TITOLO: Attraverso il Giappone
AUTORE: Luciano Magrini
CASA EDITRICE: Edizioni Corbaccio
PAGINE: 207
COSTO: 38€
ANNO: 1925
FORMATO: 23 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN:
Ciò
che mi attira in questi vecchi, o vecchissimi, libri sul Giappone è
il loro valore di testimonianza diretta. Piuttosto che leggere un
saggio storico scritto oggi in cui si racconta del Giappone del 1923
preferisco leggerne uno scritto nel 1923, questo non impedisce,
ovviamente, che chi lo scrisse riportò male alcune questioni. Questo
libro di Luciano Magrini si concentra molto sul grande terremoto del
Kanto, avvenuto il primo settembre 1923, l'autore arrivò in Giappone
poco dopo, e poté testimoniare le distruzione e le condizioni di
vita dei sopravvissuti. E' citata anche la violenza omicida di cui
furono vittima i cittadini coreani, accusati ingiustamente di
appiccare incendi.
Scrivendo
sui forum mi è capitato di scontrarmi con super fan del Giappone con
la tendenza forte al revisionismo storico, quando fai notare che i
libri storici raccontano di un Giappone poco pacifico ti rispondono
che sono libri poco affidabili perché scritti dai vincitori, o
amenità simili. Mentre un libro come questo è difficilmente
contestabile, in realtà lo sarebbero anche i libri storici scritto
oggi, ma quella di Luciano Magrini è una testimonianza quasi
istantanea dei fatti accaduti.
Il
libro consta di 20 capitoli, di cui renderò il contenuto e gli
spunti più interessanti, spesso le parole giapponesi (tipo i nomi
delle città: Tokio, Jokohama etc) sono scritte in maniera difforme
da quella odierna, dove ho potuto le ho riportate nella forma
corretta.
Fra
le rovine e gli orrori del terremoto (Tokyo ottobre 1923)
Sono
riportati numerosi aneddoti sul quel lontano disastro, in particolare
mi ha colpito quello dei 35 mila cittadini di Tokyo rifugiatisi in
una piazza e morti arsi vivi dagli incendi dove erano rimasti
intrappolati.
Terre
squarciate e città sconvolte (Tokyo ottobre 1923)
Stesso
resoconto per la città di Yokohama, che venne letteralmente rasa al
suolo, sono riportati i danni subiti dalle altre città giapponesi:
Kamakura; Jokosuga; Odovara, Hiratsuka.
Le
resistenze dello Stato (Tokyo ottobre 1923)
Viene
descritto come il governo del primo ministro Yamamoto, insediatosi
durante le scosse di assestamento, agì nel momento della crisi, e le
difficoltà che dovette superare. Il primo atto del governo fu di
istituire lo stato d'assedio (legge marziale) a Tokyo, per impedire
disordini e razzie. Uno dei timori maggiori era la sollevazione dei
“bolscevichi”, che, sfruttando il caos, potessero iniziare una
rivoluzione, assaltando la cittadella del Mikado. Il panico venne
accresciuto da numerose notizie prive di fondamento, come la fuga
dell'imperatore e gli “incendi coreani”. Quest'ultimo è il primo
cenno dell'autore al massacro dei cittadini coreani da parte dei
giapponesi inferociti.
Il
resoconto dell'opera del governo è dettagliato, sia riguardo i
successi che per le mancanze.
