Prima di entrare nel dettaglio dell'articolo parto con qualche considerazione varia.
Intanto sulla data dell'articolo, che va un po' oltre a quelle presentate fino ad ora, che di norma si fermano ai primi anni 80, ma altre doti dello scritto mi hanno spinto a sceglierlo.
Per prima c'è la giornalista, Renata Pisu, che in un altro articolo del 1982 sulle autrici di Candy Candy aveva dimostrato una buone dose di astio e disinformazione verso manga, anime ed autori giapponesi, ero curioso di vedere se in 5 anni si era un po' informata o addolcita. Inoltre la Pisu scriveva direttamente dal Giappone (dal 1982 era corrispondente da Tokyo per il quotidiano torinese), quindi poteva andare alla fonte delle notizie, senza prenderle di quarta mano dall'Italia.
Poi mi ha colpito la posizione dell'articolo, in terza pagina, cioè la pagina della cultura, vicino ad un articolo di Guido Ceronetti sul crocifisso e ad un altro di Tristano Bolelli sui dizionari anglo-italiani.
Il giorno di pubblicazione, la domenica, quindi il giorno della settimana in cui si poteva leggere con più calma il quotidiano, in tempi in cui la domenica erano aperti solo i cinema e gli stadi, oltre che le chiese.
Infine la lunghezza dell'articolo, non due colonnine striminzite, ma un articolone assai lungo.
Ovviamente il titolo dell'articolo già aveva fugato ogni dubbio sul tono del contenuto: 5 anni non erano bastati a far passare alla giornalista l'astio verso l'editoria giapponese.
Se il tono scandalizzato dell'articolo decreta una condanna morale dei manga per l'uso "sfrenato" del sesso, senza cui probabilmente non sarebbe mai stato messo in terza pagina(...), le informazioni contenute paiono più decenti rispetto all'articolo su Candy Candy. Però informazioni "più decenti" non vuol dire necessariamente corrette o complete, perché quelle pubblicate paiono lì per dimostrare l'anormalità sociale dei manga e della società giapponese.
Questo articolo fu una occasione persa, la giornalista, stando a Tokyo, avrebbe potuto ben informare il pubblico italiano sul mondo editoriale giapponese, in cui esiste anche lo sfruttamento del sesso, invece no, decise di concentrarsi solo sul versante più pruriginoso, in pieno stile "Studio Aperto".
Mi viene il dubbio che Renata Pisu, che conosce molto di più la Cina del Giappone, detestasse essere un'inviata a Tokyo, e avrebbe preferito Pechino, però non era mica colpa dei manga e del lettore italiano se stava in un luogo che non le piaceva ^_^
Nei fumetti giapponesi esistono una sterminata serie di onomatopee, è questa una colpa? Per la giornalista pare quasi di si... ovviamente il tema dell'articolo, cioè il sesso nei manga, fa capolino subito, fin dalle onomatopee... "blin"... "po"...
Chi nel 1987 lesse questo articolo della Pisu pensò che tutti, e dico tutti, i manga finissero con scene di sesso, anche quelli culinari!
Il sociologo Saeda è l'esperto giapponese che spiega alla Pisu alcuni aspetti del Giappone.
Saeda e poi? Saeda pincopalla? Saeda vattelapesca? Forse Ryo Saeba? ^_^
Un lettore, AndreaP, riferisce che dopo Saeda va aggiunto Yoshiya: Saeda Yoshiya (grazie dell'info).
Autismo = giapponesi.
Altro stereotipo centrato.
Nome del direttore di "Young Jump"? Mistero...
Io ho sul web ho trovato solo un "Weekly Young Jump", una rivista di manga seinen della Shueisha, una rivista non per bambini, ma questo la giornalista non lo specifica.
Chi era il neurofisiologo giapponese che nel 1981 teorizzava che gli ideogrammi predisponessero i giapponesi all'uso del computer? Altro Mistero...
Dopo una breve pausa in cui la giornalista ha comunque dato qualche parziale informazione sui manga al lettore italiano, ecco che ritorna l'immancabile sesso, pure sadomaso :]
Delle tonnellate di manga d'autore che la giornalista poteva citare, magari "Nausicaa della valle del vento" di Miyazaki, cosa va a beccarti?
"The Rapeman"...
"Sarebbe interessante sapere quale percentuale del miliardo e mezzo di fumetti che si vendono ogni anno in Giappone è di questo genere", scrive Renata Pisu.
Si, certo, sarebbe stato proprio interessante saperlo, ma perchè non ce lo dice lei che fa l'inviata da Tokyo per un quotidiano di una certa importanza?
Ah ecco, forse ora ho capito.
Lei era scandalizzata, magari anche a ragione, dal tipo di manga che alcune persone leggevano sulla metro!
Quindi non ha scritto ai giornali giapponesi per protestare, ma ha scritto su un quotidiano italiano!
Non va bene neanche che un uomo adulto si legga in pace uno shojo?! O_o
Avevo letto questo articolo un annetto fa: nonostante la posizione ostile, lo trovo comunque interessante perché scritto in un periodo (la seconda parte degli anni Ottanta) in cui questo argomento era praticamente del tutto ignorato sui media. Un paio di note: "Soeda" è il professor Soeda Yoshiya, che ha scritto un saggio nel 1983 dal titolo "Manga Bunka" (Manga Culture). Credo venga citato anche da Schodt in "Manga! Manga!". "Young Jump" è senz'altro "Weekly Young Jump" della Shueisha, in quegli anni si chiamava così.
RispondiEliminaGrazie delle info, io avevo provato a cercare sul web solo "Saeda", ma era troppo generico come nome.
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