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domenica 23 novembre 2014

Bushido, l'anima del Giappone



TITOLO: Bushido, l'anima del Giappone
AUTORE: Inazo Nitobe
CASA EDITRICE: Luni Editrice
PAGINE: 119
COSTO: 17€
ANNO: 2014
FORMATO: 21 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788879843775

Inazo Nitobe nacque nel 1862, e fu uno dei testimoni della trasformazione del Giappone da feudale ad industriale, riportò questa mutazione sociale della nazione dal suo punto di vista di cristiano giapponese, senza lasciarsi alle spalle la tradizione. Ne è la prova questo scritto del 1899, che fa parte di quella schiera di libri nazional patriottici che rinvigorì (volontariamente o meno) nei giapponesi il senso d'appartenenza ad una “razza” eletta, un popolo diverso dagli altri, migliore degli altri.
In questo libro Inazo Nitobe parte dalla constatazione che, a differenza dell'occidente, nelle scuole non si insegnava la religione, e che quindi l'etica e la morale ad un giapponese veniva impartita dalla famiglia a dalla società sulla base degli insegnamenti di 700 anni di feudalesimo, cioè dal bushido. Il bushido era diventato patrimonio di tutti i giapponesi, il che comportava automaticamente che ogni cittadino nipponico avrebbe dovuto sacrificare la propria vita per l'imperatore, come il samurai la sacrificava per il proprio daimyo. Il potere devastante di questa teoria sociale e politica lo si sarebbe constatato nei decenni successivi, sia in patria, con l'uccisione o l'intimidazione verso chi non concordava con la destra militarista, sia all'estero, con l'occupazione e lo sterminio delle popolazioni conquistate.
Il libro di Inazo Nitobe fu scritto nella prima edizione in inglese (poi ebbe grande successo anche in Giappone), perché era diretto agli occidentali, volendo spiegare loro che la società giapponese non era formata da barbari, e che le consuetudini che agli europei e agli statunitensi parevano spietate nascevano dal bushido, e meritavano rispetto. In tutto il suo libro sono continui i paragoni tra gli insegnamenti del bushido e le filosofie e le religioni occidentali, tanto che è forte l'impressione che Inazo Nitobe si sentisse inferiore agli occidentali. Il risultato finale (un po' comico) è che per l'autore pare quasi che qualsiasi pensiero filosofico o religioso occidentale fosse stato anticipato dal bushido. Nonostante ciò resta il valore storico del libro, sia perché ci racconta le consuetudini sociali di quel Giappone, sia perché questo fu uno dei libri che diede il substrato culturale al nazionalismo giapponese.
L'unica pecca del libro riguarda questa edizione italiana, in cui, visto anche il prezzo, si sarebbe dovuta inserire una pur minima prefazione che illustrasse il periodo storico di quel Giappone, mentre la Luni si è limitata a tradurre il libro ed apporvici il nuovo prezzo.
Riporto direttamente una frase di Inazo Nitobe in cui illustra il senso del suo libro: “Il mio tentativo vorrebbe piuttosto spiegare, in primo luogo, l'origine e le fonti della nostra Cavalleria; in secondo luogo, il suo carattere e il suo insegnamento; tratterò poi della sua influenza sulle masse; e, infine, della continuità e del sussistere della sua influenza.”.


Capitolo 1
Per l'autore la Cavalleria, nata in epoca feudale, continua a regolare la vita sociale di un giapponese, in quanto i suoi precetti morali sono ancora osservati. Viene spiegato al lettore occidentale il significato del termine “bushi-do”, “militare-cavalleria-via”, per poi illustrare il periodo storico in cui si sviluppò.

Capitolo 2
Il pensiero che sta alla base del bushido trae spunto da diverse discipline filosofiche e religiose: dal buddismo zen, che insegnò al samurai il disprezzo della morte e il rassegnarsi al fato; dallo shinto, da cui prelevò il culto divino dell'imperatore, e che fornì alla razza giapponese il senso patriottico e la lealtà; dagli insegnamenti di Confucio, che stilò le cinque relazioni a cui attenersi (padrone/governante e servo/suddito, padre e figlio, marito e moglie, fratelli maggiori e minori e tra amici); infine dagli scritti di Mencio e Wan Yang Ming.

Capitolo 3
La rettitudine e la giustizia sono per il bushido ciò che permise ai 47 ronin di comportarsi da veri samurai. Infatti i 47 ronin sono anche chiamati “47 gishi”, “gishi” significa “uomo di rettitudine”. Collegato alla rettitudine e alla giustizia c'è il concetto giapponese di “gi-ri”(“ragione giusta”), con tutti i suoi obblighi etico-morali verso il prossimo.

Capitolo 4
Per l'autore Il coraggio è correlato al senso di rettitudine e giustizia, per Confucio “avere coscienza di ciò che è giusto e non farlo, denota mancanza di coraggio”, in pratica il coraggio “è fare ciò che è giusto”, e non sacrificare semplicemente la propria vita.