Le
tragedie del panico (Tokyo ottobre 1923)
In
questo breve capitolo l'autore racconta del panico che assalì i
cittadini colpiti dal terremoto, sempre legato alle notizie
infondate, come il sollevamento armato dei socialisti ed anarchici e
i già citati “incendi coreani”. La polizia giustiziò numerosi
esponenti di sinistra ed anarchici, allo scopo di prevenire la loro
insurrezione. Mentre contro i coreani si scatenò una vera e propria
caccia all'uomo, che secondo le stime ufficiali riportate nel libro
causò la morte di 430 coreani, ma si ipotizzava fossero stati almeno
il doppio. Per queste uccisioni vennero arrestati circa 200
giapponesi, l'autore non riporta se seguirono condanne penali. Le
prime voci contro i coreani si sparsero a Yokohama, pare messe in
giro da ex galeotti (giapponesi) alla scopo di creare ulteriore caos
per compiere furti con più facilità. Fu comunque facile attizzare
l'odio verso i coreani, che in patria si erano più volte ribellati
alla dominazione giapponese. Al grido “arrivano i coreani” si
spargeva il terrore in città, ad Omori (40 mila abitanti) fu la
stessa polizia a mettere in allarme i cittadini. Sono riportai i vari
metodi che gli ossequiosi cittadini nipponici utilizzarono per
massacrare i coreani, comprese donne e bambini. Fu, a mio avviso, un
anticipo del potenziale distruttivo che i soldati imperiali avrebbero
dimostrato in Cina ed in tutte le nazioni occupate.
Gli
enigmi della terra (Tokyo ottobre 1923)
In
questo capitolo l'autore informa il lettore sui dati del terremoto,
la scossa ebbe un'ampiezza orizzontale di 20 cm, e un'estensione
verticale di 7 cm. Luciano Magrini si chiede se gli scienziati
giapponesi non siano ora più vicini alla scoperta di un metodo per
prevedere i terremoti. Viene raccontato quali costruzioni
resistettero al terremoto e quali si sbriciolarono, quali terreni
amplificarono le scosse e quali le attutirono.
L'accampamento
sulle rovine (Tokyo ottobre 1923)
E'
descritto come i sopravvissuti abbiano nell'ottobre 1923 già
iniziato a costruire baracche di fortuna, la difficoltà degli
esercizi commerciali, e dei futuri rigidi inverni che attendono la
popolazione colpita dal terremoto, oltre che la carenza di derrate
alimentari.
I
problemi della ricostruzione (Tokyo ottobre 1923)
Viene
dato conto di come il governo e le varie istituzioni interessate
stessero pianificando la ricostruzione di infrastrutture, strade,
parchi (per limitare i futuri incendi), scuole, ospedali etc. Si
racconta anche che appena dopo il disastro ci fu chi propose di
riportare la capitale a Kyoto, ma l'idea venne scartata per più
motivi: avrebbe significato arrendersi alla catastrofe; dato
l'impressione di un ritorno al passato feudale; Kyoto era troppo
vicino ad Osaka, città operaia in cui i bolscevichi erano forti.
Allora,
come lo è oggi, l'ostacolo più grande alla ricostruzione era la
mancanza di fondi, anche perché il terremoto avvenne in un periodo
di crisi economica.
Jokohama
e il commercio della seta (Yokohama novembre 1923)
Viene
raccontato quanto la città capitale del commercio della seta fosse
stata danneggiata dal terremoto, ben più di Tokyo, con il porto
completamente distrutto. A Yokohama, oltre che con i coreani, i
cittadini giapponesi se la presero anche coi cinesi, massacrandone un
centinaio. Tra i tanti drammi causati dal terremoto uno dei più
gravi era la carenza di cure mediche, visto che gli ospedali erano
tutti crollati. Stati Uniti e Francia avevano prontamente inviato due
ospedali mobili, comprensivi di personale medico, ma per semplice
orgoglio nazionalistico il governo si rifiutava di metterli in
esercizio, finché le due nazioni li donarono al Giappone facendo
rientrare il loro personale, a questo punto il governo nipponico lo
sostituì con medici ed infermiere autoctoni.
Le
pagode di Nikko (Nikko novembre 1923)
“Nikko
mine ba-checco to mita”, “non dir bello se non hai visto Nikko”,
è un proverbio giapponese che introduce il lettore al primo capitolo
non legato al terremoto. Oltre a descrivere le bellezze artistiche
del luogo, l'autore racconta un po' di storia dello shogunato
Tokugawa, che a Nikko ha numerosi templi in sua memoria.
