TITOLO: L'esercito Imperiale Giapponese, ascesa e caduta 1853-1945
AUTORE: Edward J. Drea
CASA EDITRICE: LEG Edizioni
PAGINE: 412
COSTO: 24 €
ANNO: 2022
FORMATO: 23 cm x 16 cm
REPERIBILITA': disponibile nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788861027398
PAGINE: 412
COSTO: 24 €
ANNO: 2022
FORMATO: 23 cm x 16 cm
REPERIBILITA': disponibile nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788861027398
Quando ho comprato questo saggio ero un po' timoroso che lo sviluppo dell'argomento potesse risultare noioso, invece la lettura è proseguita spedita.
Tutto il libro si esprime sul versante militare, quindi illustrando tattiche, strategie e componenti delle tante battaglie illustrate. L'autore spiega bene l'evoluzione dell'esercito imperiale dal 1853, anno della sua costituzione moderna, fino alla fine della Guerra del Pacifico nel 1945.
In particolare viene spiegato come venne artificiosamente fatto nascere e si evolse il rapporto tra esercito e imperatore. Chi costituì il primo esercito imperiale si rese conto che per poter espandere il proprio potere in autonomia non bisognava sottostare al potere politico dei civili, per far questo fece in modo che l'esercito rispondesse solo all'Imperatore.
Inoltre questo fattore aumentava il potere degli ordini in tutta la scala gerarchica, dato che il comando impartito dall'ultimo sottoufficiale al soldato semplice proveniva in prima essenza dal Dio vivente che sedeva sul trono imperiale.
L'effetto deleterio di tutto ciò si manifestò in tutto il suo dramma negli anni 30 e 40 del 900, ma nasce nel 1853.
Chiaramente l'esercito imperiale post shogunato Tokugawa non è lo stesso di quello del 1945, ma grazie allo scritto si può capire come quella mentalità fanatica venne creata e si evolse.
Il titolo è un buon tassello anche per comprendere i crimini di guerra giapponese, su cui l'autore non si sofferma troppo, ma che illustra sempre e con numeri.
Fa eccezione la trattazione dell'Unità 731, che è citata brevemente solo nel capitolo di epilogo.
Per chi è interessato al periodo storico dell'imperialismo nipponico questo saggio è una lettura obbligata.
Piccole critiche:
le note a piè di pagina sono pressoché illeggibili (per me), carattere troppo leggero e troppo piccolo;
sono presenti un certo numero di refusi, addirittura degli errori storici corretti dall'editore con note aggiuntive in parentesi quadra;
l'indice non contempla i titoli dei paragrafi, che avrebbero aiutato molto la comprensione del contenuto, cercherò di supplire alla mancanza descrivendo per sommi capi il contento dei capitoli.
Capitolo 1
Si parte dalla fine dello shogunato Tokugawa, causata dall'arrivo degli Occidentali, fino alla prima vittoria dei lealisti imperiali del giovane imperatore Meiji contro lo shogunato durante la guerra civile Boshin nel 1868
Capitolo 2
Oltre a descrivere l'evolversi della guerra civile Boshin, l'autore spiega come si cercò di organizzare il primo esercito imperiale. I lealisti imperiali enfatizzavano l'essere l'esercito dell'imperatore allo scopo di ottenere l'appoggio del popolo, legittimare la propria causa ed infine identificare i soldati dello Shogun come traditori.
Da annotare che quando venne creato l'antesignano del santuario Yasukuni, dove venivano sepolti i soldati caduti per l'Imperatore, vennero esclusi i caduti dello shogunato.
Sia il primo che il secondo capitolo si soffermano sulla figura di Omura Masujiro, colui che organizzò il primo esercito imperiale, stesso discorso per il suo successore, Yamagata Aritomo. Vengono illustrare le azioni che i due misero in campo per rafforzare il potere imperiale, ma anche il proprio.
E' del 1873 la legge sulla coscrizione, che ebbe lo scopo di creare un legame tra l'esercito popolare, non più formato da una élite di samurai, e l'Imperatore.
