TITOLO: Bushido, l'anima del
Giappone
AUTORE: Inazo Nitobe
CASA EDITRICE: Luni Editrice
PAGINE: 119
COSTO: 17€
ANNO: 2014
FORMATO: 21 cm
X 15 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di
Milano
CODICE ISBN: 9788879843775
Inazo
Nitobe nacque nel 1862, e fu uno dei testimoni della trasformazione
del Giappone da feudale ad industriale, riportò questa mutazione
sociale della nazione dal suo punto di vista di cristiano giapponese,
senza lasciarsi alle spalle la tradizione. Ne è la prova questo
scritto del 1899, che fa parte di quella schiera di libri nazional
patriottici che rinvigorì (volontariamente o meno) nei giapponesi il
senso d'appartenenza ad una “razza” eletta, un popolo diverso
dagli altri, migliore degli altri.
In
questo libro Inazo Nitobe parte dalla constatazione che, a differenza
dell'occidente, nelle scuole non si insegnava la religione, e che
quindi l'etica e la morale ad un giapponese veniva impartita dalla
famiglia a dalla società sulla base degli insegnamenti di 700 anni
di feudalesimo, cioè dal bushido. Il bushido era diventato
patrimonio di tutti i giapponesi, il che comportava automaticamente
che ogni cittadino nipponico avrebbe dovuto sacrificare la propria
vita per l'imperatore, come il samurai la sacrificava per il proprio
daimyo. Il potere devastante di questa teoria sociale e politica lo
si sarebbe constatato nei decenni successivi, sia in patria, con
l'uccisione o l'intimidazione verso chi non concordava con la destra
militarista, sia all'estero, con l'occupazione e lo sterminio delle
popolazioni conquistate.
Il
libro di Inazo Nitobe fu scritto nella prima edizione in inglese (poi
ebbe grande successo anche in Giappone), perché era diretto agli
occidentali, volendo spiegare loro che la società giapponese non era
formata da barbari, e che le consuetudini che agli europei e agli
statunitensi parevano spietate nascevano dal bushido, e meritavano
rispetto. In tutto il suo libro sono continui i paragoni tra gli
insegnamenti del bushido e le filosofie e le religioni occidentali,
tanto che è forte l'impressione che Inazo Nitobe si sentisse
inferiore agli occidentali. Il risultato finale (un po' comico) è
che per l'autore pare quasi che qualsiasi pensiero filosofico o
religioso occidentale fosse stato anticipato dal bushido. Nonostante
ciò resta il valore storico del libro, sia perché ci racconta le
consuetudini sociali di quel Giappone, sia perché questo fu uno dei
libri che diede il substrato culturale al nazionalismo giapponese.
L'unica
pecca del libro riguarda questa edizione italiana, in cui, visto
anche il prezzo, si sarebbe dovuta inserire una pur minima prefazione
che illustrasse il periodo storico di quel Giappone, mentre la Luni
si è limitata a tradurre il libro ed apporvici il nuovo prezzo.
Riporto
direttamente una frase di Inazo Nitobe in cui illustra il senso del
suo libro: “Il mio tentativo vorrebbe piuttosto spiegare, in primo
luogo, l'origine e le fonti della nostra Cavalleria; in secondo
luogo, il suo carattere e il suo insegnamento; tratterò poi della
sua influenza sulle masse; e, infine, della continuità e del
sussistere della sua influenza.”.
Capitolo
1
Per
l'autore la Cavalleria, nata in epoca feudale, continua a regolare la
vita sociale di un giapponese, in quanto i suoi precetti morali sono
ancora osservati. Viene spiegato al lettore occidentale il
significato del termine “bushi-do”, “militare-cavalleria-via”,
per poi illustrare il periodo storico in cui si sviluppò.
Capitolo
2
Il
pensiero che sta alla base del bushido trae spunto da diverse
discipline filosofiche e religiose: dal buddismo zen, che insegnò al
samurai il disprezzo della morte e il rassegnarsi al fato; dallo
shinto, da cui prelevò il culto divino dell'imperatore, e che fornì
alla razza giapponese il senso patriottico e la lealtà; dagli
insegnamenti di Confucio, che stilò le cinque relazioni a cui
attenersi (padrone/governante e servo/suddito, padre e figlio, marito
e moglie, fratelli maggiori e minori e tra amici); infine dagli
scritti di Mencio e Wan Yang Ming.
Capitolo
3
La
rettitudine e la giustizia sono per il bushido ciò che permise ai 47 ronin di comportarsi da veri samurai. Infatti i 47 ronin sono anche
chiamati “47 gishi”, “gishi” significa “uomo di
rettitudine”. Collegato alla rettitudine e alla giustizia c'è il
concetto giapponese di “gi-ri”(“ragione giusta”), con tutti i
suoi obblighi etico-morali verso il prossimo.
Capitolo
4
Per
l'autore Il coraggio è correlato al senso di rettitudine e
giustizia, per Confucio “avere coscienza di ciò che è giusto e
non farlo, denota mancanza di coraggio”, in pratica il coraggio “è
fare ciò che è giusto”, e non sacrificare semplicemente la
propria vita.
