TITOLO: Yakuza, il Giappone criminale
AUTORE: Massimiliano Aceti
CASA EDITRICE:
PAGINE: 217
COSTO: 20€
ANNO: 2014
FORMATO: 23 cm x 15 cm
REPERIBILITA': Reperbile sul web
CODICE ISBN: 9788891075086
Per anni ho cercato saggi sulla yakuza, e di colpo me ne sono ritrovati due in un sei mesi. In realtà questo libro è antecedente di un paio di anni rispetto a quello di Gioorgio Arduini, ma purtroppo per nulla pubblicizzato, essendo stato pubblicato in autonomia dall'autore. In pratica questo è stato il primo libro incentrato sulla yakuza pubblicato in Italia.
Non tragga in inganno la differenza di pagine tra il saggio di
Arduini e questo di Aceti, ovviamente il primo è enormemente più
dettagliato (basti pensare al numero delle note!), ma questo non è
per nulla superficiale. Considerando che “Yakuza, il Giappone
criminale” consta di un terzo delle pagine di “Yakuza, un'altra
mafia”, la si può valutare una lettura meno impegnativa (nel senso
che necessita di meno tempo), ma non banale.
L'unica nota negativa del saggio, oltre al fatto che è restato
praticamente sconosciuto, sono le tabelle, la cui grafica risulta in
alcuni casi eccessivamente piccola, rendendo quasi impossibile
leggere talune cifre. Per altro i dati sono sempre ufficiali e di
matrice nipponica.
Sul versante delle note di merito, invece, oltre al fatto che il
libro è scritto bene ed è interessante, l'autore ha pensato bene di
inserire un utilissimo ed indispensabile glossario dei termini
giapponesi inerenti la yakuza, che permette di andarsi a rileggere
cosa significhi una parola senza doverla imparare a memoria.
Piccolo particolare poco usuale è che, all'inizio del libro, lo stesso
autore scrive una singola asciuttissima pagina con la spiegazione dei
capitoli, che mi permetto di riportare, prima di partire con le mie
elucubrazioni.
Il primo capitolo l'ho trovato veramente interessante, anche utile. In quanto fa ben comprendere quali siano le dinamiche tra uno Stato e la sua mafia, e quali siano i “servizi” che l'organizzazione malavitosa elargisce (e genera) ai suoi “clienti” (volontari o meno che siano). Dato che, purtroppo, noi italiani siamo uno dei popoli del pianeta più esperto in materia di mafie, il capitolo fornisce una chiave di lettura interessante per valutare le differenze tra la nostra criminalità organizzata e la yakuza.
Nel secondo capitolo viene proposta la storia della yakuza dall'epoca
Tokugawa alla fine della seconda guerra mondiale, compresa la
nascente commistione tra estremismo di destra nazionalista e boss
della yakuza, con relativa partecipazione ai proventi della guerra.
Il terzo capitolo racconta come i neo vincitori americani
affrontarono la yakuza, che li vide, involontariamente o meno,
delegare a loro il controllo del territorio, e utilizzarla in ottica
lotta interna anti comunista.
Il quarto e quinto capitolo affrontano il periodo temporale che va
dagli anni 50 agli anni 80, che vide la yakuza mutare notevolmente e
più volte, spinta prima dal boom della ricostruzione e del conflitto
coreano, e poi dal boom della speculazione finanziaria ed
immobiliare.
Con il sesto capitolo si arriva all'attualità, con dati ufficiali
fino al 2012. Viene spiegata la struttura e l'organizzazione delle
bande yakuza, come sono strutturati gli organigrammi interni. Per
ogni termine giapponese viene illustrato il ruolo all'interno
dell'organizzazione. Si passa alle regole della yakuza, le punizioni
verso chi disubbidisce, le cerimonie etc etc
Si cerca di capire anche quali siano le motivazioni dei nuovi adepti
che li spingono ad aderire alla yakuza, in un'epoca in cui i giovani
sono meno inclini alle privazioni, rispetto all'inizio del 900 o al
dopoguerra. Sostanzialmente una delle motivazioni è il riscatto
sociale, specialmente per chi fa parte di gruppi sociali
discriminati, come i burakumin o gli immigrati coreani e cinesi.
Quando leggo qualcosa sulla yakuza, mi fa sempre una enorme
impressione che siano riportati dati che sono il risultato di
interviste dirette e di sondaggi ai membri della yakuza. Uno
strumento conoscitivo che per un italiano è assolutamente
inconcepibile se immaginato per le nostre mafie...
“Shinoghi” è il titolo del settimo capitolo, e “shinoghi”
sono tutte le attività economiche da cui i membri della yakuza
ricavano denaro. La scan dell'indice rende bene la varietà degli
introiti illegali, a cui vanno sommati quelli legali, anch'essi
elencati dall'autore.
Agli inizi degli anni 90 entra in vigore una nuova legge che cerca di
combattere la nuova yakuza con strumenti legislativi più moderni, ed
è l'argomento dell'ottavo capitolo.
Questa legge si chiama “Boryokudan taisaku ho”, abbreviata
“Botaiho”. L'autore ne illustra le direttive chiave, le
motivazione che l'hanno fatta nascere, i successi e le lacune,
comparandole con le legislazioni antimafia europee e statunitensi.
La cosa che mi sorprende sempre leggendo qualcosa sulla Botaiho è
che, a differenza di Europa ed usa, non ha nessuna valenza penale, ma
solo amministrativa!
Altro che 416 bis...
Alla fine la Botaiho, molto pragmaticamente, ebbe lo scopo, magari
non dichiarato, di controllare la yakuza, non di eliminarla, come
forse ci illudiamo noi italiani di fare con le mafie...
Per i giapponesi è meglio avere a che fare con un boss yakuza ben
conosciuto (visto che in Giappone non è un reato far parte della
yakuza), con una organizzazioni che ha una sede pubblica, con tanto
di iscritti, piuttosto che dover combattere una microcriminalità
diffusa ed anonima o contro la mafia cinese, coreana oppure russa.
Nell'ultimo capitolo si evidenziano le similitudini e le differenze
tra “cosa nostra” e la yamaguchi-gumi, di gran lunga la banda
yakuza più grande del Giappone.
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