali di corruzione politica e gli scandali
finanziari si susseguono uno all'altro.
Per
il capitolo sono utilizzati i dati della polizia giapponese, che è
usa fare sondaggi ed interviste (tutti in forma anonima) all'interno
delle file degli yakuza, inoltre vengono utilizzati gli elenchi
ufficiali coi membri delle varie bande, consegnati direttamente dai
vari clan alla polizia. Questa cosa mi ha sempre sbalordito, non
riuscendo ad immaginare un atteggiamento simile dalle varie mafie
italiane.
La
yakuza in quanto tale nasce in epoca Takugawa, nel periodo finale, in
cui alcuni daimyo iniziano a ribellarsi allo shogunato e a perorare
il ritorno dell'imperatore al comando della nazione. E' in questo
contesto che alcuni oyabun, tra cui Yamamoto Chogoro (chiamato anche
Shimizu no Jiroro) si schiera con la fazione pro Tenno, ottenendo, al
momento della restaurazione Meiji, parecchi benefici.
L'autore
ben evidenzia i rapporti tra yakuza e nazionalisti, estremisti di
destra e militaristi, nati dall'inizio dell'era Meiji, che portarono
la yakuza a fare affari d'oro nei futuri possedimenti coloniali. Fu
nel 1881 che si instaurarono i primi rapporti stabili tra
nazionalisti e yakuza, con la nascita della “Genyosha” (“Società
dell'oceano tenebroso”), la prima di una serie di associazioni
segrete, che permise anche la collaborazione della yakuza con entità
statali, come accadrà con la famigerata Kenpei Tai.
La
Genyosha era diretta da Toyama Mitsuro, che utilizzò la yakuza sia
per lo spionaggio (interno ed estero) che per la battaglia politica,
sfruttando i metodi violenti dei malavitosi per conquistare voti con
l'intimidazione, e si era solo nel 1892. La yakuza serviva anche per
tenere a bada le rivendicazioni di contadini ed operai, come successe
in Sicilia con la mafia.
La
yakuza e le organizzazioni reazionarie (spesso segrete), legate ai
partiti nazionalistici, avevano numerosi punti di contatto
ideologici, che l'autore elenca dettagliatamente (pagina 160).
Viene
spiegato quanto e come la yakuza partecipò all'espansione coloniale,
specialmente in Cina, dove partecipavano ad ogni affare economico,
lecito o meno che fosse.
Durante
la guerra ci fu un momentaneo indebolimento del rapporto tra yakuza e
potere costituito, in quanto lo Stato pretendeva che la fedeltà
fosse solo verso il Tenno, e non anche per il proprio oyabun.
Terminata
la guerra la yakuza riuscì a risollevarsi grazie al mercato nero e
al mercato della prostituzione indotto dalla presenza americana, gli
occupanti statunitensi non si resero subito ben conto di quanto essa
stesse tornando potente.
Da
questo punto in poi è ripercorsa la storia del Giappone moderno,
ovviamente dal punto di vista degli affari della yakuza, compresi
quelli con esponenti politici ed economici. Quindi si potranno
leggere sia fatti di semplice cronaca legati a scontri tra diversi
clan, che scandali di corruzione politica ed economica dagli anni 50
fino ai giorni nostri. La lettura di tutto questo malaffare farà
spesso tornare in mente la situazione italiana, perché, a mio
avviso, le similitudini sono molte.
La
pratica della “sokaiya” (“uomini delle assemblee”) nasce fra
gli anni 60 e 70, le vittime sono addirittura le grandi conglomerate,
le “keiretsu”. Questi sokaiya si recavano (pratica ancora
esistente) alle assemblee degli azionisti, in qualità di azionisti,
per ricattare i suoi membri. Gli yakuza, preventivamente, avevano
fatto indagini sulla società sotto tiro, una volta scoperto qualche
scandalo minacciavano di rivelarlo durante l'assemblea degli
azionisti. Per il loro silenzio la società per azioni pagava al clan
una sostanziosa donazione. Quindi non si parla solo di ricatti a
piccoli negozianti, che non avevano i mezzi per opporsi, ma di
ricatti verso enormi keiretsu con decine di avvocati al loro
servizio, senza contare i rapporti con uomini politici. Ma tutti, o
quasi, pagavano per non avere fastidi, questa era la prassi fino a
qualche anno fa.
Nel
passare degli anni e dei decenni cambia il panorama economico del
Giappone, cambiano le leggi che cercano di contrastare la yakuza, e
cambiano le strategie della yakuza per mantenersi economicamente.
Tutto questo modificarsi degli eventi è ben presentato dall'autore,
che ci mostra tramite singoli casi specifici, il modificarsi della
scena politico/mafiosa.
Benché
io non mi addentrerò a nominarle, l'autore entra nello specifico dei
vari clan, nomi, numero di aderenti, zone di influenza, guerre tra i
clan etc etc, tutto il classico armamentario riguardante la presa ed
il mantenimento del potere mafioso.
