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martedì 4 giugno 2013

La solitudine liberata, alla ricerca del sé... passando dal Giappone


TITOLO: La solitudine liberata, alla ricerca del sé... passando dal Giappone
AUTORE: Carla Ricci
CASA EDITRICE: Armando Editore
PAGINE: 176
COSTO: 18 €
ANNO: 2012
FORMATO: 21 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788866770305

L'antropologa Carla Ricci vive attualmente in Giappone, dove è ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia Clinica dell'Università di Tokyo.
Il tema del saggio non sono solo gli hikikomori (su cui Carla Ricci ha già scritto due libri), ma la ricerca del sé passando per il Giappone, come recita il sottotitolo.
Personalmente ho trovato sempre interessanti le parti sulla società giapponesi e il fenomeno hikikomori, meno le parti di carattere introspettivo/filosofico.
Una questione molto marginale del libro: ma in italiano non esistono sinonimi di “esperire”? Perché sarà stato usato una 50ntina di volte...

Capitolo 1: Una piccola casa nell'universo
L'uomo ingannato da se stesso
L'autrice propone alcune sue riflessioni personali di carattere filosofico sulla vita in Giappone. Differenziando, per esempio, la cultura occidentale da quella giapponese in base ai lasciti culturali del passato storico. Quindi l'occidente avrà una “cultura della pietra” (monumenti, resti archeologici), mentre il Giappone, quasi orfano di monumenti antichi, basa la sua cultura sul territorio, “la cultura del legno”. In occidente la bellezza è apprezzare ciò che è “scolpito nel tempo”, in Giappone è la fugacità insita in ogni cosa ad avere valore.
Secondo la Ricci, in qualità di antropologa, il Giappone è interessante in quanto ha già vissuto (e sta vivendo ancora) i cambiamenti portati dalla globalizzazione e dalla tecnologia.

Capitolo 2: Un sé e i suoi neuroni
Un capitolo in parte introspettivo (l'autrice spiega se stessa) e in parte sui neuroni specchio, e quanto questi ci illudano che le nostre scelte/comportamenti non siano influenzate dagli altri. Sarò sincero, la parte del capitolo in cui Carla Ricci illustra la sua scelta di non lasciarsi coinvolgere dalle cose (non possederle), luoghi (non sentirvisi legati) e persone (saper interrompere i legami) mi ha un pochino indispettito. Mi spiego, se uno ha dovuto fin da ragazzino accudire un parente non autosufficiente come poteva seguire, una volta adulto, la medesima filosofia? Avrebbe dovuto mandare a ricovero il famigliare per fare nuove e stimolanti esperienze di vita? Forse certe scelte, che l'autrice pare quasi vantarsi di aver fatto (e che di certo sono state coraggiose e meritorie) si è potuta permettere di farle. Non a tutti la vita, e il senso di responsabilità verso la famiglia, ha permesso di fare come lei e come lei suggerisce di fare.
Più interessante, e non irritante, la parte sui neuroni specchio e l'influenza che hanno nei nostri rapporti col prossimo e sulla libertà di scelta, il libero arbitrio.
Questo capitolo non ha un'attinenza diretta col Giappone, ma è introduttivo ai capitoli successivi.