Il
Daibatsi di Kamakura (Kamakura novembre 1923)
Il
terremoto colpì anche Kamakura, ne vengono descritti i danni. Molte
le opere architettoniche danneggiate o distrutte, illeso il bronzo
del Budda Daibatsu.
L'isola
di Venere e il sacro Fugi (Enoshima novembre 1923)
Vengono
descritti i lievi danni causati dal terremoto alle costruzioni
dell'isola di Enoshima, le bellezze naturali ed artistiche, dedicate
alla dea dell'amore e dei mari Benten. Dall'isola si può godere una
delle viste più belle del Fugijama (com'è scritto nel libro),
questo da spunto all'autore di parlare del rapporto dei giapponesi
con il sacro monte.
Il
baccanale di Yoshivara (Tokyo novembre 1923)
Nel
raccontare la rinascita della zona di Tokyo attorno al parco di
Asakusa, compreso il tempio di Kwannon, si spiega come preghino i
giapponesi, e quanto poco tempo questa attività occupi nella fede
shintoista. E' raccontato come si svolge la festa del quartiere,
“Tori-no-machi”, la festa del “Gallo sacro” di Yoshivara. A
Yoshivara c'era il quartiere a “luci rosse”, l'autore descrive
tra l'altro le condizioni di schiavitù delle prostitute nipponiche.
Donne
giapponesi (Tokyo novembre 1923)
Le
idee occidentali non avevano mutato solo la scienza e la tecnica, ma
anche la società giapponese, in particolare il rapporto uomo-donna.
Fino alla fine del 1800 il diritto di famiglia era regolato dal
“codice Kaibara” che sulla donna recitava:
“Una
sposa deve considerare il marito come il suo Dio e servirlo
adorandolo. Essa deve riguardarlo come se egli fosse il cielo stesso.
Tra gli antichi c'era il costume di lasciar giacere a terra, durante
tre giorni, la femmina appena nata. Questo prova maggiormente la
somiglianza dell'uomo col cielo e della donna con la terra”.
Ovvio
che partendo da tali presupposti qualsiasi miglioramento della
condizione femminile sembrò ai tradizionalisti una rivoluzione
femminista. Secondo l'autore ormai la donna giapponese del 1923 non
era più sottomessa all'uomo, direi che fosse un'opinione un tantino
ottimistica, ma lo scritto resta comunque interessante. Sempre in
tema di nuovi comportamenti della donna si spiega che il matrimonio
combinato non era più la norma, che le donne giapponesi si sposavano
anche per amore. Infatti nel 1920 ben 2 mila suicidi furono causati
da mal d'amore, la cosa degna di nota di questa statistica ufficiale
è che il totale dei suicidi furono 13400. Quindi i circa 30 mila
suicidi annuali che avvengono oggi in Giappone provengono da molto
lontano.
Si
racconta anche del dramma delle operaie minorenni schiavizzate,
obbligate a lavorare 12 ore al giorno fin dai 13 anni. L'autore
sentenzia che il codice Koibare era di certo ingiusto, ma meno atroce
dello sfruttamento moderno dello sfruttamento della donna in
fabbrica. Si accenna all'usanza delle famiglie povere di vendere le
figlie femmine alle case di prostituzione, prassi consueta
soprattutto in campagna.
Crisantemi
(Tokyo novembre 1923)
Nonostante
il terribile terremoto anche nel 1923 si svolse l'esposizione dei
crisantemi (che in Giappone hanno un significato diverso dal nostro),
emblema della casa imperiale. E' descritta la passione giapponese per
i fiori e per i bonsai (che l'autore non nomina per nome), non manca
una descrizione della contemplazione dei ciliegi in fiore, per poi
passare ai giardini giapponesi e all'ikebana (che di nuovo non viene
chiamato col suo nome, viene solo descritto).
