TITOLO: Lady Oscar, l'eroina rivoluzionaria di Riyoko
Ikeda
AUTORE: Valeria Arnaldi
CASA EDITRICE: Ultra
PAGINE: 254
COSTO: 22€
ANNO: 2015
FORMATO: 25 cm X 17 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788867762781
Purtroppo ammetto che nel leggere
questo libro, e nello scrivere questa recensione, i
preconcetti sono stati molti, nati dalla lettura del tremendo
precedente libro di Valeria Arnaldi:
Di nuovo purtroppo,
seppure alcune parti (quelle sul manga) della sua analisi su Lady
Oscar le ho trovate più interessanti di ciò che avevo letto su
Miyazaki, mi resta sempre il dubbio (ed in alcuni casi non c'è
dubbio...) di quali siano le fonti.
Perché ho pagato 22 euro
per leggere alcune informazioni prese da Wikipedia e dal altri siti
web che originariamente sono disponibili gratuitamente?!
L'impostazione di questo
nuovo libro della Arnaldi è il medesimo del precedente:
grandinata di immagini
che riducono a meno della metà il numero di pagine scritte, rispetto
al totale delle pagine disponibili;
bibliografia e webgrafia
assenti;
parti del libro prese dal
web (spesso Wikipedia).
Non che sia vietato usare
le informazioni trovate da altri, ma, oltre a doverle citare,
dovrebbero essere un minimo attendibili. Wikipedia può andare bene
per un controllo superficiale di una informazione, non come fonte
principale.
Ci tornerò molto più
dettagliatamente in seguito, con tanto di scan, ma accenno che il punto più
clamoroso di questo citazionismo non citato è quello della storia della
contessa ungherese Erzsébet Bàthory, preso di sana pianta da
Wikipedia, oppure l'autrice è la stessa che ha scritto la pagine di
Wikipedia.
Torno alla questione
“immagini” nel libro. Fa anche piacere vedere qualche immagine
della propria beniamina, ma qualche, non tonnellate... non è mica un
artbook, sarebbe un libro con pretese saggistiche.
Delle 254 pagine del
libro ben 67 pagine contengono un'immagine a piena pagina, ergo senza
scritto.
Vanno aggiunte ben 30
pagine con uno scritto che varia dalle 3 alle 7 righe.
Non c'è una sola pagine
del libro che contenga solo scritto, nemmeno una...
Non si sarebbero potute
eliminare le immagini, pubblicando un libro di 80 pagine solo scritte,
e ridurre in proporzione il suo costo?
E' chiaro che il libro ha
un target di nostalgici e nostalgiche (sempre nel senso buono del
termine) occasionali, persone che non seguono regolarmente manga ed
anime, e che non comprano saggi su questo argomento. La terminologia
usata è sovente complessa, molto forbita, con ragionamenti anche
complessi, però non capisci su quali basi siano fatte queste teorie.
Cosa ha letto l'autrice per arrivare a queste conclusioni?
Il dubbio è che la casa
editrice abbia trovato un filone editoriale un minimo redditizio,
cioè i vecchi fan dei cartoni animati giapponesi che si riavvicinano
dopo tanti anni ai loro vecchi idoli, e abbia iniziato una nuova
collana wikipediana: "Ultra Shibuya".
Passo ora al contenuto
del libro, che in alcune sue parti mi sarebbe anche piaciuto, stante
la diffidenza sulle fonti: di chi è la farina del libro?
Come si legge dal
sottotitolo largo spazio è dato al ruolo femminista che la Ikeda ha
voluto conferire al personaggio di Lady Oscar. Spesso l'autrice,
riportando dichiarazione della mangaka, sottolinea il ruolo
rivoluzionario che madamigella Oscar ha avuto per le lettrici
giapponesi, forse di meno per le coetanee europee, più affezionate
all'anime. L'aspetto femminista di Lady Oscar ha colpito più le
giapponesi per il ruolo secondario che aveva la donna nella società
giapponese negli anni 70 (e che ha ancora), specialmente nel mondo
del lavoro.
Nel capitolo “I manga”
l'autrice riporta la sinossi dei manga scritti dalla Ikeda con
successiva breve analisi, mi chiedo se li abbia letti tutti o si sia
limitata a basarsi sui riassunti che si possono leggere sul web o su
altri libri dedicati a Lady Oscar (recensiti qui sul blog). Ribadisco
che questo capitolo l'avrei trovato interessante, mi resta il dubbio
delle fonti.
Sempre in questo capitolo
mi pare di aver riscontrato la prima wikipediata (pagina 38), riguarda la
contaminazione radioattiva, seguita dalla morte (23 settembre 1954), di Aikichi Kuboyama, avvenuta
sul peschereccio Daigo Fukuryu Maru.
"Chi
si trovava sul ponte vide un'improvvisa illuminazione all'orizzonte,
a ovest: un lampo di luce bianca-giallastra che divenne poi
arancione. Gli uomini, nello stupore, pensarono di aver assistito a
un Pika-don, lampo–tuono, parola usata in seguito al bombardamento
di Hiroshima, ma essi non ne erano convinti perché mancava la forma
a fungo. Sette minuti dopo l'apparizione del lampo ci fu una violenta
scossa e poi seguirono due detonazioni, poi tornò la calma. Kuboyama
fece un calcolo, fondato sul tempo trascorso tra il momento in cui si
era visto il lampo e l'arrivo dell'onda sonora che aveva scosso la
Daigo Fukuryu Maru e concluse che la loro posizione era a circa
centoquaranta chilometri dal posto in cui si era prodotto il lampo.
Guardando le carte, si vide che a centotrentacinque chilometri di
distanza c'era l'Atollo di Bikini.
Le
lenze furono allora ritirate ma, nel frattempo, nel cielo si era
formata una strana nebbia, quindi una fine pioggia di fiocchi
biancastri, che costringeva i pescatori a stropicciarsi gli occhi, il
naso, la bocca, i capelli. Kuboyama assaggiò un fiocco di questa
cenere, che non aveva alcun sapore né odore; sul ponte era molto
spessa e su di essa restavano le orme dei passi dei marinai. Quando
la caduta dei fiocchi cessò, la Daigo Fukuryu Maru prese la via del
ritorno, i marinai però cominciavano a sentirsi male, avvertendo
prurito, nausea, mancanza d' appetito, debolezza generale, diarrea,
lacrimazioni, caduta di capelli. Un marinaio raccolse un pizzico di
quella polvere bianca in un foglio di carta e la dette a Kuboyama. Il
radiotelegrafista notò il biancore di questa polvere, simile a
quello del corallo di un atollo e la conservò per farla esaminare al
suo ritorno a Yaizu..."