TITOLO: Manga Academica vol. 16, rivista di studi sul fumetto e sul cinema di animazione giapponese
AUTORE: Autori vari
CASA EDITRICE: Società Editrice La Torre
PAGINE: 106
COSTO: 16,50 €
ANNO: 2024
FORMATO: 21 cm x 15 cm
REPERIBILITA': online
CASA EDITRICE: Società Editrice La Torre
PAGINE: 106
COSTO: 16,50 €
ANNO: 2024
FORMATO: 21 cm x 15 cm
REPERIBILITA': online
CODICE ISBN: 9788896133729
E' questo l'ultimo numero di "Manga Academica" da minorenne, il 17esimo, dall'anno prossimo potrà votare e fare la patente ^_^
Non è superfluo ribadire l'apprezzamento per una costanza lunga ben 17 anni pieni di analisi serie su anime e manga.
Tra l'altro la collana, nella sua interezza, fa pure una bella figura sulla mia libreria :]
Fatto un complimento, annoto una diminuzione di pagine negli ultimi anni (scorrere i numeri), questo numero consta di 106 pagine, immagino anche per mantenere inalterato il costo.
In questo 17esimo volume sono presenti quattro contributi, la mia recensione ometterà il secondo per non auto-spoilerarmi il finale de "L'attacco dei giganti" e non sarà molto informato sul terzo ed il quarto, in quanto poco conoscitore dei temi e serie trattate >_<
Quindi quest'anno la mia recensione arriva in ritardo rispetto alla pubblicazione del volume (troppo stanco, tendo ad addormentarmi quando leggo) e abbastanza limitata a causa della mia ignoranza.
Il primo contributo è a firma Marco Pellitteri e a dispetto del titolo un po' ostico è comprensibile (tranne una parte della terminologia obbligatoriamente accademica) ed interessante, in quanto tratta una tematica che sovente torna in auge (semplifico): la giapponesità degli anime.
Lo scritto critica il punto di vista degli studiosi accademici del "nord globale" (Usa ed Europa) che considerano gli anime non specificatamente nipponici, per loro sono "anime" tutte le serie con determinate caratteristiche, anche se pensate/create/prodotte non in Giappone. Secondo questi studiosi gli "anime" avrebbero perso la loro connotazione nipponica in quanto son spesso (fin dagli anni 70) prodotti materialmente all'estero per contenerne i costi.
Mi capita non di rado che in vari contesti (lavorativi e non) delle persone più giovani (anche di molto) mi consiglino "anime" (film o serie) che poi scopro essere made in Usa o in Europa. Quando faccio notar loro che quel film o serie, magari pure belli, non sono "anime", in quanto non pensati/creati/prodotti in Giappone da autori nipponici, la loro reazione è spesso di sorpresa. Lo scritto spiega bene il punto di vista, che per quanto conti è pure il mio, che solo una serie/film ideato in Giappone da autori giapponesi può fregiarsi del titolo di "anime".
Mi pare giusti specificare che l'industria giapponese degli anime si oppone a queste teorie de-giapponesizzanti degli anime, secondo cui qualsiasi produzione nel mondo può essere considerato un "anime", e vorrebbero che solo i loro prodotti animati fossero chiamati "anime". E' un po' come la "denominazione d'origine protetta" per i cibi italiani, il parmigiano fatto in Canada, pur con il medesimo processo, non è parmigiano...
E' un peccato che la saggistica in lingua inglese citata da Pellitteri non sarà mai tradotta in italiano, la comprerebbero in pochissimi ed ancor meno la comprenderebbero (probabilmente non io).
Inoltre l'analisi tocca, seppur più brevemente (all'inizio), l'inalterata percezione di giapponesità degli anime nonostante gli adattamenti, le censure, i doppiaggi a caso. Quindi vuol dire che, nonostante i più o meno numerosi stravolgimenti operati in fase di adattamento, gli anime trasmettono un qualcosa che la restante animazione mondiale non rende allo spettatore: degli input grafico-culturali che li rendono unici nel panorama mediatico mondiale e chiaramente "giapponesi".
Come accennavo poco sopra non ho letto il secondo scritto che tratta il finale de "L'attacco dei giganti", in quanto attendo con fiducia che Netflix renda disponibile anche l'ultima stagione in italiano... mi scuso con l'autore.
Si può comunque leggere l'indice a fine post per valutarne il contenuto.
Il terzo contributo analizza le serie "To Your Eternity", "Dororo" e "Monster", io vidi ai tempi qualche episodio dell'ultima (ancora sub ita), ma non ricordo molto, quindi non è che posso più di tanto valutare.
"Cosa significa essere uomo?", questa è la domanda che si pone l'autore in relazione alle tre serie di cui sopra. Per quanto sia ignorante in tema, l'analisi mi è piaciuta, ed almeno la prima serie analizzata mi piacerebbe vederla.
Il quarto ed ultimo contributo analizza la serie anime di Netflix "Vampire in the garden", di cui ho provato a vedere qualche puntata, ma l'ho droppata ^_^
Quindi anche in questo caso non sono tanto adatto a valutare lo scritto, anche se l'analisi non si basa solo sulla trama della serie, ma "sull'esempio di cooperazione letteraria e culturale che essa ospita" (pag. 77).
Il mio tasso di ignoranza nella valutazione dell'analisi è dato, oltre da alcuni termini tecnici a me oscuri, dal fatto che non sapevo neppure (o avevo dimenticato) cosa fosse il filone della "Classe S", infine non sono neppure un fan di storie di vampiri, ergo lascio la parola all'autrice con la sua premessa qui sotto.
L'indice del 17esimo volume di "Manga Academica"
In effetti lo stesso discorso si potrebbe fare per i manga, ormai ci sono autori americani e persino italiani che hanno assimilato (forse anche troppo) certe peculiarità dello stile manga.
RispondiEliminaNon so se il criterio territoriale (fatto in Giappone) sia sufficiente per stabilire se abbiamo un manga DOP.
Pure il vino della California è buono (Colombo docet).
Semplicemente i manga e gli anime dovrebbe indicare un prodotto nipponico, gli altri se li chiamino come vogliono... in Corea del Sud si chiamano manhwa, le altre nazioni si inventino il proprio nome specifico ^_^
EliminaNon metto in dubbio che il vino della California sia buono, ma chiamarlo Chianti penso non sarebbe corretto (non sono un esperto di vini).