Le
tombe dei samurai (Tokyo novembre 1923)
Poteva
mancare il racconto sugli eroici 47 ronin?
Lo
specchio del sole (Tokyo novembre 1923)
Capitolo
che descrive la religione “sintoista”, in particolare ci si
sofferma sul culto del tempio di Ise a Iamada, e della “divinità
del sole”, la dea Amaterasu. L'autore nota che nella città di
Iamada le botteghe che vendono ricordi sacri sono molti, ma
affiancati alle cose di tolleranza, con le prostitute esposte alla
scelta degli avventori, e le seconde attività “commerciali”
hanno molte più clienti delle prime. Secondo l'autore la strada che
conduce al tempio di Ise era, per la nostra mentalità, “un
oltraggio al pudore”.
Viene
riportato il racconto mitologico della creazione del Giappone, con
tutto il rapporto tra Amaterasu e Susanoo. Non manca l'accenno al
fatto che i giapponesi, essendo di origine divina, si considerino
superiori a tutte le altre popolazioni del mondo. Ovviamente più
divino di tutti è il Tenno, discendente diretto degli dei.
L'autore
esprime l'opinione che il Giappone moderno sia ormai areligioso,
mancante di regole morali religiose, una prova di questa sua
considerazione avviene alla fine della sua visita al tempio di Ise.
Un uomo lo invita alla rappresentazione dal vivo del ballo della dea
che incuriosì Amaterasu, in pratica gli veniva offerto di
partecipare ad uno spogliarello privato in cui una geisha avrebbe
ballato mentre si spogliava, restando in ultimo nuda.
Le
tendenze imperialiste di Tokyo (Tokyo novembre 1923)
Sono
descritte le mire territoriali dell'impero giapponese, che nel 1923
aveva già ottenuto in due guerre (contro Cina e Russia): l'isola di
Formosa; la regione cinese del Kuangtung; l'isola di Sakalin; la
Corea.
Il
nuovo obbiettivo dei vertici militari e di una parte degli uomini di
potere era la Cina. Infatti il motto in voga era “l'Asia agli
asiatici”, con lo scopo finale di scacciare i colonialisti bianche
per sostituirli con quelli nipponici. Viene ben descritto
l'isolamento diplomatico del Giappone, causato dai palesi e spesso
goffi atti di intimidazione militare verso la Cina.
I
tesori del baco da seta (Tokyo novembre 1923)
Un
capitolo dedicato al prodotto più esportato da quel Giappone: la
seta.
La
crisi morale (Tokyo novembre 1923)
Le
idee occidentali avevano messo in crisi le antiche consuetudini
sociali, questo, sommato alla crisi economica, creò una crisi morale
che preoccupava la classe dirigente e gli intellettuali. Inoltre la
ricchezza era concentrata nelle mani di poche famiglie, e la
popolazione era conscia della propria povertà, questo provocava un
aumento delle simpatie verso i “bolscevichi”. L'esercito era
inquieto anche per l'aumento della renitenza alla leva e per le
diserzioni. Prova, secondo i vertici militari, di un preoccupante
crescente antimilitarismo.
La
burocrazia statale era mal pagata, fatto che incentivava la
corruzione, come corrotta era la classe politica, cosa che faceva
perdere di valore la democrazia. Le materie scientifiche insegnate a
scuola minavano la credenza religiosa di un Mikado dio vivente.
La
fiumana demografica e la crisi industriale (Tokyo novembre 1923)
Capitolo
che espone numerosi dati statistici, atti a dimostrare che una delle
cause della crisi giapponese era il boom demografico, che avrebbe
aumentato l'inquietudine sociale, due erano le soluzione:
l'emigrazione della popolazione; l'aumento dell'esportazione di beni
industriali con cui comprare cibo per sfamare la popolazione in
aumento.
Ho scannerizzato le pagine che testimoniano i massacri dei coreani, e le uccisioni di anarchici e socialisti.
Nelle ultime righe l'autore si pone alcune domande sul futuro del Giappone.
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