Capitolo
5
Viene
spiegato quanta importanza abbia per il bushido la benevolenza verso
il prossimo. Fu grazie alla benevolenza se durante il feudalesimo il
governo dello shogun non degenerò in militarismo e dispotismo. Inazo
Nitobe morì nel 1933, mi chiedo se si rese conto quanta poca
“benevolenza” aveva l'impero nipponico verso gli abitanti delle
nazioni assoggettate.
Il
bushido permise lo svilupparsi di un governo paterno e non dispotico,
una fusione tra la democrazia e l'assolutismo. Il suddito di un
governo paterno si sottometteva volontariamente, come nel Giappone
degli anni 20/40, ma se, invece, chiedo io, non si sottometteva? Se
protestava? Ovvie le conseguenze.
Per
il samurai la benevolenza era espressa nel termine “bushi no
nasake”, “la sensibilità del guerriero”.
Capitolo
6
L'autore
spiega l'importanza di tutte le elaborate cerimonie legate alla
cortesia e alle buone maniere, mi pare che senta anche il bisogno di
giustificarle di fronte al lettore occidentale, che le considerava
eccessive e troppo limitanti per i rapporti sociali.
Capitolo
7
Il
termine “bushi-no ichi-gon” significa “la parola di un
samurai”, e spiega bene quanta importanza il bushido assegnava alla
sincerità. Per il resto del capitolo l'autore cerca di smentire, e
in qualche caso motivare, l'accusa occidentale ai giapponesi di
essere poco sinceri, o di avere una doppia faccia, in quanto non
esprimevano mai chiaramente una critica o un dissenso, specialmente
nel campo degli affari.
Capitolo
8
Viene
spiegata l'importanza dell'onore per un samurai, o meglio del “senso
della vergogna”, “ren-chi-shin”, termine più corretto.
Capitolo
9
L'autore
cerca di far capire al lettore occidentale che il dovere di lealtà
del samurai (e del giapponese) verso il suo signore non era una
assurdità tutta nipponica, ma un obbligo morale non eludibile.
Capitolo
10
Un
samurai veniva educato e addestrato a sviluppare più di tutto la
forza di carattere.
Capitolo
11
Nello
spiegare la capacità tutta nipponica di dominare i propri
sentimenti, non esternandoli al prossimo, l'autore ammette che ciò
potrebbe causare delle ripercussioni di carattere fisico,
specialmente nei più giovani. Era una prerogativa del samurai di non
mostrare alcun sentimento, né ira né gioia. Per l'autore questo
comportamento fu una della cause dello scarso proselitismo del
cristianesimo, il giapponese rifiuta una religione che istiga
l'esternazione delle emozioni.
Capitolo
12
E' in
questo capitolo che Inazo Nitobe deve sforzarsi di più per far
capire al lettore occidentale il concetto di suicidio come pena e
come atto riparatore, arrivando a far passare l'idea che la
letteratura europea lo contempli da tempo.
Capitolo
13
In
tre pagine e mezzo viene spiegato il rapporto che il samurai ave va
con la propria spada, non solo arma, ma una parte di se stesso. Per
il bushido usare la propria spada con leggerezza era una grave colpa,
addirittura da codardi. Probabilmente gli ufficiali nipponici che si
esercitavano con la katana sui civili cinesi ancora vivi non avevano
letto quel capitolo del bushido.
Capitolo
14
Il
rapporto del bushido con la donna era semplice, la voleva angelo del
focolare e amazzone. Si nota, come in altri capitoli, quanto l'autore
sia sulla difensiva, benché ammetta che la donna giapponese sia
sottomessa all'uomo, cerca in tutti i modi di spiegare che la donna è
contenta di ciò. Dato che una donna non poteva combattere sul campo
di battaglia, l'insegnamento marziale aveva due scopi: l'autodifesa e
l'educazione marziale dei figli.
Secondo
l'autore nel Giappone feudale solo la moglie del samurai era
sottomessa al marito, le mogli di commercianti, agricoltori e nobili
godevano quasi della parità.
Capitolo
15
In
questo capitolo Inazo Nitobe spiega come il bushido dei samurai venne
imitato volontariamente nei comportamenti e nella morale dalle altre
classi sociali, generando una scala di valori valida per tutta la
futura nazione dell'era Meiji.
Capitolo
16
L'autore
avverte il lettore occidentale che tutti i loro successi scientifici
non riusciranno a far tramontare gli insegnamenti del bushido, e che
lo “yamato damashi” (l'anima del Giappone) sopravviverà sempre.
Capitolo
17
Facendo
i soliti paragoni con la cavalleria europea Inazo Nitobe si chiede
quale nuova forza potrà far sopravvivere il bushido nella nuova era
tecnologica. Non la religione, non la filosofia, non la democrazia,
ipotizza i militari, ma subito la considera poco fattibile come
possibilità, ed invece il bushido divenne la base del militarismo
nipponico. Profetico il pensiero secondo cui “uno Stato costruito
sulle virtù marziali non potrà mai costruire una civiltà eterna”.
Il
libro si conclude con il concetto che se anche il bushido scomparirà,
resteranno i suoi insegnamenti etici.
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