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lunedì 20 febbraio 2017

Yakuza, il Giappone criminale




TITOLO: Yakuza, il Giappone criminale
AUTORE: Massimiliano Aceti
CASA EDITRICE:
PAGINE: 217
COSTO: 20€
ANNO: 2014
FORMATO: 23 cm x 15 cm 
REPERIBILITA': Reperbile sul web
CODICE ISBN: 9788891075086


Per anni ho cercato saggi sulla yakuza, e di colpo me ne sono ritrovati due in un sei mesi. In realtà questo libro è antecedente di un paio di anni rispetto a quello di Gioorgio Arduini, ma purtroppo per nulla pubblicizzato, essendo stato pubblicato in autonomia dall'autore. In pratica questo è stato il primo libro incentrato sulla yakuza pubblicato in Italia.
Non tragga in inganno la differenza di pagine tra il saggio di Arduini e questo di Aceti, ovviamente il primo è enormemente più dettagliato (basti pensare al numero delle note!), ma questo non è per nulla superficiale. Considerando che “Yakuza, il Giappone criminale” consta di un terzo delle pagine di “Yakuza, un'altra mafia”, la si può valutare una lettura meno impegnativa (nel senso che necessita di meno tempo), ma non banale.
L'unica nota negativa del saggio, oltre al fatto che è restato praticamente sconosciuto, sono le tabelle, la cui grafica risulta in alcuni casi eccessivamente piccola, rendendo quasi impossibile leggere talune cifre. Per altro i dati sono sempre ufficiali e di matrice nipponica.
Sul versante delle note di merito, invece, oltre al fatto che il libro è scritto bene ed è interessante, l'autore ha pensato bene di inserire un utilissimo ed indispensabile glossario dei termini giapponesi inerenti la yakuza, che permette di andarsi a rileggere cosa significhi una parola senza doverla imparare a memoria.
Piccolo particolare poco usuale è che, all'inizio del libro, lo stesso autore scrive una singola asciuttissima pagina con la spiegazione dei capitoli, che mi permetto di riportare, prima di partire con le mie elucubrazioni.


Il primo capitolo l'ho trovato veramente interessante, anche utile. In quanto fa ben comprendere quali siano le dinamiche tra uno Stato e la sua mafia, e quali siano i “servizi” che l'organizzazione malavitosa elargisce (e genera) ai suoi “clienti” (volontari o meno che siano). Dato che, purtroppo, noi italiani siamo uno dei popoli del pianeta più esperto in materia di mafie, il capitolo fornisce una chiave di lettura interessante per valutare le differenze tra la nostra criminalità organizzata e la yakuza.
Nel secondo capitolo viene proposta la storia della yakuza dall'epoca Tokugawa alla fine della seconda guerra mondiale, compresa la nascente commistione tra estremismo di destra nazionalista e boss della yakuza, con relativa partecipazione ai proventi della guerra.
Il terzo capitolo racconta come i neo vincitori americani affrontarono la yakuza, che li vide, involontariamente o meno, delegare a loro il controllo del territorio, e utilizzarla in ottica lotta interna anti comunista.
Il quarto e quinto capitolo affrontano il periodo temporale che va dagli anni 50 agli anni 80, che vide la yakuza mutare notevolmente e più volte, spinta prima dal boom della ricostruzione e del conflitto coreano, e poi dal boom della speculazione finanziaria ed immobiliare.
Con il sesto capitolo si arriva all'attualità, con dati ufficiali fino al 2012. Viene spiegata la struttura e l'organizzazione delle bande yakuza, come sono strutturati gli organigrammi interni. Per ogni termine giapponese viene illustrato il ruolo all'interno dell'organizzazione. Si passa alle regole della yakuza, le punizioni verso chi disubbidisce, le cerimonie etc etc
Si cerca di capire anche quali siano le motivazioni dei nuovi adepti che li spingono ad aderire alla yakuza, in un'epoca in cui i giovani sono meno inclini alle privazioni, rispetto all'inizio del 900 o al dopoguerra. Sostanzialmente una delle motivazioni è il riscatto sociale, specialmente per chi fa parte di gruppi sociali discriminati, come i burakumin o gli immigrati coreani e cinesi.
Quando leggo qualcosa sulla yakuza, mi fa sempre una enorme impressione che siano riportati dati che sono il risultato di interviste dirette e di sondaggi ai membri della yakuza. Uno strumento conoscitivo che per un italiano è assolutamente inconcepibile se immaginato per le nostre mafie...
“Shinoghi” è il titolo del settimo capitolo, e “shinoghi” sono tutte le attività economiche da cui i membri della yakuza ricavano denaro. La scan dell'indice rende bene la varietà degli introiti illegali, a cui vanno sommati quelli legali, anch'essi elencati dall'autore.



Agli inizi degli anni 90 entra in vigore una nuova legge che cerca di combattere la nuova yakuza con strumenti legislativi più moderni, ed è l'argomento dell'ottavo capitolo.
Questa legge si chiama “Boryokudan taisaku ho”, abbreviata “Botaiho”. L'autore ne illustra le direttive chiave, le motivazione che l'hanno fatta nascere, i successi e le lacune, comparandole con le legislazioni antimafia europee e statunitensi.
La cosa che mi sorprende sempre leggendo qualcosa sulla Botaiho è che, a differenza di Europa ed usa, non ha nessuna valenza penale, ma solo amministrativa!
Altro che 416 bis...
Alla fine la Botaiho, molto pragmaticamente, ebbe lo scopo, magari non dichiarato, di controllare la yakuza, non di eliminarla, come forse ci illudiamo noi italiani di fare con le mafie...
Per i giapponesi è meglio avere a che fare con un boss yakuza ben conosciuto (visto che in Giappone non è un reato far parte della yakuza), con una organizzazioni che ha una sede pubblica, con tanto di iscritti, piuttosto che dover combattere una microcriminalità diffusa ed anonima o contro la mafia cinese, coreana oppure russa.
Nell'ultimo capitolo si evidenziano le similitudini e le differenze tra “cosa nostra” e la yamaguchi-gumi, di gran lunga la banda yakuza più grande del Giappone.







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