Capitolo 3
Si affronta il problema dei samurai nel neonato governo imperiale, che esisteva grazie ai samurai dei feudi di Satsuma e Choshu. Per creare uno Stato moderno si dovevano eliminare i privilegi dei samurai, ma nel contempo era necessario trasferire il loro spirito guerriero in un esercito formato da contadini.
Ovviamente l'aver messo in disarmo i samurai generò delle rivolte, che sono tutte illustrate:
4 febbraio 1874 prefettura di Saga ad opera di Eto Shimpei;
marzo 1876 rivolta Jimpuren;
marzo 1876 rivota capeggiata da Maebara Issei ad Hagi;
inizio 1877 guerra sudoccidentale o rivolta di Satsuma ad opera di Saigo Takamori.
Nonostante le vittorie imperiali contro i rivoltosi ci si rese conto che i soldati vinsero per il numero maggiore e per l'armamento più avanzato, mancava in loro lo spirito guerriero dei samurai. Era quindi necessario un forte indottrinamento della leva per trasformare contadini (ed inseguito cittadini) i samurai. Per far ciò si trasformò l'esercito in una prosecuzione materiale dell'Imperatore.
Capitolo 4
Un problema riscontrato nel primo esercito imperiale, per quanto incredibile possa sembrare, fu l'insubordinazione della truppa e degli ufficiali. Yamagata Aritomo inculcò a tutto l'esercito che obbedire a un ordine non significava obbedire al proprio superiore diretto, ma direttamente all'Imperatore. Yamagata voleva anche impedire ai civili di manipolare l'esercito, quindi lo pose sotto il comando diretto dell'Imperatore, ergo al di sopra del governo civile, e così restò fino al 1945.
L'autore illustra tutte le riforme atte ad arrivare a questi obiettivi.
Un modo per legare l'esercito alla figura dell'Imperatore fu quella di creare un luogo di culto e commemorazione per i caduti di guerra. Nel giugno del 1879 il già esistente "shokansha" venne ribattezzato santuario Yasukuni.
Siamo nel 2022 e questo orpello del fanatismo esiste ancora, ed ancor peggio ci sono politici che continuano a sfruttarlo...
Il concetto di "shokansha" fu quindi antecedente al santuario Yasukuni, e venne istituito nel giugno 1869 da Omura Masujiro.
Nel gennaio 1882 Yamagata redasse il rescritto imperiale sull'esercito, è da qui che nasce la spinta a sacrificare la vita per l'Imperatore, prima solo per i soldati, in seguito tutti i sudditi.
Tra le tante informazioni interessanti viene anche spiegato come l'esercito imperiale divenne quello degli anni 30 e 40, in cui agli ordini non si disobbediva, per quanto assurdi fossero. Negli anni 80 dell'800 nelle caserme presero piede le punizioni corporali non ufficiali. I soldati vennero abituati ad essere trattati brutalmente, quindi si comportavano brutalmente con chi era loro sottoposto, come civili assoggettati o prigionieri di guerra.
Capitolo 5
Il fulcro del capitolo è la prima guerra sino-giapponese del 1894/1895, a cui l'autore giunge spiegando dettagliatamente come erano stati riformati esercito e marina.
Tra le tante informazioni si legge che già in questa guerra la logistica non era considerata dai vertici militari, cosa che di norma comportava che i soldati razziassero i villaggi conquistati per approvvigionarsi, fatto che generava ulteriori crimini verso gli occupati.
La prima traccia di crimini di guerra compiuti dall'esercito imperiale la si ha nella vittoria di Port Arthur, le cause le si possono leggere chiaramente nella pagina sopra e sotto.
I motivi elencati dall'autore sono i medesimi che porteranno i militari giapponesi a commetterli di nuovo negli anni 30 e 40 del 900.
Nel capitolo si analizza anche il trattato di Shimonoseki del 1895, con il conseguente intervento Occidentale per ridurre le conquiste del Giappone.
Capitolo 6
Viene illustrata la rivolta dei Boxer e come la sua repressione mise le base all'alleanza anglo-nipponica.