Capitolo 5
Viene spiegato quanta importanza abbia per il bushido la benevolenza verso il prossimo. Fu grazie alla benevolenza se durante il feudalesimo il governo dello shogun non degenerò in militarismo e dispotismo. Inazo Nitobe morì nel 1933, mi chiedo se si rese conto quanta poca “benevolenza” aveva l'impero nipponico verso gli abitanti delle nazioni assoggettate.
Il bushido permise lo svilupparsi di un governo paterno e non dispotico, una fusione tra la democrazia e l'assolutismo. Il suddito di un governo paterno si sottometteva volontariamente, come nel Giappone degli anni 20/40, ma se, invece, chiedo io, non si sottometteva? Se protestava? Ovvie le conseguenze.
Per il samurai la benevolenza era espressa nel termine “bushi no nasake”, “la sensibilità del guerriero”.

Capitolo 6
L'autore spiega l'importanza di tutte le elaborate cerimonie legate alla cortesia e alle buone maniere, mi pare che senta anche il bisogno di giustificarle di fronte al lettore occidentale, che le considerava eccessive e troppo limitanti per i rapporti sociali.

Capitolo 7
Il termine “bushi-no ichi-gon” significa “la parola di un samurai”, e spiega bene quanta importanza il bushido assegnava alla sincerità. Per il resto del capitolo l'autore cerca di smentire, e in qualche caso motivare, l'accusa occidentale ai giapponesi di essere poco sinceri, o di avere una doppia faccia, in quanto non esprimevano mai chiaramente una critica o un dissenso, specialmente nel campo degli affari.

Capitolo 8
Viene spiegata l'importanza dell'onore per un samurai, o meglio del “senso della vergogna”, “ren-chi-shin”, termine più corretto.

Capitolo 9
L'autore cerca di far capire al lettore occidentale che il dovere di lealtà del samurai (e del giapponese) verso il suo signore non era una assurdità tutta nipponica, ma un obbligo morale non eludibile.

Capitolo 10
Un samurai veniva educato e addestrato a sviluppare più di tutto la forza di carattere.

Capitolo 11
Nello spiegare la capacità tutta nipponica di dominare i propri sentimenti, non esternandoli al prossimo, l'autore ammette che ciò potrebbe causare delle ripercussioni di carattere fisico, specialmente nei più giovani. Era una prerogativa del samurai di non mostrare alcun sentimento, né ira né gioia. Per l'autore questo comportamento fu una della cause dello scarso proselitismo del cristianesimo, il giapponese rifiuta una religione che istiga l'esternazione delle emozioni.

Capitolo 12
E' in questo capitolo che Inazo Nitobe deve sforzarsi di più per far capire al lettore occidentale il concetto di suicidio come pena e come atto riparatore, arrivando a far passare l'idea che la letteratura europea lo contempli da tempo.

Capitolo 13
In tre pagine e mezzo viene spiegato il rapporto che il samurai ave va con la propria spada, non solo arma, ma una parte di se stesso. Per il bushido usare la propria spada con leggerezza era una grave colpa, addirittura da codardi. Probabilmente gli ufficiali nipponici che si esercitavano con la katana sui civili cinesi ancora vivi non avevano letto quel capitolo del bushido.

Capitolo 14
Il rapporto del bushido con la donna era semplice, la voleva angelo del focolare e amazzone. Si nota, come in altri capitoli, quanto l'autore sia sulla difensiva, benché ammetta che la donna giapponese sia sottomessa all'uomo, cerca in tutti i modi di spiegare che la donna è contenta di ciò. Dato che una donna non poteva combattere sul campo di battaglia, l'insegnamento marziale aveva due scopi: l'autodifesa e l'educazione marziale dei figli.
Secondo l'autore nel Giappone feudale solo la moglie del samurai era sottomessa al marito, le mogli di commercianti, agricoltori e nobili godevano quasi della parità.

Capitolo 15
In questo capitolo Inazo Nitobe spiega come il bushido dei samurai venne imitato volontariamente nei comportamenti e nella morale dalle altre classi sociali, generando una scala di valori valida per tutta la futura nazione dell'era Meiji.

Capitolo 16
L'autore avverte il lettore occidentale che tutti i loro successi scientifici non riusciranno a far tramontare gli insegnamenti del bushido, e che lo “yamato damashi” (l'anima del Giappone) sopravviverà sempre.

Capitolo 17
Facendo i soliti paragoni con la cavalleria europea Inazo Nitobe si chiede quale nuova forza potrà far sopravvivere il bushido nella nuova era tecnologica. Non la religione, non la filosofia, non la democrazia, ipotizza i militari, ma subito la considera poco fattibile come possibilità, ed invece il bushido divenne la base del militarismo nipponico. Profetico il pensiero secondo cui “uno Stato costruito sulle virtù marziali non potrà mai costruire una civiltà eterna”.
Il libro si conclude con il concetto che se anche il bushido scomparirà, resteranno i suoi insegnamenti etici.







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