Capitolo 3: Il senso di nonsenso
I luoghi dell'esperienza
Hikikomori, fuga da una vita di finzione
Il senso universale
Il senso di purezza
E' in Giappone che i neuroni specchio, assieme ad altre peculiarità sociali nipponiche (amaenokozo; una società gerarchica, l'ambiguità di non prendere posizione per non sovrastare il prossimo), creano un luogo dove il comportamento individuale è dato dagli altri, senza che ciò sia considerata una costrizione. Anzi, uniformare se stessi al gruppo è considerato un modo per migliorare la società e, alla fine, se stessi.
Per spiegare questo concetto l'autrice fa riferimento alla sua esperienza universitaria, sia giapponese che italiana. Illustrando come gli studenti e i professori giapponesi nel lavoro di gruppo (mentre in Italia è individuale) paiono “dover fare” oppure “mostrare di fare” piuttosto che “fare per il vero interesse di fare”.
In Giappone “produzione, competitività, consumismo” sono così radicati da creare nuove consuetudini rendendole anche indispensabili, come l'invenzione della cerimonia di divorzio.
Anche dal punto di vista tecnologico il Giappone anticipa ciò che capiterà nel resto del mondo. In particolare l'inquietudine e l'alienazione.
E' affrontata la questione hikikomori, un fenomeno in cui l'individuo abbandona l'isolamento sociale (da solo in mezzo agli altri) per rifugiarsi in un isolamento privato (lontano dagli altri). Un atto che per una società di gruppo come quella nipponica è da considerarsi fin sovversivo. Gli hikikomori sono circa l'1,15% della popolazione (dati attuali), cioè un milione e 500 mila persone!
E non sono più solo di giovane età, questo 1,15% è diviso in queste fasce di età (dati 2010 ministero della salute): 15,30% entro i 19 anni; 39% fra i 20 e 29 anni; 45,70% fra i 30 e 40 anni.
Le recenti crisi economiche hanno spinto anche le persone adulte a diventare hikikomori, questo a causa della perdita del posto di lavoro. Poi ci sono quelli che sono hikikomori fin da adolescenti ed ora hanno 30 o 40 anni.
La società giapponese considera gli hikikomori delle persone con problemi psicologici o dei semplici parassiti che vivono sulle spalle dei genitori. Per l'autrice, in realtà, ciò non è corretto, ma non sono neppure dei protestatari, essi non vogliono opporsi alla società, ma dalla società giapponese si sentono feriti, si sentono inadatti a farvi parte, quindi si rifugiano nell'unico posto adatto per loro, una stanza.
E' ben spiegati il contesto sociale e famigliare che porta i giovani a fare hikikomori. Perché oltre alla società, è la stessa famiglia a trasformarli in hikikomori. Un padre che fugge dal rapporto coi figli e la moglie diventando un hikikomori emotivo, e una madre che fa sfoggio della “virtù” tutta giapponese della sopportazione di questo stato di cose. L'hikikomori si limita a trasformare questi comportamenti da hikikomori emotivo dei genitori in un hikikomori fisico. L'hikikomori porta alle estreme conseguenze la filosofia del “le cose sono così e non possono essere cambiate”.
Dopo una serie di interessanti spiegazioni è riportata l'esperienza scritta da un giovane hikikomori italiano.
Quindi viene illustrato cosa porta all'ingresso in hikikomori: il senso di nonsenso.
Essendo un concetto un po' particolare evito di esporlo, per evitare errori, leggete il libro.
L'autrice in questo capitolo cerca di spiegare anche come opporsi agli abiti mentali che portano a fare hikikomori o che, comunque, rendono la vita dolorosa/pesante. Concetti che non riporto perché vanno un po' oltre le mie capacità di comprensione, troppo filosofici e che non mi impressionano molto.

Capitolo 4: Camelie e un Samurai
Non ho colto appieno il senso di questo capitolo, incentrato sulla vita di Miyamoto Musashi (1584?-1645), il più famoso spadaccino giapponese.
L'autrice, analizzando gli scritti di Musashi (“Il libro dei 5 aneli ed elementi”) cerca di entrare nella sua psicologia, capire e spiegare cosa la muovesse, cosa pensasse. Musashi per perfezionarsi non si legava a nulla e nessuno, era in perenne ricerca della perfezione nei duelli. Pare quasi che Carla Ricci tracci un parallelismo tra Musashi e se stessa, cioè quello che riporta di se stessa nel secondo capitolo. Tralasciando che le gesta di Musashi furono probabilmente enfatizzate in epoca successiva per motivi di fanatismo nazionalista, mi sfugge il senso e l'importanza della filosofia di vita di Musashi, e trovo questa sua agiografia un po' irreale. Forse si è voluto esaltare la scelta di solitudine di Musashi, e che quindi isolarsi (hikikomori) può essere un aspetto positivo se è finalizzato verso uno scopo, e non solo alla solitudine. Però trarre insegnamenti dalle gesta, non del tutto certe, di un personaggio di 400 anni fa per affrontare l'alienazione della società moderna mi pare un po' inefficace. Ammetto, comunque, che io sono assai allergico alle ricette per vivere meglio, e che la filosofia mi è estranea, certi “ragionamenti” fatico a capirli.