E' annotato che durante l'intervento contro i rivoltosi cinesi alle truppe imperiali nipponiche fu imposto di rispettare i soldati e i civili cinesi. Lo scopo dell'alto comando era fare bella figura con gli Occidentali.
Vengono spiegati i preparativi, i dissidi tra esercito e marina, l'attacco e l'evolversi della guerra russo-giapponese del 1904/1905.
Alle pagine 159 e poi 182 si citano "gli attacchi con proiettili umani" creati dalla propaganda nipponica:
Le perdite nipponiche furono ingenti, anche a causa del divieto di ritirarsi, che avrebbe macchiato l'onore dell'esercito.
Anche in questo caso l'esercito nipponico trattò bene i prigionieri russi, sempre per non sfigurare con gli Occidentali.
Capitolo 7
Dopo la vittoria contro la Russia i vertici militari e civili dovevano pianificare come, dove, contro chi e con quali obiettivi sviluppare l'esercito e la marina.
Il capitolo si sofferma su questa tematica in un arco temporale che va dal 1906 al 1915.
Semplificando molto diciamo che l'esercito già propendeva per un attacco verso la Russia con espansione a nord, la marina per un'espansione a sud.
In questo periodo si afferma l'idea che l'attacco frontale con baionetta sia il più congeniale all'esercito nipponico, in quanto il soldato giapponese aveva uno spirito combattivo maggiore rispetto agli altri eserciti. Il tutto, più banalmente, permetteva di risparmiare sull'equipaggiamento, riducendo la modernizzazione.
Per aumentare la disciplina, dati gli ordini che spesso mandavano la truppa alla morte con attacchi frontali suicidi, si istituzionalizzò la punizione corporale in caserma, con aumento dei suicidi.
Il tutto è ben spiegato dalle due pagine qui sopra.
Viene trattato anche il coinvolgimento del Giappone nella prima guerra mondiale, con l'occupazione delle colonie tedesche in Cina.
Ancora una volta i soldati tedeschi prigionieri vennero trattati bene (solo l'1% di morti in prigionia)
Il nuovo modo di portare avanti la guerra nel primo conflitto mondiale modificò i piani strategici del Giappone, era necessario conquistare le risorse della Manciuria cinese.
Il capitolo tratta anche la breve guerra contro i russi i Siberia.
Capitolo 8
Altro capitolo che inquadra come l'esercito ipotizzasse le prossime guerre post primo conflitto mondiale.
Nel 1920/21 c'erano due schieramenti:
i Riformisti volevano un esercito numericamente inferiore e più mobile, con maggiore potenza di fuoco e tecnologicamente avanzato per una guerra di lunga durata che avrebbe coinvolto tutto il sistema produttivo giapponese (generali Tanaka, Giichi, Ugaki);
i Tradizionalisti puntavano su un esercito numericamente maggiore, per sferrare un primo attacco risolutivo, in quanto non consideravano capace il Giappone di reggere economicamente una guerra di lunga durata per mancanza di risorse naturali (maresciallo Uehara).
In pratica i Tradizionalisti puntavano sullo spirito combattivo del soldato giapponese.
A posteriori (mia idea), avevano in parte ragione entrambi, peccato per il Giappone e per i vicini che non lo capirono.
Il capitolo termina a fine anni 20 con la spiegazione dei nuovi manuali di guerra per l'esercito, i cui dettami erano i seguenti:
guerra con scontri frontali, che si sarebbero vinti grazie alla forza spirituale del soldato giapponese;
attacchi di sorpresa;
non arrendersi mai.
Tra gli effetti di questi manuali di guerra ci fu l'incapacità di prendersi cura dei soldati fatti prigionieri, infatti nel 1929 la convenzione di Ginevra non venne ratificata.
Capitolo 9
Il capitolo parte da fine ani 20 e viene trattata l'influenza giapponese in Cina allo scopo di impedire un governo forte che potesse ostacolare le mire coloniali in Manciuria.