Nonostante
fosse già di mia conoscenza il fatto, mi ha lo stesso sorpreso
leggere che la polizia e la magistratura sappia i nomi degli
appartenenti ai vari clan, con tanto di liste ufficiali emesse dalle
stesse bande, che hanno addirittura uffici pubblici e fanno
conferenze stampa. I politici possono essere amici dei boss, cercano
di evitare che ciò sia di dominio pubblico, ma tendenzialmente si
giustificano dicendo che non erano al corrente che tal dei tali fosse
un oyabun.
Come
già accennato sopra la polizia usa lo strumento dell'intervista
anonima o del sondaggio, trovo incredibile che lo yakuza risponda, e
le risposte siano utilizzate allo scopo di comprendere il fenomeno
yakuza e cercare di combatterlo.
Largo
spazio è dedicato alla legge anti yakuza del 1992 e successive
modifiche avvenute negli anni successivi. Questa legge, chiamata
“Botaiho”, evidenzia come il legislatore pare non si ponesse
l'obbiettivo di eliminare la yakuza, ma di darle solo una calmata, in
quanto negli anni precedenti le violenze erano aumentate, con
relative critiche della popolazione verso polizia e politici.
Per
esempio la Botaiho non contempla la confisca dei beni illeciti
guadagnati dalla banda, senza menzionare l'assurda formula matematica
che serve a valutare se un clan sia diventato troppo grosso, e quindi
troppo pericoloso.
Le
varie bande esposero pubblicamente il loro dissenso verso questo
progetto legislativo, e tramite i loro avvocati fecero ricorso per
presunta incostituzionalità della legge.
Tra
le cose che ho appreso da questo libro c'è il fatto che anche la
yakuza uccida poliziotti o personaggi importanti, ero convinto che
non si azzardassero a mosse temerarie come queste, differenziandosi
dalle mafie italiane. Certo, non fanno esplodere tratti delle
autostrade, palazzi o monumenti, non uccidono i politici che li
tradiscono o li osteggiano con la facilità delle nostre mafie, ma
anche in Giappone, occasionalmente, poliziotti e politici sono stati
uccisi.
Solitamente
i poliziotti vengono uccisi quasi casualmente, in scontri tra bande,
mentre qualche politico o uomo d'affari viene punito per un
tradimento. Nella primavera del 2007 venne ucciso il sindaco di
Nagasaki, ma viene spiegato che il movente non fu politico, ma
assolutamente banale, quasi incredibilmente banale: il sindaco
rifiutò ad un boss l'indennizzo per un presunto incidente d'auto...
Detto
ciò, mi pare che, per quanto i cittadini giapponesi siano
lecitamente preoccupati del fenomeno yakuza, questo sia sotto il
controllo dello Stato giapponese, che gli lascia un certo spazio di
manovra, in modo da tenere monitorate le varie bande.
Per
esempio, per i nostri canoni “mafiosi”, fa fin sorridere che
l'autore quantifichi come “poderoso” un sequestro d'armi
(avvenuto nel gennaio 2003) costituito da ben 20 armi da fuoco (tra
cui alcuni fucili) e ben 540 proiettili!
Probabilmente
da noi quelle sono le armi sequestrate a 2 o 3 malavitosi da quattro
soldi...
Nel
lungo e minuzioso riepilogo dei crimini della yakuza, sono menzionati
anche quelli per accaparrarsi i fondi della ricostruzione dopo il
triplice disastro ambientale del marzo 2011. Tra le notizie che
fecero scandalo anche quella dei lavoratori “assunti” per mettere
in sicurezza la centrale di Fukushima, che in alcuni casi furono
assoldati dalla yakuza. La cosa terribile è che questa pratica
esisteva da prima dell'incidente, e le varie Tepco accettavano quella
manovalanza a basso costo procurata dalla yakuza.
Alla
fine del capitolo storico c'è un paragrafo che riporta le teorie
complottistiche in cui si pensa sia coinvolta la yakuza, una di
queste teorie la affianca alla setta Aum Shinrikyo (LINK), da
leggere.
L'ultimo
capitolo è quello più di carattere sociologico, in cui l'autore si
addentra in tematiche molto attuali, inerenti sia la struttura e le
dinamiche sociali interne alla yakuza, che il suo rapporto con la
società giapponese.
Il
primo paragrafo entra nel dettaglio dell'organizzazione interna e
dell'organigramma della yakuza moderna. Tema in parte già trattato
nel secondo capitolo, ma qui si specificano i ruoli di ogni figura
del clan. Sono spiegate le tipologie di organigramma (ordine
gerarchico piramidale; sistema a tronco piramidale), che variano in
base alle esigenze e alle dimensioni delle bande. L'autore illustra
la “mansione” di ogni figura intermedia, e per ogni termine
giapponese è presente una traduzione e una breve spiegazione del
contesto in cui opera e delle dinamiche con gli altri membri della
banda.