Capitolo 5: Amaenokozo. Un progetto ambizioso.
Carla Ricci approfondisce il tema, già toccato nei capitoli precedenti, della libertà, di una società in cui sia possibile una “libertà liberata”, concetto che spiega largamente. Con questo obbiettivo prende ad esempio la società giapponese di epoca Edo (Tokugawa 1603-1848), che realizzò “un dinamismo psichico e un mondo artistico” che l'autrice chiama “amaenokozo”. Anche in questo caso non riporterò ulteriori concetti per evitare miei errori di interpretazione.
In questo contesto è ben illustrato il concetto di “amae” e di “cattivo amae” (“warui amae”), la degenerazione moderna dell'amae ideale del periodo Edo. Oggi il “cattivo amae” ha trasformato le potenzialità di libertà dell'amae in una prassi burocratica oppressiva. Il comportarsi come detta il gruppo è fine a se stessa, una prassi che crea sofferenza, stati d'animo d'infelicità, hikikomori.
In Giappone i problemi di comunicazione, in un mondo globalizzato che fa della comunicazione uno dei cardini della società moderna, creano più problemi che altrove. Non comunicare bene (o come gli altri) riduce i rapporti umani, gli amici, può provocare il bullismo scolastico (ijime), che porta a fare hikikomori.
Sta emergendo un fenomeno riguardante i bambini giapponesi, che si sentono in colpa e si vergognano se non hanno abbastanza amici con cui passare la giornata. Per esempio i bambini che non hanno amici con cui passare la pausa pranzo (ergo io dico: W la mensa scolastica italiana!) si chiudono in bagno per mangiare, perché si vergognano di farsi vedere a pranzare in solitudine.
Fare hikikomori è un atto riguardante la difficoltà di comunicare, e gli hikikomori dovrebbero essere recepiti come la denuncia finale del malessere della nostra società basata sulla comunicazione.

Capitolo 6: La solitudine liberata
In questo capitolo Carla Ricci cerca di esprimere il suo punto di vista sul come accettare la solitudine, “la solitudine liberata”. Non vuole dare ricette o consigli, vuole esternare la sua idea.
Bisogna imparare ad accettare la solitudine, senza isolarsi, ma accettarla. Poi non legarsi agli oggetti, non praticare quelle attività sociali inutili, saper troncare i rapporti umani.
Io ho semplificato di molto i suoi concetti, però anche leggendo il libro li trovo un po' esagerati.
Concordo che il consumismo (avere oggetti inutili, spesso tecnologici) serve per riempire il vuoto che è dentro di noi, stesso di scorso per le mode e gli hobby. Posso anche concordare che taluni rapporti umani siano anch'essi finzione, ma senza tutte queste “cose” si vivrebbe da semi eremiti. Secondo Carla Ricci bisognerebbe “saper perdere tutto”, sembra quasi un dogma di una nuova religione giapponese.

Capitolo 7: Viaggio di un maestro di Haiku
Cantico di coscienza universale
Questo capitolo è simile al quarto, solo che in questo sono riportati gli scritti del poeta e grande viaggiatore Matsuo Basho (1644-1694), primo creatore della forma poetica haiku. Sono commentate la vita e le scelte di frugalità di Basho. La mia valutazione è la medesima del quarto capitolo.
Comunque può risultare un capitolo interessante per chi conosce ed apprezza la figura del poeta niponico.

Capitolo 8: Il magistrale insegnamento
Viene affrontato il rapporto madre/figlio, anche in connessione con il fenomeno hikikomori. In pratica alcune madri vogliono protrarre la gratificazione data dal rapporto di complicità e dipendenza col figlio neonato anche quando questi è divenuto adolescente, creando una dipendenza reciproca.

Capitolo 9: Camminando la vita
Capitolo come il quarto e il settimo, soggetto è Shoichi Taneda (1882-1940), che cambio il suo nome in Santoka, poeta e monaco questuante. Carla Ricci riporta e commenta la sua storia, i suoi diari e le sue poesie haiku. La filosofia di questo capitolo è la medesima degli altri due (ma anche di gran parte del libro), l'esaltazione del “saper perdere tutto” e della solitudine cercata e non subita.

Capitolo 10: Il buio di Tokyo
L'ultimo brevissimo capitolo sono delle considerazioni dell'autrice sullo stato d'animo dovuto al cataclisma naturale e tecnologico del 11 marzo 2011 (terremoto, tsunami, disastro nucleare).







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