Il tutto sempre dal punto di vista strettamente militare:
Sono riepilogati i primi scontri con le truppe di Chiang Kai-Schek;
l'uccisione da parte dei giapponesi del signore della guerra Zhang Zuolin;
le operazioni segrete dell'armata del Kwantung;
i "finti incedenti" ai confini tra i possedimenti giapponesi e la Cina per motivare ulteriori avanzate (18 settembre 1931 a Mudken, 18 gennaio 193 a Shangai).
Forse la parte ancora più interessante, e legata a doppio filo con la situazione in Cina, è quella dei numerosi tentativi di colpo di Stato in Giappone operati dall'esercito, il più importante dei quali fu quello del 26 febbraio 1936. Questa sommossa risulta fondamentale anche perché l'Imperatore Hirohito intervenne personalmente per far cessare la rivolta, a riprova del fatto che non era così "neutro" come affermato dopo la fine della guerra da parte di chi lo voleva sollevare dalle sue responsabilità nei crimini di guerra dell'impero giapponese.
Sono ben descritte le lotte interne all'esercito tra varie fazioni, che ovviamente avevano ripercussioni in tutti i possedimenti nipponici e in patria.
Le più importati erano la "Fazione della Via Imperiale", che ricalcavano le idee dei precedenti "Tradizionalisti", e la "Fazione del Controllo", erede dei "Riformisti" (tra questi c'era Tojo).
Capitolo 10
Capitolo che parte sempre dalla situazione in Cina, dove il 7 luglio 1937 un ulteriore incidente permise all'armata del Kwantung di invadere la Cina settentrionale. Viene trattato come reagirono le autorità civili di Tokyo a questa iniziativa dell'esercito, comprese come si mosse Hirohito in questo frangente.
Seppur troppo brevemente è trattato il massacro di Nanchino, oltre agli scontri più importanti tra truppe nipponiche e cinesi. E' illustrata la battaglia tra giapponesi e sovietici a nord della Corea a luglio del 1938 più quella nella Mongolia esterna del maggio 1939. E' dato conto della conquista delle colonie francesi nel 1940 e dei preparativi contro gli Usa.
Capitolo 11
Ho trovato curioso che il capitolo che riporta la guerra del Pacifico sia solo di 40 pagine, non che sia superficiale, ma visto l'importanza dei fatti accaduti in un arco temporale non breve, mi sarei aspettato un maggiore approfondimento.
Ovviamente si arriva all'8 dicembre 1941, con la dichiarazione di guerra agli Usa. L'obiettivo dell'esercito e della marina era quello di un primo attacco risolutivo, che permettesse all'Impero giapponese di occupare più territori possibili (in particolare quelli ricchi di materie prime) ed obbligare gli Usa ad un trattato di pace. Si confidava, ovviamente, anche sulla vittoria tedesca sulla Gran Bretagna, che avrebbe indebolito la voglia di combattere degli americani.
Sono annotati i movimenti delle truppe impiegate nei vari scenari di guerra, seppur accennati sono citati i crimini di guerra di cui si macchiò l'esercito imperiale contro la popolazione civile dei paesi assoggettati e contro i prigionieri di guerra.
Anche in questa fase di vittorie continue e di espansione territoriale tra l'esercito e la marina continuavano i dissidi, con obiettivi diversi:
la marina voleva estendere il più possibile l'avanzata a sud e distruggere la flotta Usa;
l'esercito voleva trincerarsi nei territori già conquistati in attesa della controffensiva nemica.
La cronaca delle battaglie prosegue man mano fino al ribaltarsi degli equilibri militari, con gli Usa all'attacco e il Giappone sulla difensiva, con la resa finale data dallo sgancio delle due atomiche sul suolo giapponese.
Capitolo 12
L'ultimo capitolo contiene il tentativo dell'esercito di impedire ad Hirohito di dichiarare la resa del Giappone.
Segue un ricapitolare dei temi già trattati, con un piccolo focus sui crimini di guerra nipponici, che ho trovato assai esemplificativo.
Qui sotto ci sono queste tre pagine e poco più.
L'indice del saggio, che purtroppo, come accennavo all'inizio, non contiene i titoli dei tanti paragrafi.
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