Tra
le tante figure dei clan che l'autore ci presenta non manca quella
tanto cara ad anime, maga e film live, il “teppodama” (“palla
di fucile” o “proiettile”), chiamato più modernamente
“hittoman”, cioè il sicario della yakuza, che si occupa anche
della difesa del suo oyabun.
Ancor
più dettagliato, se possibile, il paragrafo dedicato
all'arruolamento di nuovi adepti, che tratta l'argomento da vari
punti di vista. Essendo i giovani a divenire nuovi membri, questo
fatto dimostrerebbe la sconfitta della società giapponese, che non
riesce a tenere nella legalità parte delle nuove generazioni. Quindi
mi ha sorpreso, ma nel contempo convinto della sua sensatezza, la
considerazione che la yakuza e la polizia abbiano uno scopo comune
nell'arruolamento dei giovani sbandati in una banda criminale locale:
impedire la nascita di criminali indipendenti.
La
yakuza evita la concorrenza, la polizia può controllare meglio i
singoli delinquenti, se questi sono inquadrati in una organizzazione
ben conosciuta e con un capo a cui fare riferimento.
Essendo
il degrado sociale a spingere un giovane ad entrare nella yakuza,
l'autore illustra da quali aree sociali provengono le nuove reclute.
In questo contesto si sofferma molto sui burakumin (anche
storicamente), e su quanto le discriminazioni subite li abbiano
incentivati ad entrare nelle organizzazioni malavitose. Altro punto
debole della società nipponica è la scuola, con il suo elevato
livello di stress da esami, la concorrenza sfrenata per essere
ammessi alle scuole più importanti, ed il bullismo. Fattori che
tutti assieme sono causa dell'abbandono scolastico, che è sfruttato
dalla yakuza.
Largo
spazio è dato all'approfondimento sulle bande di motociclisti, le
“bosozoku”.
Un
paragrafo è dedicato anche all'aspetto femminile della delinquenza
giapponese, dalle bande di ragazze minorenni, alle mogli degli
yakuza, con il loro ruolo di supporto e collaborazione all'attività
delinquenziale.
Molto
approfondito il paragrafo dedicato a come lo yakuza si presenta e
viene presentato dai media, compreso quanto sia cambiato lo stile di
uno yakuza. Non ci si sofferma solo sull'abbigliamento ed il
comportamento di un “vero yakuza”, ma anche sugli “strumenti di
lavoro” tipici e la rappresentazione veicolata dai media. Ho
scoperto che esistono addirittura delle riviste sulla vita della
bande yakuza, chiamate “jitsuwashi”, che hanno dato vita un
filone giornalistico specifico, il “gokudo janalisumo”. Pare che
queste riviste siano consultate sia dalla polizia, in cerca di
qualche informazione, sia dagli stessi aderenti alle bande, per
monitorare se il prestigio del proprio clan sia stato messo in
dubbio.
Molto
corposa è la ricostruzione critico-cinematografica sui film “yakuza
eiga”, che parte dagli anni 20 ed arriva fino ai nostri giorni.
Il
saggio si conclude con il paragrafo inerente i vari campi di
interesse della yakuza:
traffico
e spaccio di droga; mercato del sesso; gioco d'azzardo e scommesse;
illegali; contrabbando di armi; taglieggio delle aziende; mondo dello
spettacolo ed intrattenimento; furti e rapine.
L'indice del saggio.
Ciao, sono l'autore. Grazie per la recensione. Sono d'accordo con la Tua critica riguardo le note a piè di pagina, ma l'impaginazione sarebbe stata impossibile (ci sarebbero state intere pagine di note a piè di pagina: un nonsenso); proporrò un vocabolario per l'eventuale seconda edizione. Come posso contattarti in pvt? Qui sul tuo blog non ho trovato la tua mail. Grazie. Ciao. Giorgio
RispondiEliminaCiao.
EliminaPer quanto possa sembrare poco "social" preferisco non mettere miei contatti qui sul blog :]
E poi, sinceramente, quando ho aperto il blog, non pensavo che qualcuno mi avrebbe voluto contattare ^_^
Se tu hai una mail pubblica a cui posso scrivere, ti contatto io ;)
Per evitare di lasciare sul web mail personali ti invito alla presentazione del libro che farò sabato 29 ottobre a Torino alle ore 17 c/o CBT Academy (a 10 minuti dalla stazione di Porta Nuova) nell'ambito del Festival della Criminologia, così avremo occasione di conoscerci. A fine gennaio, probabilmente, sarò a Milano.
EliminaNon mettiamo le mail per il medesimo motivo ;)
EliminaTi ringrazio per l'invito, sei molto gentile ^_^ ma il 29 ottobre sarò a Lucca.
Quando saprai la data esatta della tua presenza qui a Milano, scrivimela qui, se potrò ci sarò di sicuro ;)
Bene. Ti terrò aggiornato. Ciao.
RispondiElimina