Con le emeroteche chiuse mi devo ingegnare oltremodo, ma non sempre i miei tentativi alla cieca vanno a buon fine...
Ho provato ad accaparrarmi due annate complete della rivista comunista "Calendario del popolo" (fondata del 1945), pensavo che gli anni 1979 e 1980 mi avrebbero permesso di recuperare qualche articolo sui cartoni animati giapponesi, purtroppo ho fatto un buco nell'acqua... nonostante in queste due annate la pubblicazione si sia occupata anche di media popolari, non vi sono scritti sull'animazione giapponese. C'è un solo articolo in cui si accenna en passant agli anime, ovviamente con accezione negativa, ma il soggetto sono i giocattoli. La cosa bella è in quella frase si afferma che nei decenni alcune modalità di gioco non sono cambiate (cioè il gioco alla guerra), ma se veniva fatto nella modalità nipponica televisiva, non andava più bene ^_^
L'autore dell'articolo è Giorgio Bini, che non apprezzava per nulla i cartoni animati giapponesi, e quindi non perse l'occasione per buttare lì un altro giudizio negativo su quei giocattoli "orribili di origine giapponese e televisiva". Dei cinque articoli a firma Giorgio Bini ne ho postati quattro, metto i link per rendere l'idea della sua posizione anti-anime:
"Programmi per bambini e industrie da grandi" (alla fine del post) "L'anno del bambino o di Ufo Robot?" "Candy Candy ha molto cuore" (alla fine del post) "Apocalittici e Integrati: è opportuno censurare Goldrake?", di Giorgio Bini - "LG Argomenti" gennaio/giugno 1981 E Mazinga consultò Ulisse", di Giorgio Bini - l'Unità 10 febbraio 1983
Se la legittima opinione di Giorgio Bini sui cartoni animati giapponesi era tanto negativa, e questi erano in quel periodo un aspetto importante del tempo libero dei bambini, come vedeva il giornalista il tema dei giocattoli in generale? Stante che i giocattoli ispirati agli anime erano tanto "orribili", cosa era educativo e cosa diseducativo nell'attività ludica dei più giovani?
In quasi tutti gli articoli sui giocattoli arriva sempre il punto in cui si discetta se il gioco alla guerra sarebbe stato da bandire. Noi giocavamo alla guerra in una quantità inusitata di modi, dalla guerra simulata con armi giocattolo (annesse strategie di battaglia che avrebbero fatto impallidire il generale Patton), passando per i soldatini Atlantic e gran parte dei giochi in scatola, per terminare coi videogiochi e i giochi ispirati ai cartoni animati giapponesi. Se fossero stati banditi i "giochi di guerra", saremmo rimasti gran parte del tempo a guardare il soffitto... pare che gli adulti non se ne rendessero neppure conto... e comunque nessuno di noi ha intrapreso la carriera del killer di professione, il soldato di ventura o il politico che aizza odio a piene mani...
C'è un aspetto che divide la quasi totalità della generazione di Giorgio Bini, quella che ci rompeva l'anima se guardavamo Goldrake o giocavamo ai videogiochi, e la nostra generazione, quella che ha giocato sia con i soldatini e con Big Jim, ma anche con i videogiochi e i giochi in scatola: la differenza fondamentale è che NOI giochiamo ancora oggi, loro, tranne qualche eccezione, da adulti non giocavano più.
Nell'articolo questo aspetto si nota, Giorgio Bini parla del gioco dei bambini come un aspetto asettico, non lo coinvolge, non che scriva cose sbagliate, ma sono teoria, non pratica.
All'inizio di questa pagina c'è l'accenno negativo ai giocattoli di matrice giapponese e televisiva.
Inserisco la copertina della rivista in cui è presente l'articolo per rendere quali altri argomenti erano trattati.
Nessun commento:
Posta un commento